Coronavirus: il punto della ricerca scientifica su Covid 19

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Trovare farmaci antivirali efficaci contro il nuovo coronavirus, studiarne l’origine e la diffusione: ecco il punto della situazione su Covid 19.

Moltissimi scienziati nel mondo sono al lavoro per trovare farmaci antivirali efficaci contro il nuovo coronavirus, ma anche per studiarne l’origine e la diffusione. La ricerca scientifica su Covid 19 è attivissima.

Non solo si cercano farmaci antivirali efficaci e si studia come sviluppare un vaccino, ma, mentre si mettono in atto tutte le misure per il contenimento del contagio, alcuni scienziati ne studiano l’origine e la diffusione: ecco il punto della ricerca scientifica su Covid 19.

La sperimentazione di possibili terapie è partita principalmente da test di molecole già conosciute come efficaci su virus della stessa famiglia. E mentre Covid 19 non smette di far parlare di sé e continuano ad aumentare i casi accertati di persone infettate, accresce anche la psicosi.

Nel nostro piccolo vogliamo combattere con le armi che possediamo, quelle cioè dell’informazione: cerchiamo di fare quindi chiarezza su come stanno le cose, armiamoci di sangue freddo e razionalità senza dimenticare che il troppo stress abbassa le difese immunitarie.

Ecco quindi il punto della situazione della ricerca scientifica su Covid 19.

 

 

 

Le terapie possibili

Quali sono le molecole più promettenti nella cura del nuovo coronavirus? Attualmente sono più di 80 i trial clinici in atto per lo studio di possibili antivirali contro il nuovo coronavirus. Il coordinamento e il monitoraggio di questo immenso lavoro è in mano all’Organizzazione Mondiale della Sanità.ì

Uno dei punti più delicati, come spiegato da un articolo apparso su Nature la settimana scorsa, riguarda la standardizzazione dei protocolli di ricerca. Per far sì che i risultati siano immediatamente e contemporaneamente riproducibili e verificabili da centri di ricerca indipendenti tra loro, è necessario che tutti rispettino fedelmente le regole legate a come trattare i gruppi di controllo, la randomizzazione e ovviamente la misura precisa e finale dei risultati clinici.

“La priorità è anzitutto quella di far sì che i trial clinici siano condotti correttamente”, ha dichiarato Souma Swaminathan, responsabile scientifico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “In questo modo possiamo capire più facilmente quale trattamento funziona e quale non funziona, e i pazienti potranno avere benefici più rapidamente”.

La lista delle molecole possibili candidate come farmaci efficaci è molto lunga

La lista delle molecole possibili candidate come farmaci efficaci è molto lunga, tra queste il remdesivir e la clorochina sonodue composti che sembrano promettenti perché hanno dato una buona risposta in vitro.

Il primo è un antivirale di recente introduzione prodotto dalla Gilead. Il suo meccanismo di funzionamento si basa sul blocco degli enzimi usati dai virus per replicarsi nelle cellule umane. Fu sviluppato negli anni delle epidemie causate da ebola in Africa occidentale tra il 2013 e il 2016. La sperimentazione inizialmente portò a risultati che sembravano positivi, ma poi si rivelò di scarsa efficace in quel contesto mentre qualche anno prima aveva dato risultati promettenti per il trattamento di alcuni casi di MERS, sindrome causata da un altro coronavirus e che si era diffusa nel Medio Oriente. Ulteriori studi avevano messo in evidenza la capacità del farmaco di contrastare la replicazione di altri coronavirus, compreso quello che causa la SARS, un’altra sindrome respiratoria grave il cui virus ha diverse caratteristiche simili a quello dell’attuale crisi sanitaria.

Attualmente, il remdesivir non è approvato dalla Food and Drug Adminstration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che si occupa dei farmaci, né da altri organismi di controllo in giro per il mondo. I test clinici potranno tuttavia essere svolti in Cina perché negli scorsi anni il farmaco era già stato sperimentato per ebola dimostrando di non avere particolari effetti collaterali.

La clorochina invece è un’antimalarico dimostratosi efficace in vitro e su modelli animali contro numerosi virus tra cui il coronavirus della SARS. L’idea di usare la clorochina contro il coronavirus della SARS fu avanzata da Andrea Savarino, ora ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2003 attraverso la rivista scientifica Lancet Infectious Diseases.

Un’altra possibile terapia, già peraltro utilizzata su due pazienti cinesi ricoverati all’Istituto Spallanzani, è basata sulla somministrazione combinata di lopinavir/ritonavir due antivirali comunemente utilizzati per curare l’infezione da HIV e che ha mostrato un’ attività antivirale anche sui coronavirus. Come il remdesivir, anche queste due molecole agiscono sugli enzimi usati dai virus per replicarsi all’interno delle cellule.

Altre due molecole che sono in fase di test sono l’oseltamivir e l’arbidol. Il primo è un antivirale già in uso contro l’influenza e che agisce inibendo la neuraminidasi, un enzima glicoproteico superficiale del virus dell’influenza A e B che svolge una funzione essenziale per la replicazione virale. In parole più semplici non permette al virus di agganciarsi alla superficie cellulare. Il secondo non è approvato dalla FDA ma è usato come antivirale in Russia e in Cina.

L’elenco delle possibilità terapeutiche in corso di valutazione è ancora lungo: dagli steroidi per ridurre i sintomi dei pazienti più gravi, alle infusioni di siero dei pazienti guariti spontaneamente, dai trattamenti della medicina tradizionale cinese, alle cellule staminali.

Non è però da escludere che la terapia definitiva arrivi dopo la primavera quando ormai si prevede che l’epidemia possa essere in recessione come sostiene Zhong Nanshan, epidemiologo che scoprì la SARS, che afferma che l’epidemia potrebbe finire intorno ad aprile.

 

 

 

Da dove viene il nuovo coronavirus?

L’interesse della comunità non è focalizzata solo sulle cure, ma anche su come si sia originato questo nuovo virus. Facciamo un salto indietro quindi di quasi due mesi per capire qualcosa di più.

Era il 31 dicembre 2019 quando la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) segnalava all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei.

La maggior parte dei casi aveva un legame epidemiologico con il mercato di Huanan Seafood, nel sud della Cina, ossia un mercato all’ingrosso di frutti di mare e animali vivi.

Il 9 gennaio 2020, il CDC cinese riferiva dell’identificazione di un nuovo coronavirus, chiamato poi Covid 19, come agente causale ed è stata resa pubblica la sua sequenza genomica.

 

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Un uomo attraversa una strada deserta il 3 febbraio 2020 a Wuhan

 

I coronavirus sono una vasta famiglia di virus che causano infezioni nell’uomo e in una varietà di animali tra cui uccelli e mammiferi. Alcuni di essi sono zoonotici, cioè si possono trasmettere dagli animali all’uomo.

Quando i coronavirus animali si evolvono, possono infettare le persone e poi diffondersi da persona a persona, facendo il così detto “salto di specie” e causando focolai di malattia come è accaduto in passato per la Sindrome Respiratoria Mediorientale (MERS-CoV) e la Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS). Per la MERS gli studi condotti hanno indicato i dromedari come serbatoi del virus che sporadicamente possono infettare l’uomo, e per la SARS, gli studi hanno confermato una vasta gamma di possibili serbatoi del virus (come zibetti, gatti domestici, furetti e pipistrelli) in grado di trasmettere l’infezione all’uomo.

Di contro, esistono anche numerosi coronavirus che circolano negli animali e che non hanno ancora infettato l’uomo o, infine, come in questo caso il virus può essere infettivo per l’uomo, ma non trasmettersi agli animali domestici. L’OMS a questo proposito dichiara che

al momento non esiste nessuna evidenza sul fatto che gli animali da compagnia, come cani e gatti possano essere infettati dal nuovo coronavirus. Comunque, è sempre buona norma, lavarsi le mani con acqua e sapone dopo aver toccato gli animali.

 

La fonte primaria di Covid 19 identificato in Cina non è ancora certa e sono in corso indagini per identificarla, ma il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle malattie (ECDC) indica l’origine animale come la più probabile.

Un nuovo studio effettuato da ricercatori cinesi indicherebbe che Covid 19 potrebbe aver iniziato la trasmissione da uomo a uomo alla fine di novembre da un luogo diverso dal mercato dei frutti di mare Huanan a Wuhan. La ricerca, pubblicata su ChinaXiv, un archivio cinese aperto per i ricercatori scientifici, e ripresa dal Global Times, rivela che il nuovo coronavirus è stato introdotto nel mercato dei frutti di mare da un’altra località, per poi diffondersi rapidamente da mercato a mercato.

Nel frattempo sulla rivista Science in prima pagina la condanna di un gruppo di 27 eminenti scienziati non cinesi nei confronti delle teorie complottiste che sostengono che l’origine di Covid19 non sia da ricercare nella natura ma in un errore umano più o meno voluto all’interno del  laboratorio di virologia di Wuhan.

In questa dichiarazione si afferma in maniera schiacciante che il nuovo coronavirus abbia avuto origine nella fauna selvatica proprio come molti altri virus che sono recentemente emersi nell’uomo e che le teorie della cospirazione non fanno altro che creare paura, voci e pregiudizi che mettono a repentaglio la collaborazione scientifica globale nella lotta contro il virus.

 

 

 

Come si prevede si diffonderà il virus?

Che il virus sarebbe arrivato in Italia (come nel resto del mondo) era cosa prevedibile e prevista da vari virologi tra cui Ilaria Capua che, in diverse interviste, aveva sostenuto che certamente sarebbe accaduto presto.

La stessa Capua ha dichiarato che

stiamo assistendo alla diffusione di una sindrome simil-influenzale causata da un coronavirus.
E se si iniziasse a chiamare così, già le persone si tranquillizzerebbero

Per quello che riguarda invece il grandissimo boom di contagiati diagnosticati in questi giorni la stessa Capua sostiene che

È possibile che vi siano in Italia altri casi non ancora diagnosticati semplicemente perché la malattia nella stragrande maggioranza dei casi è lieve e può passare inosservata.

L’incremento del numero di positività è dovuto al fatto che adesso si sono iniziati a cercare, un mese fa per chi aveva sintomi respiratori la diagnosi era di influenza.

Ora, con i test diagnostici, la ricerca attiva a ritroso dei contatti e dei movimenti dei pazienti, è chiaro che il numero di casi aumenta

 

Insomma, probabilmente il virus era già tra noi da qualche tempo e anche su questo non c’è da stupirsi o scandalizzarsi. In un mondo globalizzato come il nostro i virus viaggiano in prima classe sugli aerei: il ritardo con cui le autorità cinesi si sono rese conto dell’emergenza e hanno lanciato l’allarme ha concesso al nuovo coronavirus un vantaggio di qualche settimana.

Prima che fossero bloccati i voli diretti dalla Cina, a Fiumicino ne arrivavano tre al giorno soltanto da Wuhan, città epicentro dell’epidemia. Prima che quest’ultima fosse circondata e isolata, milioni di persone ne erano già uscite, diffondendo il contagio anche in città lontane.

Ma si può prevedere come il contagio si diffonderà? Per fare ciò abbiamo a disposizione dei modelli matematici che purtroppo però, per quanto possano essere accurati, non potranno mai prevedere con un’affidabilità altissima il corso futuro dell’epidemia. In sistemi così complessi una piccola variazione dei dati di input, dovuta anche a errori nella definizione dei nuovi casi, può portare a enormi variazioni nei risultati finali proprio come è tipico dei sistemi complessi.

Nei modelli matematici per la diffusione del nuovo coronavirus tra i molteplici parametri uno interessante, anche se difficile da stimare correttamente, è quello chiamato numero di riproduzione di base (R0) ossia il numero medio di nuovi casi causati da un individuo infetto.

Secondo Dirk Brockmann, fisico dell’Istituto di biologia teorica dell’Università Humboldt di Berlino e del Robert Koch Institute in Germania e che si occupa di modelli matematici di diffusioni virali “l’attuale R0 stimato per il nuovo coronavirus varia da 2 a 3, molto vicino a quello della SARS che era da 2 a 4 nel 2003 ma molto più basso dell’R0  per esempio del morbillo che va da 12 a 18.”

Poiché però ogni fattore sconosciuto introduce una maggiore incertezza, Brockmann e il suo gruppo hanno deciso di concentrarsi sull’utilizzo dei dati di volo internazionali, senza tenere in considerazione la trasmissione da persona a persona, per prevedere quali aeroporti rappresentassero i gateway più a rischio per la diffusione del nuovo coronavirus in tutto il mondo.

Attualmente queste previsioni sono state in linea con ciò che è effettivamente accaduto per quello che riguarda la sequenza di paesi dove si sta diffondendo maggiormente il contagio confermando la ragionevole ipotesi che la diffusione viaggi parallelamente con lo spostamento delle persone e che quindi la quarantena sia una misura molto efficace nel contenere l’epidemia.

Seguire il decalogo dell’OMS è la cosa migliore da fare

Tutte le evidenze scientifiche e di buon senso fanno comprendere che nessuna misura adottata avrebbe fermato il virus che era già tra noi prima che potessimo fare qualcosa, le critiche troppo aspre e le polemiche a posteriori non aiutano ma anzi distolgono l’attenzione sulle comunicazioni più importanti da effettuare che sono seguire il decalogo dell’OMS e seguire nella maniera più ligia possibile le raccomandazioni che di volta in volta verranno emanate dalle autorità locali e nazionali.

 

 

 

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