Al netto di non pochi difetti e problemi, Electronic Arts e Respawn Entertainment finalmente regalano al mondo il gioco che un brand come Star Wars merita.
La licenza per lavorare su un brand come quello di Star Wars può essere croce come può essere delizia. Lo sa Electronic Arts, che prima di Star Wars Jedi: Fallen Order da quel primo Battlefront nel 2015 non ha saputo fare altro che passi falsi, separando dapprima il bacino di giocatori con una miriade di contenuti aggiuntivi a pagamento, crocifiggendosi poi nella gigantesca polemica attorno agli acquisti in gioco di Battlefront II.
Nonostante lo scetticismo generale che quindi ormai avvolge a questo riguardo la compagnia di Redwood, l’annuncio tempo fa di un titolo giocatore singolo nell’universo di Star Wars, con la partecipazione dei talentosi ragazzi di Respawn Entertainment (Apex Legends, Titanfall), ha finito inevitabilmente per scaldare il cuore dei fan che da anni attendevano un videogioco degno del franchise che porta sulle spalle.
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Finalmente a posteriori, Star Wars Jedi: Fallen Order è esattamente il riscatto che attendevamo, un’esperienza ricca, divertente e a tratti esaltante, compiaciuta negli specifici riferimenti al canone della galassia lontana lontana e rispettosa di ogni singola influenza cinematografica e seriale.
Quella di Respawn Entertainment non si staglia in ogni caso come l’esperienza perfetta: si nota anzi una certa incertezza nel quadro generale che sfocia di continuo su scelte timide o derivative.
Prima di iniziare, vi ricordiamo che Star Wars Jedi: Fallen Order è disponibile su PlayStation 4, Xbox One e PC Windows dallo scorso 15 novembre.
Cinque anni sono trascorsi dalla Grande Purga Jedi e dunque dall’infame Ordine 66, che ha visto il definitivo completamento dei piani di Palpatine a riguardo della Guerra dei Cloni e dell’instaurazione dell’Impero Galattico. Cal Kestis è un padawan che è riuscito quasi per miracolo a fuggire allo sterminio del proprio ordine, scappato da un ammutinato incrociatore repubblicano e finito nel desolato pianeta di Bracca.
Ridotto a tenere un basso profilo, Cal si mimetizza ben al di sotto delle proprie capacità, smantellando su Bracca per l’Impero i vari relitti risalenti alla guerra tra Separatisti e Repubblica. Proprio nel corso della distruzione di un incrociatore, Cal è costretto a scegliere tra il salvare una vita e mostrare la sua sensibilità la forza.
La scelta come ovvio della seconda opzione porta l’Inquisitorio – una sezione d’élite delle forze imperiali, con alcuni membri sensibili alla Forza, dedicata a sterminare i Jedi sopravvissuti – a notare la sua presenza sul pianeta. Il risultato è una caccia all’uomo piuttosto cinematografica che si conclude con lo scontro con la terribile Seconda Sorella (inquisitrice n.d.r.) e la fuga di Cal con la Jedi rinnegata Cere Junda e il pilota Greez Dritus a bordo della Mantis.
Arrivati sul pianeta di Bogano, i tre – più il carismatico piccolo droide BD – 1, dovranno fare squadra per svelare i misteri che un Maestro Jedi, Eno Cordova, si è lasciato alle spalle, informazioni che potrebbero volere addirittura significare la rinascita dell’ordine caduto. Il viaggio che ne segue porterà il gruppo su pianeti non inediti come Dathomir, Kashyyyk ed un altro che non nomineremo, e zone invece nuove di zecca come Zeffo. Quello che però fa male vedere da fan invasato quale è chi scrive, al netto dell’attenzione maniacale di Respawn nel rispetto dell’immaginario, è che il racconto si muova quasi esclusivamente su pretesti, racchiudendosi in una classica caccia al tesoro nata dal nulla e palesemente forzata.
Nelle ultime quattro/cinque ore – su un monte di almeno 18/20 a salire – il ritmo della narrativa, come il suo stesso senso di esistere, acquista una maggiore robustezza, fino a diventare esaltante nelle battute conclusive. Non a caso questo è il momento malinconico in cui la migliore parabola del gioco, quella parallela da una parte alla glorificazione, dall’altra alla caduta dell’ordine Jedi, prende il sopravvento, stimolando suggestioni dei migliori momenti della serie.
Il finale, nello specifico, sebbene avessimo indovinato l’epilogo già in partenza dell’avventura, vive di una sequenza che non ha nulla da invidiare alla saga cinematografica, una quindicina di minuti in cui al delirio di onnipotenza si sostituisce anticlimatico un senso di assoluto terrore, in faccia alla morte stessa.
A seguito di un progredire sfilacciato e privo davvero di una reale coerenza interna, gli ultimi respiri di Star Wars Jedi: Fallen Order sono molto validi, nel ribadire soprattutto quanto fosse stupenda quella perla di The Clone Wars, che tra l’altro si trova alla base pure di buona parte di The Mandalorian. Superata una timida introduzione fatta soprattutto per un pubblico meno avvezzo al canone, il seminato di Dave Filoni con le serie animate supporta tutto ciò che di buono esiste nell’intreccio di Fallen Order.
Diretta proiezione degli eventi del gioco sono invece le meccaniche di gameplay, che si evolvono gradualmente mano a mano che si avanza verso la conclusione, sia attraverso un classico albero delle abilità, sia attraverso potenziamenti/abilità per forza sbloccati nella progressione principale.
Per spiegare al meglio cosa effettivamente si fa in Star Wars Jedi: Fallen Order bastano tre esempi: Uncharted, Dark Souls, Sekiro. Seppure questo sia alla base di un level design sfaccettato e verticale a mo’ di metroidvania (con i pianeti dapprima non visitabili completamente e dediti al backtracking), le influenze molto classiche, impostate e pedanti dell’esplorazione tipica degli action adventure ammettiamo possano risultare davvero fastidiose sul lungo periodo. Questo pure perché ormai del genere ne abbiamo viste di ogni, sempre con le stesse reiterazioni. Bentornato dunque doppio salto, liane, arrampicate, corsa sui muri, lunghe scivolate lungo pendii e parentesi in pratica automatiche.
Quello che tuttavia non può non essere ritenuto curioso di Fallen Order è il suo essere sostanzialmente bipolare, per noi in senso positivo: le avventure di questa impostazione tendono ad essere solitamente molto accessibili, tanto da potersi appunto approcciare ad un pubblico molto ampio senza grossi problemi. Qui invece Respawn tende la trappola.
Laddove il titolo può comunque essere giocato a difficoltà inferiore, il livello intermedio (il terzo su quattro) mette in chiaro la vera natura di un sistema molto più punitivo di quanto sembri.
Parliamo di Dark Souls e derivati perché rivediamo ancora una volta checkpoint simili ai falò (o ai punti di controllo in Control), dai quali dovremo ripartire dopo ogni game over.
Ma anche per la presenza degli stim, risorse limitatissime per il ripristino della salute simili alle Fiaschette di Estus, per culminare infine nel ritorno dei nemici dopo esserci rimessi in sesto nei vari punti di meditazione/checkpoint.
A questo si somma un sistema di combattimento con spada laser basato – come Sekiro – in primis sulla barra della guardia. Colpendo i nemici ripetutamente o facendo parate perfette finiremo per indebolire e poi spezzare la loro protezione, andando ad infliggere danni gravi o direttamente esecuzioni – lo stesso vale all’opposto. Altri al contrario moriranno direttamente con un paio di fendenti (ciao, stormtropper semplici), altri ancora – come i boss – si dimostrano invece incredibilmente coriacei. Non dimentichiamoci nemmeno della forza per spinte, attrazioni e rallentamenti.
Questo allegro organismo di interazione nel combattimento a primo acchito può apparire spoglio, ma proseguendo con le abilità e la storia diventa man mano completo fino ad esplodere in una versatilità ed una fluidità che hanno del sorprendente per quanto effettivamente facciano immedesimare nell’azione. Lancio di spada, attrazione ed esecuzione, spinta in bilico sui dirupi, attacchi ad area, combo spettacolari ed altro su cui preferiamo glissare per rischio spoiler.
Preso atto di questa onnipotenza crescente, il gioco non smette mai di ricordare quanto in realtà ogni minaccia sia ancora pericolosa; non solo il boss di cui dovremo studiare a memoria attacchi e movimenti, ma anche minion e nemici comuni di ogni tipo possono ucciderci a bruciapelo in un attimo di disattenzione.
Star Wars Jedi: Fallen Order è un gioco che non perdona e approcciarsi al pad con leggerezza potrebbe – a medio ed alto livello di difficoltà – farvi soffrire ed invocare nuove divinità. Non che presa confidenza si possa abbassare la guardia (in tutti i sensi), testimoni i nostri quindici tentativi nello scontro conclusivo.
A tale riguardo, i tempi di caricamento – di circa 15/20 secondi cronometrati – sono una dura prova per la pazienza di chiunque, come pure una telecamera piuttosto schizofrenica, in primo luogo negli spazi più stretti. Questo in generale specchia una performance tecnica in Unreal Engine 4 ben distante dai migliori risultati di questa generazione, che fortunatamente viene riscattata da una direzione artistica quasi sempre impeccabile.
Su PlayStation 4 Pro – dove lo abbiamo testato – Fallen Order presenta due modalità, una dedita al raggiungimento dei 60 FPS, l’altra bloccata su 30 FPS – con diversi cali, anche se la situazione sembra essere migliorata con l’ultimo aggiornamento – con risoluzione più elevata. Uscendo dai freddi numeri, il sistema di illuminazione per gli standard odierni non fa gridare al miracolo, la profondità di campo non è delle migliori e pop – up e freeze di caricamento non sono assenti.
Nemmeno i modelli possono dirsi particolarmente rifiniti (si guardi ai Wookiee su Kashyyyk), a concludere un impatto grafico non proprio eccellente. Poi non citiamo bug audio, bug della progressione (non siamo mai incappati in qualcosa di grave, ma altri sì) e tanti e variegati errori nel motore fisico.
In ogni caso, al netto del fastidio per certi problemi, e ci teniamo a sottolinearlo, la situazione non è stata mai nel nostro caso critica, mai tale da rovinare in qualsiasi modo la fruizione. Sappiamo tuttavia di un paio di bug in grado letteralmente di rompere il gioco, come anche di performance peggiori su console base. Senza dubbio qualcosa di cui tenere conto prima di procedere all’acquisto.
- Grandissimo rispetto per il canone di Star Wars
- Il finale riesce ad esaltare
- Sistema di combattimento divertente e versatile, una volta completo
- Level design verticale e sfaccettato
- Direzione artistica eccellente
- Narrativa perlopiù pretestuosa e priva di sostanza
- Poca pulizia del codice, parecchi bug e frame rate non sempre stabile
- Fastidiosamente derivativo nei confronti degli action adventure
- Spesso tecnicamente arretrato
- Tempi di caricamento considerevoli