The Legend of Zelda: Link’s Awakening – Il sogno dell’eroe

Abbiamo giocato il remake del titolo originariamente approdato su Game Boy nel lontano 1993, ora rimesso a nuovo su Nintendo Switch sull’onda dell’immenso successo di Breath of the Wild. Pronti ad immergervi di nuovo nell’isola sognante di Koholint?

Tra le proprietà intellettuali più storiche e consolidate di Nintendo, The Legend of Zelda è uno di quei franchise letteralmente alla base del medium videoludico e della sua evoluzione, con una nutrita corte di appassionati sempre pronti a vestire i panni del caro vecchio Link. Con un ritorno di fiamma dal deciso sapore di killer application, Breath of the Wild ha ribadito la forza del brand e superato ogni possibile aspettativa commerciale e di critica, araldo manifesto della rinascita della compagnia nipponica dopo il disastro di Wii U.

In attesa del seguito del capolavoro del 2017, proseguendo sullo stesso fil rouge e anche approfittando della possibilità di attrarre nuovo pubblico con un marchio ora certo decisamente rinforzato, Nintendo scalda i motori del finale dell’anno con un remake di Link’s Awakening, titolo storico della serie che quindi si va ad aggiungere a Luigi’s Mansion 3 e Pokemon Spada e Scudo per una line-up a dir poco impressionante.

 

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Tornato a lustro su Switch con un aggiornamento grafico su ogni fronte, Link’s Awakening vede la sua pubblicazione su Game Boy nel 1993, dove ha rappresentato la prima comparsa di The Legend of Zelda su piattaforme portatili, per poi essere in seguito portato anche su Game Boy Color con una serie di aggiunte contenutistiche (anche qui presenti). Ve lo diciamo in partenza: per motivi anagrafici chi scrive non ha mai avuto occasione di giocare l’originale Link’s Awakening, al netto di una certa conoscenza pregressa del titolo approfondita in passato.

Quello che troverete in questa recensione è dunque una sorta di punto di vista vergine di un remake che cerca di mantenere la stessa ed identica formula ludica dell’esperienza del ’93, con conseguenti luci ed ombre.

Prima di iniziare, vi ricordiamo che The Legend of Zelda: Link’s Awakening arriverà su Nintendo Switch da domani 20 settembre, perfetto antipasto di un autunno di fuoco.

 

 

Il gioco prende interamente luogo nella misteriosa isola di Koholint

Lontani dalle lande di Hyrule, ben distanti dagli spazi aperti e dai toni decadenti di Breath of the Wild, Link’s Awakening prende interamente luogo nella misteriosa isola di Koholint, dove Link si ritrova in seguito a quello che sembra essere un naufragio. Salvato dalla dolce Marin – che il nostro eroe confonde per Zelda -, Link si mette subito in moto per fuggire dall’isola e comprendere il mistero insito nella sua natura.

Il risveglio del Pesce Vento (una sorta di divinità dell’isola) dall’uovo sulla cima del Monte Tamaranch (forse il luogo più iconico del gioco) sembra essere l’unica via d’uscita, ed ecco dunque lo spadaccino dal cappello verde affrontare ogni pericolo per recuperare gli otto Strumenti delle Sirene, sorgente dell’unica armonia in grado di destare da un così lungo sonno.

La trama di Link’s Awakening nasce e muore nel suo incipit

Come da tradizione per un The Legend of Zelda – più concentrato sul gameplay e sull’atmosfera che davvero sulla narrativa -, la trama nasce e muore nel suo incipit, nonostante lasci alla fine dei conti qualche sorpresa lungo la strada dal sapore agrodolce e delicatamente riflessivo, arricchita da riferimenti intelligenti, cameo, continue e simpatiche rotture della quarta parete e da una localizzazione italiana a dir poco ottima.

L’isola del Pesce Vento vive in sé stessa e per sé stessa, suggestiva ed allo stesso tempo sfaccettata, arricchita da preziose melodie (il sonoro è al solito su livelli altissimi) e figlia di un design anacronistico che la rende agli occhi di un giocatore moderno incredibilmente densa, tra strutture sotterranee, zone dapprima precluse e segreti collegamenti.

 

 

La volontà alla base è sempre quella di regalare un’esperienza da vero adventure

Sì, perché di base questo remake di Link’s Awakening – realizzato da Nintendo internamente con l’aiuto di Grezzo (già team alle spalle di diverse riedizioni della saga) – mantiene al completo intatto il design del titolo edito su Game Boy e Game Boy Color, integrando le aggiunte della seconda edizione (il dungeon dei colori, ad esempio) e limitandosi invece a riproporre per intero meccaniche e level design. Ritorna quindi la visuale dall’alto – con tratti in 2D – e la stessa ed identica volontà di regalare un’esperienza da vero adventure, ricca di puzzle più o meno complessi e incentrata a pieno regime sull’esplorazione dell’isola e di ogni suo anfratto.

E’ un tipo di approccio che potrebbe di certo finire per stranire un pubblico giovane abituato ad esperienze ormai lineari o al contrario di ampio respiro, entrambe contrarie ad un Link’s Awakening disposto ad imporre il ragionamento e un ripido backtracking esplorativo, non semplice da risolvere senza una guida a fare da Cicerone.

Per i neofiti, se in Breath of the Wild la parola chiave era libertà, in Link’s Awakening e nel suo remake tutto affonda in una lunga catena composta di oggetti e potenziamenti, senza i quali la progressione subisce improvvisi alt scanditi da ostacoli in toto non aggirabili.

La pazienza di sciogliere le matasse più complesse, virtù ormai aliena al mondo videoludico mainstream, è coraggiosamente al centro di questa operazione di remake, ora come in passato. Vi troverete quindi a muovere statue di galline, a rompere uova giganti a suono di musica, a resuscitare creature defunte con il suono di un’ocarina o ancora ad analizzare con fare amanuense precedenti indizi o luoghi esplorati.

Il gioco mantiene infatti una certa reticenza nel mostrarvi la via maestra, nonostante i consigli di nonno Ulrira, un comodo registro, le mappe e i testi trovati in gioco spesso aiutino a comprendere la direzione corretta.

 

 

Link’s Awakening non è in ogni caso uno di quei titoli che risulta possibile da giocare senza grosso impegno di tempo ed intelletto

Certo, Link’s Awakening non è in ogni caso uno di quei titoli che risulta possibile da giocare senza grosso impegno di tempo ed intelletto, ma richiede – specie da metà avventura in poi – una buona concentrazione, una solida memoria e tanta buona volontà. Tre componenti essenziali quelle di cui sopra per affrontare senza perdere il ben dell’intelletto gli otto dungeon del gioco (senza considerare un nono figlio dell’edizione DX per Game Boy Color), di difficoltà crescente e abili nell’offrire una sfida notevole ai giocatori della prima ora, che si troveranno quindi ad affrontare nelle ultime battute un design cerebrale degno del più sadico degli architetti, in un violento vorticare di scale, passaggi segreti, boss/miniboss e chiavi in grande quantità.

Se insomma non volete farvi esplodere le sinapsi una volta arrivati alla Torre dell’aquila (ma anche prima), seguite un consiglio sacrosanto: prendetevi del tempo, ragionate e (ri)esplorate. Questa iterazione risale al 1993 ormai non nelle vesti grafiche, ma di sicuro nella sostanza ludica, e di conseguenza urge uno sforzo di mimesi verso un modo di giocare molto diverso rispetto a quello presente.

I controlli rientrano nel panorama di un pacchetto non invecchiato indenne

Pure i controlli rientrano nel panorama di un pacchetto non invecchiato indenne, sensibili all’imprecisione soprattutto nelle poco riuscite fasi platform (molto pesanti ed appena accennate) ed in primis per via dei mefistofelici analogici della console ibrida Nintendo, assolutamente inadatti al sistema ad otto direzioni qui scelto.

La longevità di questo remake può facilmente variare in base al giocatore con in mano il pad

Per i suddetti motivi la longevità di questo remake di Link’s Awakening può facilmente variare in base al giocatore con in mano il pad; se avete giocato l’originale per raggiungere l’epilogo nell’uovo impiegherete poco più di una decina di ore, laddove invece se siete al vostro primo rodeo Koholint occuperà almeno una quindicina delle vostre ore, fino ad arrivare al numero tondo nel caso si decida di non accelerare eccessivamente il ritmo.

Quali sono allora le modifiche sensibili di questo remake? Degna di nota nell’economia dell’esperienza è sicuramente l’aggiunta della Capanna di Danpei, ovvero un editor per dungeon, dove sarà possibile affrontare sfide specifiche ed impiegare nell’elaborazione tessere di sotterranei già esplorati (mantenendo il minimo di coerenza, si intende).

Ogni modello acquista una dimensione plastica che giova alla percezione onirica dell’ambiente

Lo stravolgimento di asset grafici approfitta invece dei quasi trenta anni trascorsi per andare a rendere più appetibile ad un pubblico giovane una formula di gameplay già di per sé complessa da approcciare (come detto). E’ un lifting dove ogni modello acquista una dimensione plastica, andando ad accentuare la sensazione di straniamento onirico che tanto appartiene all’isola sormontata dal Monte Tamaranch.

 

 

Nell’ottica di una rappresentazione dunque stilizzata shader e resa dei materiali riescono complessivamente a sorprendere, rendendo l’intera Koholint spesso simile ad una ricca collezione di curati diorami. In generale, l’impostazione a quadri viene limitata esclusivamente ai dungeon e alla caverne, mentre nell’overworld risulta assente qualsiasi tipo di transizione.

Non nascondiamo che l’ottima qualità dell’illuminazione e dei particellari, una rinnovata implementazione estensiva della fisica e la maniacale attenzione al dettaglio negli interni (quest’ultimo punto impressionante) siano alla fine dei modi per nascondere il consueto aliasing tipico delle produzioni Nintendo Switch, per forza di cose abbastanza evidente in modalità TV e di contro impercettibile in handled. Purtroppo sia in modalità portatile (a risoluzione ridotta), sia una volta connessa al dock, i cali di frame rate sono davvero molto presenti, specie nel secondo caso, evidenziando il costo imposto dall’hardware per un colpo d’occhio così piacevole.

90
ME GUSTA
  • Il fascino di Koholint è innegabile e la resa dell'aggiornamento grafico è in grado di sorprendere
  • Un gameplay estremamente fedele all'originale che potrebbe fare la gioia dei nostalgici
  • Dungeon in quantità, complessi ed estremamente improntati sul ragionamento. Pan per focaccia per chi non ne aveva digerito l'assenza in Breath of the Wild
  • Un sonoro di altissimo livello
  • Cura verso i dettagli maniacale
FAIL
  • Il game design anacronistico potrebbe infastidire i neofiti ed il pubblico poco paziente
  • La reticenza di indicazioni esplicite raggiunge livelli discutibili nelle battute finali
  • Frame rate fin troppo ballerino, specie in modalità TV
  • Fasi platform da dimenticare e comandi da rivedere
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