lo sbarco sulla Luna non è nato sulla scia delle più nobili cause: non era un progetto ideato per realizzare nuove scoperte in campo scientifico e tecnologico per il futuro dell’umanità, ma piuttosto dalla necessità di affermare la supremazia della potenza statunitense sul mondo.
Ma forse è stata proprio questo obiettivo che ha permesso di realizzare il progetto in così poco tempo e con successo. Forse senza questo desiderio di egemonia sul mondo non ci sarebbe stato nessuno sbarco.
Questo articolo è parte di una serie, parti dal primo se non l’hai ancora letto:
Come andare sulla Luna
Tra le decisioni più importanti e difficili prese dalla NASA c’è stata la definizione delle modalità per andare sulla Luna. Oltre alla sfida già straordinaria di arrivarci, c’era anche quella del tempo: la scadenza che Kennedy aveva fatto partire scadeva alla fine degli anni sessanta.
Era fondamentale che la decisione non fosse ritardata, perché la modalità di volo dettava anche lo sviluppo del veicolo spaziale che si sarebbe utilizzato.
Erano tre gli approcci di base avanzati per portare a termine la missione lunare:
1: Direct Ascent
Il veicolo spaziale sarebbe stato lanciato direttamente verso la Luna, grazie ad un enorme lanciatore. Il Razzo Nova, che avrebbe potuto generare fino a 40 milioni di libbre di spinta, sarebbe stato in grado di portare a termine questa impresa.
Nonostante la semplicità del progetto e anche se altri fattori non avessero alterato la possibilità di salita diretta, il costo enorme e l’elevata sofisticazione tecnologica del Nova portarono ad escludere questa opzione rapidamente, provocando la cancellazione del progetto all’inizio del 1960.
2: Earth-Orbit Rendezvous
l’idea era quella di lanciare diversi moduli separatamente per poi farli incontrare e assemblare in un unico sistema e inviarli poi sulla Luna. La fattibilità dell’approccio poteva essere assicurato dal lanciatore Saturn, già in fase di sviluppo e con la possibilità di generare una spinta pari a 7,5 milioni di libbre e da una Stazione Spaziale Orbitante che sarebbe servita come punto di incontro, di assemblaggio e di rifornimento.
Nonostante il progetto della Stazione Spaziale Orbitante sarà uno dei progetti a lungo termine della NASA per le future esplorazioni dello spazio, il progetto era anche pieno di insidie soprattutto per quanto riguardava la sicurezza sia nell’assemblaggio dei componenti in assenza di gravità che per il rifornimento.
3: Lunar-Orbit Rendezvous
La proposta avanzata era quella di inviare l’intera navicella nello spazio con un unico lancio. Con questo lancio la navicella sarebbe giunta fino all’orbita lunare e avrebbe inviato un piccolo lander sulla sua superficie.
Tra i tre approcci questo risultava il più semplice a livello di costi operativi e di realizzazione, ma risultava anche il più rischioso: il rendez-vous si sarebbe svolto in orbita lunare, invece che sulla Terra, non c’era spazio per errori o l’equipaggio non sarebbe potuto tornare a casa.
Inoltre alcune delle correzioni e delle manovre più impegnative del percorso dovevano essere fatte dopo che il veicolo spaziale era stato impegnato in un volo attorno alla Luna.
Il dibattito non fu privo di scontri, tant’è che tra i sostenitori dei diversi approcci a Washington ci si rese conto che oramai la scelta non verteva più solo su questioni tecniche, ma era diventata una vera e propria questione politica.
Il 7 novembre del 1962 fu presa la decisione definitiva e fu annunciata la scelta del Lunar-Orbit Rendezvous.
Questo pose le basi per tutti gli aspetti operativi del Programma Apollo.
Le missioni preparatorie
Annunciato il programma e deciso quale strategia applicare per il viaggio sulla Luna, occorreva ora occuparsi della parte tecnica. I programmi precedenti l’Apollo furono il banco di prova per raggiungere l’obiettivo finale.
Il Programma Mercury (1961)
Il Programma Mercury nacque con lo scopo di portare in orbita nello spazio attorno alla Terra l’uomo, esplorare gli aspetti tecnici di tracciamento e controllo, le condizioni di microgravità e i problemi biomedici per i voli spaziali.
La pietra miliare del progetto fu il volo del 15 e16 maggio 1963 di Gordon Cooper, che fece il giro della Terra 22 volte in 34 ore.
All’epoca dell’annuncio del Progetto Apollo da parte del presidente Kennedy nel maggio 1961,la NASA era ancora consumata dal compito di portare un uomo in orbita.
Il primo volo effettuato ancora prima dell’annuncio del programma Apollo presentò non pochi problemi ed il secondo fu anche peggio.
Nella missione suborbitale lanciata il 21 luglio del 1961 il boccaporto si staccò prematuramente dalla capsula Mercury e affondò nell’Oceano Atlantico prima che potesse essere recuperato: l’astronauta Gus Grissom è quasi annegato prima di essere portato in salvo da un elicottero di salvataggio.
Il 29 novembre fu la volta del primo ominide, lo scimpanzé Enos fu lanciato in orbita e fece due giri della Terra prima di essere recuperato con successo nell’oceano.
Ma fu solo con il volo del 20 febbraio del 1962 con a bordo l’astronauta John Glenn che l’America riacquistò un po’ di orgoglio nazionale recuperando almeno alcuni dei successi sovietici.
Il pubblico, più che per il successo tecnologico, ha abbracciato Glenn come personificazione di eroismo e dignità.
Da questo successo la NASA comprese come un astronauta potesse influenzare l’opinione pubblica: si acquisì un nuovo e potente strumento di pubbliche relazioni.
Il Programma Gemini (1965)
Anche se il programma Mercury aveva fornito molte informazioni e molte soluzioni a livello tecnico, era ora necessario studiare anche altre situazioni: la localizzazione nello spazio, le manovre verso il rendez-vous, l’attracco con un altro veicolo spaziale, la capacità degli astronauti di lavorare fuori da un veicolo spaziale, la raccolta di dati fisiologici più sofisticati sulla risposta umana a voli spaziali estesi. Da queste necessità nacque il Programma Gemini con l’obiettivo principale di perfezionare le tecniche per il rendez-vous e l’attracco.
Il programma comprese la costruzione di un veicolo per ospitare due astronauti per voli estesi (più di due settimane) ed è stato pioniere nell’uso delle pile a combustibile.
Anche il programma Gemini riscontrò non pochi problemi con costi elevatissimi: da una stima iniziale di 350 milioni di dollari si arrivò ad un conto effettivo di oltre 1 miliardo.
Lo sforamento del budget però fu giustificato con successo dalla NASA come necessità per soddisfare l’impegno di sbarco di Apollo. Alla fine del 1963 la maggior parte delle difficoltà riscontrate furono risolte ed il programma era pronto per il volo.
Il 23 marzo del 1965 l’astronauta Virgil Grissom e l’aviatore scelto John Young fecero il primo volo di prova e poi nel giugno del 1965 l’astronauta Edward H. White rimase per quattro giorni nello spazio ed eseguì la prima attività extraveicolare (EVA): lo spacewalk.
Il 16 marzo 1966 venne lanciato in orbita il satellite Agena mediante un razzo vettore del tipo Atlas e anche il Gemini 8 con a bordo Armstrong e Scott. Dopo circa sei ore di volo la manovra di aggancio del Gemini 8 (docking) riuscì perfettamente. Fu il primo aggancio di due veicoli spaziali effettuato in un’orbita intorno alla Terra.
Nonostante i grandi e piccoli problemi riscontrati, il programma Gemini fu un successo e la banca di dati acquisita contribuì a colmare il divario tra Mercury e ciò che sarebbe stato necessario per completare Apollo entro i limiti di tempo stabiliti dal Presidente Kennedy.
I Programmi di Ricerca Satellitare (1966)
I risultati ottenuti dai programmi precedenti, seppur straordinari, non completarono il quadro necessario: occorreva conoscere di più sulla Luna prima di sbarcarci degli astronauti.
Occorreva conoscere la composizione e la geografia della Luna: se la superficie fosse stata abbastanza solida per supportare il peso di un lander, se i sistemi di comunicazione avessero funzionato e quali tipo di radiazioni si sarebbe dovuto sopportare.
Tre distinti programmi di ricerca satellitare furono avviati dalla NASA per perseguire questi scopi.
Al primo Ranger Program, iniziato negli anni ’50 in risposta ai successi sovietici e totalmente fallimentare, seguirono il Programma Lunar Orbiter, approvato nel 1960 e utilizzato per mappare la superficie lunare e scattare fotografie e il Programma Surveyor nato nel 1961 che completò la raccolta di dati.
Il Lunar Orbiter, lanciato tra l’agosto del 1966 e agosto del 1967, oltre alle fotografie inviate alle stazioni di rilevamento sulla Terra, fu utile anche per esperimenti scientifici: selenodesia, rilevamento di meteoriti e misurazioni delle radiazioni.
Il Programma Surveyor comprendeva la progettazione di un lander che poteva scattare fotografie post-atterraggio ed eseguire una varietà di altre misurazioni.
I vari atterraggi dal Surveyor 1 al Surveyor 4 e successivi, tra fallimenti e successi, fornirono fotografie, misurazioni della composizione e della resistenza superficiale della crosta lunare e letture sulla riflettività termica e radiazioni del suolo.
Il Lanciatore Saturn V (1967)
Era ora necessario pensare alla spinta necessaria a portare in orbita Apollo, obiettivo che sarebbe stato ottenuto con la costruzione del razzo lanciatore Saturn V. La NASA inglobò la Ballistic Missile Agency dell’esercito sviluppando la famiglia dei Saturn.
Il Saturn I fu la prima generazione di vettore alimentato da una combinazione di ossigeno liquido (LOX) e da una particolare versione di cherosene (RP-1), poteva raggiungere una spinta pari a 205.000 libbre.
Era esclusivamente un vettorei per la ricerca e sviluppo ed effettuò dieci voli tra l’ottobre 1961 e il luglio 1965. Queste missioni furono utilizzate per posizionare i carichi scientifici e le capsule di test Apollo in orbita.
Successivamente si passò allo sviluppo del Saturn IB, una versione aggiornata del precedente vettore con razzi più potenti che generavano 1,6 milioni di libbre di spinta nel primo stadio e dove la combinazione a due stadi avrebbe potuto mettere in orbita terrestre carichi utili fino a 62.000 libbre.
Il culmine dell’ingegnerizzazione e della ricerca scientifica si raggiunse con il Saturn V: alto 110 metri e con tre diversi stadi, questo era il vettore che poteva portare gli astronauti sulla Luna.
Il Saturn V già dal primo test statico con il suono fragoroso dei suoi propulsori suscitò grande meraviglia e confermò che l’obiettivo del presidente Kennedy era alla portata della tecnologia dell’epoca. Ma non solo. Il Saturn V identificava anche il grande sforzo tecnologico fatto dalla NASA: i suoi propulsori, noti come F-1, sono stati alcuni dei risultati di ingegneria più significativi del programma, richiedendo lo sviluppo di nuove leghe e diverse tecniche di costruzione per resistere al calore estremo generato.
Anche in questo caso ci fu qualche intoppo: lo sviluppo era sempre in ritardo e richiedeva un’attenzione costante e finanziamenti aggiuntivi per assicurare il completamento entro la scadenza dell’allunaggio di fine decennio. La maggior parte dei problemi però non erano di natura tecnica, ma sembravano più che altro di natura filosofica: quale approccio sarebbe stato più utile utilizzare per la fase dei test?
Inizialmente il team iniziò ad utilizzare un approccio incrementale: ogni sistema e componente doveva essere testato separatamente e poi assemblato per altri test. Il metodo assicurava la completezza delle prove, ma era anche un approccio alquanto costoso e sicuramente la NASA non aveva ulteriori risorse da spendere. Allora si decise di procedere con il metodo all-up in cui l’intero sistema Apollo-Saturn sarebbe stato testato insieme senza preliminari laboriosi e dispendiosi.
Il primo lancio di test del Saturn V ebbe luogo il 9 novembre 1967 con l’intera combinazione Apollo-Saturn, seguito da un secondo lancio il 4 aprile 1968 che confermò la fine del programma di test e che decretò la possibilità di un volo con a bordo degli astronauti.
In 17 test e 15 lanci pilotati, la famiglia dei booster Saturn ha ottenuto un tasso di affidabilità del lancio pari al 100%
Dall’Apollo 1 ad Apollo 11 (1967-1969)
Non restava ora che iniziare a fare sul serio ed avviare il progetto Apollo. Dopo i vari successi ci fu una brusca interruzione. Un terribile incidente il 27 gennaio nel 1967 portò alla morte dei tre astronauti Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee uccisi da un incendio scoppiato nel modulo di comando dell’Apollo 1 durante i test di pre-volo.
La NASA chiamò la missione AS-204, nome che rimase dato che il volo non si era svolto, ma venne ridenominata Apollo 1, in memoria di quel volo che gli astronauti avrebbero dovuto svolgere e non fecero mai.
Ci furono delle indagini ovviamente che rilevarono delle inefficienze nell’ambito della gestione del progetto. I membri del consiglio appresero che l’incendio era stato causato da un cortocircuito nell’impianto elettrico alimentato dall’ossigeno. Furono richieste diverse modifiche al veicolo spaziale, incluso il passaggio a un ambiente meno ricco di ossigeno. I cambiamenti alla capsula proseguirono rapidamente e in poco più di un anno la capsula fu pronta per un nuovo volo.
Dopo questa prima tragedia il 9 novembre del 1967 iniziò una sequenza di lanci che avrebbero culminato con lo sbarco sulla Luna. Apollo 7 (ottobre 1968), il primo volo con un equipaggio di tre uomini (Saturno IB). Apollo 8 (dicembre), il primo volo a portare gli astronauti fuori dalla forza gravitazionale della Terra e posizionarli nell’orbita lunare. il lancio dell’Apollo 9 nel marzo 1969 testò il modulo lunare nell’orbita terrestre e Apollo 10 nel maggio 1969 che completò tutte le fasi dello sbarco lunare ad esclusione dello sbarco stesso.
Il modulo lunare
Una volta completato con successo la costruzione di un lanciatore e di una navicella in grado di portare l’uomo nell’orbita lunare mancava ancora all’appello una sfida altrettanto difficile: la costruzione del Modulo Lunare Apollo (LEM, Lunar Excursion Module)
Iniziato un anno più tardi di quanto preventivato, il LEM era costantemente in ritardo sul programma e sul budget. Gran parte del problema riguardava la creazione dei due componenti separati del veicolo spaziale, uno per la discesa verso la Luna e l’altro per la risalita verso il modulo di comando, che sarebbe stato manovrato al di fuori di un’atmosfera lunare. Entrambi dovevano funzionare perfettamente si sarebbe rischiato che gli astronauti non tornassero a casa.
Altro aspetto cruciale era la manovrabilità del lander: l’allunaggio era tutto meno che facile. Gli astronauti fecerò diversi test sulla Terra, ma le incognite erano ancora tantissime.
L’arrivo sulla Luna
Quando Neil Armstrong e Edwin “Buzz” Aldrin misero piede sulla Luna il 20 luglio 1969 fu il culmine di oltre otto anni di scrupolosa pianificazione e organizzazione. La missione che il presidente Kennedy assegnò alla NASA fu compiuta in tempo, con un costo stimato in circa 20 miliardi di dollari.
Gli Stati Uniti in quegli anni avevano bisogno di un traguardo che risollevasse gli animi, la società americana stava subendo la crisi della guerra in Vietnam e le difficoltà dei rapporti razziali.
Fu in quell’istante che unala nazione intera si unì per concentrarsi su questo evento epocale.
Erano le 4:18 del pomeriggio nella costa Est del 20 luglio del 1969 quando il LEM con a bordo gli astronauti Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin atterrarono sulla superficie della Luna mentre Michael Collins orbitava sulle loro teste nel modulo di comando dell’Apollo.
Armstrong mise piede sulla superficie e Aldrin presto lo seguì.
I due arrancavano intorno al sito di atterraggio (la gravità lunare è un sesto di quella terrestre) e piantarono la bandiera americana sul suolo lunare, raccolsero campioni di suolo e roccia e avviarono diversi esperimenti scientifici.
Prima dell’allunaggio diverse manovre furono necessarie. Dopo il distacco del modulo lunare Eagle (Aquila, il simbolo degli Stati Uniti) dal modulo di comando (battezzato Columbia) Il primo di cinque allarmi iniziò a suonare a causa di un sovraccarico del computer. La base di comando di Houston diede comunque il via libera a proseguire l’allunaggio.
L’equipaggio verificò la maneggevolezza del LEM e passò alla guida automatica dieci secondi dopo. Giunti a 1.100 piedi il LEM fu manovrato manualmente durante gli ultimi due minuti e mezzo di discesa. Un ennesimo allarme si accese per il basso livello di carburante a pochi secondi dall’allunaggio. Durante l’avvicinamento finale il comandante Armstrong notò che il punto di atterraggio verso cui era diretta la navicella era al centro di un grande cratere con massi di grandi dimensioni. Decise quindi di passare al controllo manuale e di volare oltre il cratere, rischiando però di finire il carburante. Arrivò ad allunare con solo pochissimi di secondi di carburante ancora disponibili.
Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed.
Il LEM sbarcò a Mare Tranquillitatis (Mare della Tranquillità) a 0,67408 ° di latitudine nord e 23,57297 ° di longitudine est e 22.500 piedi a ovest del centro dell’ellisse di atterraggio.
Dopo aver indossato i sistemi portatili di supporto vitale Armstrong si preparò per uscire dal LEM. Il portello anteriore si aprì e l’astronauta uscì all’esterno. Durante la discesa della scala del LEM una telecamera esterna fornì la copertura televisiva in diretta mondiale. Il piede sinistro di Armstrong ha effettuato il primo contatto con la superficie lunare alle 02:56:15 GMT del 21 luglio (22:56:15 EDT del 20 luglio).
Questo è un piccolo passo per l’uomo,
un passo da gigante per l’umanità.
Armstrong cominciò subito a descrivere la superficie lunare riferendo che sotto un primo sottile strato di polvere si incontrava del materiale molto duro. Il comandante quindi fotografò Buzz mentre usciva e scendeva sulla superficie.
Dopo la discesa l’equipaggio svelò una placca montata sul montante del LEM lesse l’iscrizione al pubblico televisivo di tutto il mondo:
La targa presentava le firme dei tre membri dell’equipaggio di Apollo e del presidente Nixon. Successivamente, Armstrong rimosse la telecamera per mostrare il panorama lunare e la posizionò sul suo treppiede per registrare le successive operazioni extraveicolari sulla superficie. L’esplorazione durò due ore e mezzo.
Il giorno dopo decollarono verso il modulo di comando in orbita sopra le loro teste e iniziarono il viaggio di ritorno verso la Terra. Attraversarono l’atmosfera terrestre e si tuffarono nel Pacifico il 24 luglio 1969.
La trasmissione fu diffusa in tutto il mondo e suscitò emozioni indescrivibili. Anche in Italia non mancò la trasmissione della RAI che raccontava con il commento di Tito Stagno in diretta.
Tra gli ospiti anche lo scrittore Alberto Bevilacqua che in una intervista disse:
Rimasi per sette ore in RAI senza rendermene conto, tanto era il fermento. Eravamo sulla Luna, quella che i poeti di ogni tempo avevano cantato.
Eppure la camminata sulla Luna era già stata immaginata dalla fantasia dell’Ariosto e questo, forse, rendeva quel fatto ancora più suggestivo e straordinario.
Cosa ha significato il
Programma Apollo
Come indicato da molti la missione Apollo 11 fu considerata una svolta nella storia degli Stati Uniti, perché l’impegno nella sua realizzazione e i successi ottenuti hanno dimostrato la sua potenza in campo scientifico e tecnologico.
Oltre a realizzare le ambizioni politiche per cui era stato creato, il programma Apollo ha determinato il trionfo dello sviluppo tecnologico, ingegneristico e di gestione di progetto.
Infatti la chiave di volta del successo è stata quella di assicurare il coordinamento tra le varie attività di ricerca, sviluppo e ingegnerizzazione del progetto: tutto per un’unico obiettivo, far sbarcare un americano sulla Luna e farlo tornare sulla Terra in sicurezza.
Per ultimo, ma non meno importante, il progetto ha portato a vedere la Terra da un’ottica differente.
L’Apollo 8, una delle missioni del progetto Apollo, è stato fondamentale per questo cambiamento poiché ha dato al mondo le prime immagini della Terra da lontano.
Archibald MacLeish ha scritto:
Vedere la Terra come è veramente, piccola e blu e bella in quel silenzio eterno dove galleggia, è vedere noi stessi come piloti sulla Terra insieme, fratelli in quella lucente bellezza nel freddo eterno, fratelli che sanno di essere veramente fratelli.
Nonostante il successo il progetto lasciò anche un’eredità divisa tra la NASA e la comunità spaziale.
All’epoca infatti le risorse economiche stanziate per il progetto e la possibilità di disporne come lo si riteneva più opportuno furono intese come straordinarie ed eccezionali. Una organizzazione e libertà di azione difficilmente ripetibile perché concessa in un momento politico particolare.
Il dopo Apollo
Ovviamente, visto il successo del programma Apollo, l’idea comune per il “dopo” era quella di continuare le esplorazioni spaziali: portare altri uomini su pianeti vicini e costruire una stazione spaziale orbitante con sistema di trasporto a basso costo.
Thomas O. Paine, che succedette Webb come amministratore della NASA nell’ottobre del 1968, favorì un programma molto ambizioso: una missione umana su Marte, una nuova generazione di veicoli spaziali automatizzati e nuovi programmi in ricerca e tecnologia avanzata.
Tuttavia il futuro della NASA nel 1969 era incerto come lo era stato nell’autunno del 1960.
A quel tempo la NASA era nel bel mezzo del suo terzo anno consecutivo di tagli di bilancio e di licenziamenti: questo determinò la cancellazione del progetto del veicolo spaziale Voyager per l’esplorazione di Marte e del razzo nucleare NERVA II, oltre all’annuncio alla fine del 1969 che il Centro di Ricerca sull’Elettronica sarebbe stato chiuso.
Si è poi compreso che andare oltre al programma Apollo avrebbe permesso di raggiungere nuove opportunità. L’esplorazione del Sistema Solare e dell’Universo resta un obiettivo importante ed allettante per l’umanità.
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