Days Gone: quando il pubblico batte la critica

Alle volte può essere difficile districarsi nel chiacchiericcio videoludico e distinguere un prodotto valido da uno mediocre. L’opinione della critica talora è contraddittoria. Non sempre essa, purtroppo o per fortuna, influenza il comportamento dei consumatori: giochi accompagnati da recensioni lusinghiere possono tranquillamente rivelarsi un insuccesso al botteghino. A Days Gone, l’ultima esclusiva per PS4 sviluppata dagli studi interni di Sony, pare stia capitando l’esatto opposto.

Eppure Days Gone  si è piazzato in testa alla classifica delle vendite fisiche, scalzando dal trono l’acclamatissimo Mortal Kombat 11.

Attualmente il gioco sfoggia una media Metacritic di 72. Altri aggregatori di recensioni come Gamerankings propongono un 70,78% e OpenCritic non si allontana di molto con un 72.

Eppure il titolo, a pochi giorni dal lancio nel Regno Unito, si è piazzato in testa alla classifica delle vendite fisiche, scalzando dal trono l’acclamatissimo Mortal Kombat 11. Vero è che i numeri finora registrati sono comunque inferiori rispetto a quelli macinati nel medesimo periodo dello scorso anno dall’esclusiva Sony di maggior peso, God of War, che a parità di giorni dalla pubblicazione aveva capitalizzato il 27% di copie in più.

Ma il risultato resta comunque degno di nota, considerando che Days Gone è una proprietà intellettuale nuova di zecca (mentre Kratos lo conosciamo da lustri) e che, appunto, i commentatori di mezzo mondo ne hanno seppellito la reputazione sotto un diluvio di voti mediocri.

 

 

Quali considerazioni si possono trarre da tutto ciò? Ammesso che esista una verità, essa non può che rientrare nel campo del soggettivo. Al sottoscritto – lo metto in chiaro subito – Days Gone è piaciuto e nemmeno poco.

Lo avessi recensito io, avrebbe sfiorato il 9. Contrariamente a diversi articoli – specie delle testate internazionali – che ho letto in giro, durante le mie sessioni di prova, avvenute sia prima che dopo il rilascio delle varie patch di aggiornamento, non ho mai avvertito alcun problema di ordine tecnico di gravità tale da rovinare il divertimento o compromettere l’esperienza. Il gioco è bello da vedere e, quantomeno su Ps4 Pro, gira con una fluidità davvero apprezzabile.

 

 

Qualche occasionale compenetrazione di poligoni, qualche lieve calo di frame, qualche piccola magagna da limare, senza dubbio c’è. Ma se il mio giudizio fosse condizionato da simili sbavature allora per onestà intellettuale dovrei anche chiedermi quante produzioni di questa portata possano essere considerate del tutto prive di imperfezioni. Temo che la risposta sarebbe impietosa.

I detrattori dell’opera evidenziano altresì alcune incoerenze da open world acerbo. Non hanno tutti i torti. Capita ad esempio che Deacon sia in moto sotto la pioggia, raggiunga il personaggio X e la missione si avvii con il sole che inspiegabilmente dardeggia, senza nemmeno l’ombra di una nuvola in cielo.

E vabbè, il prodotto poteva senz’altro essere rifinito un po’ più a fondo. Ma a mio parere vale lo stesso discorso di poco fa: si tratta davvero di un difetto talmente grave da abbattere i punteggi di una recensione? Quante opere di questa complessità presentano criticità analoghe?

 

 

 

 

A me la storia di Days Gone è piaciuta.

Altri opinionisti puntano invece il dito contro la sceneggiatura, ritenendola non coinvolgente e caratterizzata da personaggi tratteggiati in modo eccessivamente piatto. Prendo atto della critica, ma proprio non la condivido per due ragioni. Primo: a me la storia di Days Gone è piaciuta. All’inizio Deacon e Boozer mi sembravano uno sgangheratissimo tandem di buzzurri usciti da una copertina degli 883 dei tempi di Mauro Repetto, due tizi dal temperamento arruffone e monocorde, da prendere a pedate.

Col passare delle ore però – a dimostrazione che in tutto, videogiochi compresi, occorre un minimo di pazienza – la vicenda personale di Deacon si snoda e, con essa, viene fuori il carattere del protagonista, con il suo bel carico di difetti (come l’impulsività e una certa dose di insensibilità verso le sorti di chi non fa parte della sua cerchia di affetti) e pregi (il ragazzo non è uno sprovveduto e, comunque, mostra grandissima umanità con le persone a cui tiene davvero).

A ciò si aggiungano il mistero della fine di Sarah, le indagini della NERO – l’agenzia federale costituita per studiare le larve degli infetti, che ovviamente ha qualcosa da nascondere – e, più in generale, gli interrogativi sulla fine del mondo come lo conosciamo: tutte questioni che hanno stuzzicato il mio interesse fino all’epilogo.

Ma è nel secondo punto di questa personalissima riflessione dove casca l’asino: anche volendo a tutti i costi scatenare il mio spirito critico per sparare a palle quadre contro la trama di Days Gone, essa ai miei occhi apparirebbe comunque più che passabile tenendo presente il genere cui il gioco appartiene.

 

 

Gira che ti rigira la faccenda a mio modo di vedere è sempre quella: progettare un open world sorretto da una trama d’autore è un vero casino, un’impresa quasi impossibile. E penso che la struttura che questo genere di prodotti conserva nel DNA dai tempi di GTA III non sia per nulla adatta allo scopo, perché, volente o nolente, spezza costantemente l’incantesimo della narrazione, concedendo al giocatore una montagna di occasioni per fare un pessimo uso della sconfinata libertà di cui dispone.

Troppi incarichi secondari, troppe attività collaterali, troppe cose da fare equivalgono a troppe distrazioni, a troppe alternative – alle volte, paradossalmente, persino più divertenti – rispetto alla trama principale. Penso che esista qualche fortunata eccezione, qualche prodotto così ben scritto da mantenere la concentrazione focalizzata sull’architrave narrativo portante: basti pensare a Red Dead Redemption o a Yakuza.

Ma per quanto possa sforzarmi non mi vengono in mente free roaming che possano avvicinarsi, per ritmo, profondità, respiro, coesione ed efficacia della sceneggiatura alle avventure lineari che hanno fatto la storia dei videogiochi, come i capitoli classici di Metal Gear Solid o, in tempi più recenti, The Last of Us. E non citatemi quell’incredibile guazzabuglio che è il copione di Horizon Zero Dawn, per favore.

Ma senza scomodare mostri sacri, per quanto mi riguarda persino alcuni titoli minori – come Life is Strange, Alan Wake o lo splendido A Way Out – si fondano su canovacci che mi hanno inchiodato allo schermo come nessun Assassins Creed è riuscito a fare.

Anzi, se proprio devo dirla tutta recentemente solo due open world sono riusciti a tenere alta la soglia del mio interesse ogni singolo istante di gioco. Uno è Red Dead Redemption 2, che è stato adorato dalla critica, ma aspramente criticato da tantissimi giocatori per la sua lentezza pachidermica. Che volete che vi dica, a me ha fatto impazzire: gli ho dato il perfect score qui su Leganerd e glielo ridarei ancora.

Perché ha una trama che condiziona ogni attività, incarichi secondari compresi, e io a certi videogiochi chiedo principalmente questo: una storia potente in cui perdermi, che riesca a farmi viaggiare con la mente. Esattamente come un romanzo. E il secondo – rullo di tamburi – è proprio Days Gone. Penso che il lavoro di Sony Bend stia qualche gradino sotto all’epopea di Arthur Morgan e John Marston per qualità di scrittura, ma lo ritengo comunque un open world piacevolissimo.

 

È un titolo che frulla un sacco di idee già viste altrove, ma le frulla bene e, soprattutto, è un prodotto in cui spesso non ha senso la demarcazione tra missioni principali e collaterali, perché i filoni narrativi sono più di uno.  

Days Gone, sia chiaro, non è un lavoro esente da difetti, il primo dei quali, per come la vedo io, è che non introduce nessuna idea nuova. La puzza di stantio c’è, inutile negarlo.

Ciononostante penso che si tratti di un’opera che meriti di essere giocata perché, al netto della banalità dell’ambientazione apocalittica a base di non morti, possiede un’identità propria e si regge su un impianto narrativo che, pur tra qualche alto e basso, funziona e si è rivelato ben più intrigante di quanto mi aspettassi.

Mi auguro davvero che Hideo Kojima, come egli stesso ha dichiarato, sia riuscito a trovare con Death Stranding la formula per rifondare un genere che a mio parere ormai ha sempre meno da dire. Quell’’uomo è capace di tutto. Ma nell’attesa di toccare con mano la sua creatura, mi accontento ben volentieri di divertirmi con Days Gone, ovvero l’inizio di una saga di cui sentiremo ancora parlare su PlayStation 5.

 

 

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