Con la seconda stagione si chiudono i conti anche per il Frank Castle interpretato da John Bernthal, anche se non è ancora chiaro se la serie subirà il destino delle altre sorelle su Netflix. La sfida con Billy Russo/Jigsaw arriverà al suo apice e sarà tempo di redenzione per tutti i personaggi coinvolti in una delle più interessanti e meglio riuscite serie Netflix ispirate al mondo dei comics americani, ovvero The Punisher. Ma molte ombre sono ancora presenti e non tutto ha funzionato come avremmo sperato.
La seconda stagione di The Punisher riprende esattamente da dove ci si era fermati con la precedente:
- Billy Russo ridotto letteralmente a brandelli, ma ancora vivo, pronto per diventare il celebre Jigsaw apparso tante volte sui fumetti.
- Dinah Madani, l’agente dell’Homeland Security traumatizzata, privata della sua ardimentosità dal colpo alla testa inflittole da Billy.
- Frank Castle in cerca di redenzione, o meglio di uno scopo, di un barlume di luce che possa riportare la sua esistenza ad una parvenza di normalità.
Si può dire che tutti siano in cerca di redenzione in questa seconda stagione, che non risparmia il sangue ma nemmeno gli spiegoni e dialoghi un po’ troppo spesso eccessivamente verbosi.
Ma cosa può essere la normalità per personaggi così al limite?
Il nostro Frank, che lontano dalle strade di New York si fa chiamare ancora Pete Castiglione, la normalità sembra averla intravista proprio nel primo episodio, nel momento in cui in Michigan, in un classico roadhouse, incontra una bella e sfortunata barista di nome Beth, madre di un ragazzino abbandonato dal padre.
Quella che poteva essere una semplice notte di passione diventa un richiamo incredibilmente potente per il nostro Frank che capisce di avere – forse – una possibilità per ricostruirsi una vita dopo quanto accaduto nella precedente stagione.
Ma se il Punitore non cerca guai, sono i guai a cercare lui.
I guai hanno il volto bello ed intelligente di Amy Bendix, astuta adolescente in fuga, dopo aver assistito all’assurdo sterminio dei propri amici da parte di una potente organizzazione. Assurdo perchè di fatto i ragazzi in questione hanno assistito a qualcosa di non particolarmente grave: un bacio tra un senatore degli Stati Uniti, rampollo di una potente e religiosissima famiglia, e un altro uomo.
Tanto sarà sufficiente per iniziare una caccia all’uomo con un enorme dispiegamento di forze, killer e malviventi pronti a tutto pur di mettere a tacere la ragazzina, che si mette in fuga ed incontra casualmente Frank, il quale proprio non immaginava di finire in mezzo ad un’altra cascata di sangue così presto.
Amy Bendix arriva direttamente dalle pagine dei fumetti, da quel mitico Punisher War Zone 24 di Larry Hama e John Buscema, nella storia chiamata Suicide Run. Anche se cambiano le connotazioni del personaggio (che nel fumetto è figlia dello sceriffo della comunità locale e protegge Punisher dopo che questi viene ferito gravemente), restano diversi punti in comune e l’omaggio ai comics della Casa delle Idee è sicuramente gradito.
Dopo l’aggressione subita, Frank proteggerà immediatamente Amy e lo scontro che ne scaturirà trasformerà presto il Roadhouse in un mattatoio, finendo per coinvolgere proprio la bella e triste Beth, che sembrava aver donato a Frank una fioca luce di speranza.
Un colpo di arma da fuoco la raggiunge e Frank sarà costretto ad abbandonarla al vicino ospedale, conscio che per lui la strada che porta verso la luce è ormai preclusa per sempre. Il sangue lo chiama, il sangue lo avrà.
O forse semplicemente Frank non vedeva l’ora inconsciamente di trasformarsi nuovamente in The Punisher, reo di non aver veramente chiuso i conti con il suo ex migliore amico e commilitone Billy Russo, che ora giace in un ospedale seguito da una psicoterapeuta di nome Kirsta Dumont che sembra nutrire un particolare interesse verso il suo paziente speciale.
Inizierà quindi una doppia story line: la prima seguirà Frank ed Amy e il loro viaggio in cerca di salvezza dai sicari che vorrebbero uccidere la ragazzina e la seconda con la fuga e il “risveglio” di Billy Russo, privo di memoria, del tutto inconsapevole del motivo che lo ha portato ad arrivare in ospedale e della presenza di quelle (nenche tanto) orribili cicatrici sul volto che lo rendono il Jigsaw dei fumetti, chiara metafora della sua psiche frammentata e ricucita alla meno peggio.
Entrambi saranno destinati ad incontrarsi, è chiaro.
Frank ed Amy (che continua a farsi chiamare Rachel per paura) sopravviveranno ad un assalto al comando di polizia di una piccola comunità rurale, in uno dei momenti più belli ed intensi di questa seconda stagione (episodio 3: Trouble The Water), che ci restituisce il vero Punisher che conosciamo, glaciale nella sua perfetta esecuzione militare di sterminio, eroico – a modo suo – nel salvare i poliziotti dai sicari, ma terrificante e ferale nella determinazione con cui si palesa.
Facciamo qui la conoscenza del vero villain (quanto a caratteristiche) di questa stagione: John Pilgrim, un fervente uomo di fede, con due figli, una moglie terribilmente malata e un passato oscuro di criminalità, che sarà costretto suo malgrado a compiere la missione di recupero di Amy per conto della famiglia che sta pagando le cure mediche alla moglie e che sta proteggendo il segreto del proprio figlio Senatore.
Anche se non è apertamente dichiarato il personaggio è incredibilmente somigliante a The Mennonite, apparso nella serie Punisher Max n.3 (scritto da Jason Aaron e disegnato dal compianto Steve Dillon).
Con la controparte fumettistica oltre all’aspetto, condivide anche tutto il background familiare e religioso, nonchè straordinarie capacità di combattimento che lo rendono una sorta di macchina omicida immortale, capace di incassare una quantità di colpi impressionante.
Freddo e distaccato, con dialoghi asciutti e tante citazioni bibliche ed evangeliche, John Pilgrim (magistralmente interpretato da Josh Stewart) riesce ad essere il perfetto Anti-Punisher.
Se Frank Castle intende vendicare la famiglia in un’infinita lotta alla criminalità, John Pilgrim vuole solo salvare la propria ed allontanarsi da tutto e dal proprio passato, non importa quale sarà il prezzo da pagare.
Entrambi determinati, entrambi devastanti. Entrambi in cerca di una via d’uscita che sembra non arrivare mai, con le mani perennemente sporche di sangue. Tutto perfetto se non fosse per quella note stridente sul finale, che ovviamente non vi spoilero.
La figura di John Pilgrim riesce a mettere in ombra persino Billy Russo, il quale in questa seconda stagione proprio non ce la fa ad essere un villain carismatico e convincente.
Il personaggio interpretato da Ben Barnes, nella ricerca della sua memoria, radunerà un piccolo esercito di ex militari allo sbando (in piena sindrome da Homecoming e ricollegandosi quindi ai temi della prima stagione), inizierà un pericoloso rapporto con la dottoressa Dumont che diventerà sua amante e alleata, in una sorta di sindrome di Stoccolma e contrapporrà ai tentativi di Dinah Madani di superare il trauma subito.
Eppure con un faccino ben ricucito che neanche lontanamente ricorda lo scempio del volto dell’originale Jigsaw (evidenziando quindi segnali di poco coraggio negli sceneggiatori), verbosissimi monologhi e tentativi di psicanalisi e occasionali scene di sesso che non possono mancare con il belloccio di turno, Billy non incute timore nemmeno per un secondo.
Neanche quando attua il suo piano finale per distruggere Frank Castle colpendo il suo unico punto debole: il suo senso di giustizia e il suo rispetto per le vite degli innocenti.
Madani e l’amico Curtis, pur svolgendo correttamente il loro ruolo nell’economia della narrazione, non riescono a farsi ricordare e diventano presto meri strumenti utili per far procedere la storia.
Solo Frank, Amy e John riescono veramente ad imprimersi nella mente degli spettatori.
Ed è un peccato perchè Ben Barnes l’ho sempre trovato un bravo attore, ma questa caratterizzazione del suo personaggio non convince per nulla, anche tenendo debito conto di certe prove attoriali di spessore.
La seconda stagione di The Punisher resta comunque un prodotto valido, di poco inferiore alla precedente secondo il parere del sottoscritto e con molti punti a favore.
Gli episodi si susseguono velocemente, regalando ottimi momenti di azione, coreografie e combattimenti credibili e una solida motivazione dei protagonisti principali.
John Bernthal è sempre strepitoso nei suoi ruggiti e nel modo in cui incassa i colpi ed è un piacere vederlo indossare nuovamente il bulletproof con il teschio bianco sul petto.
Il climax della stagione sarebbe dovuto essere il confronto Frank/Billy e invece finisce per essere il lungo e interessante scontro tra Frank e John Pilgrim, preceduto dal risveglio di Madani ai danni della povera Krista Dumont che fa la figura della fessacchiotta.
Ma allora cosa manca veramente a questa seconda stagione? Manca lo spirito dei fumetti.
Manca il Frank Castle di Garth Ennis (Marvel Knights) ed in parte quello di Jason Aaron, solo per rimanere in ambiti più recenti e senza scomodare le vecchie serie War Journal e War Zone.
Tutti i veri fan del Punitore lo vogliono vedere freddo e rabbioso mentre stermina mafiosi senza battere ciglio, mentre organizza trappole e si ricucisce le ferite.
Pur mantenendo la storyline principale, ci sarebbe piaciuto intravedere di più il Punitore delle scene finali di questa seconda stagione.
Personalmente avrei sperato che il suo percorso di redenzione partisse dal baratro nero della sua follia omicida verso i criminali invece che dall’ennesima perdita di una figura cara. Punisher è solo al mondo, lo sappiamo, non serviva rimarcarlo.
Lo abbiamo visto proteggere una bambina nello story arc di Barracuda e La Lunga e Fredda Notte, senza che che dovesse rinunciare al suo granitico percorso di piombo e sangue.
Avremmo voluto vedere un vero Jigsaw e non un Amleto intento ad interrogarsi ogni minuto sul significato della sua esistenza. Avremmo voluto vedere il Russo, Barracuda (perchè no?) e più episodi come il quarto o il dodicesimo.
Non c’è black humor in questi 13 episodi, aspetto importantissimo nella storie del Punitore di Ennis e che ne hanno decretato il successo. C’è solo qualche battuta di Amy e qualche frecciatina sterile da parte di Curtis. E questo rende a volte pesante l’andamento degli episodi.
Pensate a Preacher su Prime Video: pur con tantissime differenze rispetto il fumetto, lo spirito di Ennis è perfettamente rispettato, con i momenti nonsense e le battutacce che non stonano per nulla con l’iper violenza del prodotto.
Ma ormai il percorso era stato tracciato con la prima stagione e quindi temo che più di tanto non ci si potesse allontanare (sarebbe stato persino controproducente).
E quindi? Punisher Stagione 2 è discretamente piacevole e sicuramente una delle migliori serie Netflix ispirate ai fumetti della Casa Delle Idee (Daredevil rimane comunque superiore), è un prodotto che può e dovrebbe piacere a tanti, ma che ancora non riesce a soddisfare a pieno i veri fan del Punitore.
La serie sarà cancellata? Potremo sperare in una terza stagione prima che il passaggio sulla piattaforma Disney ci levi ogni speranza?
Non posso rispondere, ma se veramente ci fossero le possibilità per una nuova stagione io non avrei dubbi sul cambio di direzione.