Dopo l’attesa e l’hype dell’ultimo anno, arriva al cinema Glass, il terzo capitolo dell’inaspettata saga dei supereroi creati da M. Night Shyamalan, iniziata quasi vent’anni fa con Unbreakable e portata avanti due anni fa con l’incredibile thriller psicologico Split. Adesso che è giunto il momento di tirare le somme di questa trilogia e di capire chi siano i veri villains e i veri eroi di questa storia, sarà riuscito Glass a ricompensare l’attesa?
Che cos’è un eroe? Questa è una domanda che spesso e volentieri abbiamo sentito all’interno delle storie a fumetti. Storie con protagonisti personaggi dalle doti speciali – o dai grossi conti in banca – disposti a sacrificarsi per un bene più grande: la salvezza dell’umanità.
Li abbiamo visti aggirarsi per le grandi metropoli come New York, oppure arrivare da mondi alieni e, ancora, provenire dai miti della mitologia norrena. Eroi morsi da ragni o dal passato difficile che si sono allenati duramente; eroi creati in laboratorio o frutto della mutazione di un gene “x”.
Ma che cos’è davvero un eroe? E qual è la vera differenza tra un eroe e un villain? E se fossero davvero tra noi? Come sarebbero?
Tante domande e poche risposte, almeno fino a questo momento.
M. Night Shyamalan, regista, sceneggiatore e produttore che negli anni abbiamo visto alle prese con storie differenti – tra alti e bassi – ha parlato spesso e volentieri di una trilogia. Ha seminato qualche briciola. Ci ha dato qualche accenno. Ci ha dato la sua visione del mondo dei supereroi, proprio in quel lontano 2000 quando Bruce Willis e Samuel L. Jackson si incontrarono rispettivamente nei panni di David Dunn – un uomo dall’incredibile forza – e Elijah Prince – un appassionato di fumetti affetto da osteogenesi imperfetta.
Assieme ad Unbreakable, Shyamalan iniziava a seminare quello che sarebbe stato il frutto di una moda che, negli ultimi anni, vediamo impazzare più che mai: il cinecomic.
Eppure il regista statunitense di origine indiana tratta l’argomento con una visione assai più realistica del solito a cui siamo stati abituati. Gli eroi sono tra noi senza sbandierare chissà quali incredibili poteri, sono uomini dalle doti straordinarie che decidono sempre di sacrificarsi per un bene più grande, sia in positivo che in negativo.
E a questo Elijah Prince ha creduto tanto, talmente tanto da immolare la sua esistenza alla prova tangibile che si, gli eroi esistono davvero. Eppure, a fine film, dopo il classico plot twist che segna la cifra stilistica di questo regista, sembra essersi concluso tutto lì.
Invece, la vera rivelazione, arriva diciassette anni più tardi con Split. Un film che apparentemente sembra essere un valido thriller psicologico che affonda le mani in un disturbo mentale assai particolare, il disturbo dissociativo dell’identità, ma che invece, proprio sul finale, si mostra essere quell’anello di congiunzione della trilogia tanto “annunciata” e mai realizzata.
Se David Dunn ha rappresentato il bene, il giustiziere, colui che punisce il male in solitaria proprio come un vigilante, Kevin Crumb è l’esatto opposto della medaglia.
Un ragazzo cresciuto nel dolore e nell’abuso che sviluppa 23 personalità distinte, tra cui quelle più dominanti di Dennis e Patricia, devote all’arrivo della Bestia, la personalità più distruttiva di Kevin, la quale deve essere nutrita affinché possa “arrivare alla luce” e proteggere Kevin dal dolore del mondo.
Ma cosa hanno davvero in comune David e Kevin?
Sono davvero dei supereroi? Glass si prefigge di rispondere a questa domanda, riunendo i due individui nella stessa struttura psichiatrica assieme allo stesso Elijah Prince, assopito dal tempo e dalle delusioni. A voler “curare” David e Kevin c’è la dottoressa Ellie Staple, specializzata in casi di uomini che si credono eroi.
Quale occasione migliore per Elijah Prince questa per unire, finalmente, eroi e villain e convincere il mondo della loro esistenza?
Le premesse di Glass sono effettivamente ottime. Un film interessante, dotato di una buona struttura narrativa che riesce a portare al pettine tutti i nodi, riuscendo a far nascere anche dei nuovi interrogativi.
Un film che mostra le grandi capacità come regista di M. Night Shyamalan dimostrandoci come per rendere un combattimento epico e degno di un film della Marvel, non sia davvero indispensabile un budget enorme.
Due bravi attori, due personaggi ben caratterizzati e il parcheggio di un ospedale psichiatrico bastano e avanzo per creare scene che esaltano lo spettatore, gli tolgono il fiato e lo fanno empatizzare con i personaggi.
Tra eroi e villains
Chi sono gli eroi e chi sono i villain? Siamo noi. Questa è la vera risposta di questa domanda. Noi siamo Kevin. Noi siamo David. Noi siamo Elijah. Noi siamo la dottoressa Ellie.
Siamo noi i protagonisti di questa storia, proprio perché l’intenzione di M. Night Shyamalan è quella di rendere gli eroi reali. Di mostrarci, con estrema maestria realistica, come sarebbero davvero degli eroi all’interno del nostro mondo, senza tutine super tecnologiche, potenti armi o grandi organizzazioni alle loro spalle.
La particolarità di Glass sta proprio nel suo incredibile ed efficace realismo che chiude il ciclo di una trilogia che, appunto, si basa sulla veridicità di persone che possiamo effettivamente definire speciali e che ci mostrano quanto, in vero, i supereroi siano vicini a noi.
Glass vuole farci sentire parte, tutti insieme, di un universo espanso.
Non è però purtroppo tutto oro quello che luccica. Glass risente molto “dell’ansia da prestazione” del capitolo finale. Ha molti punti, in particolar modo nella parte centrale, dove c’è fin troppo parlato, le situazioni vengono illustrate e mai per davvero vissute. C’è una stasi dell’azione, dello sviluppo della storia e degli stessi personaggi.
Ci aspettiamo un Mr.Glass all’ennesima potenza, ma ci ritroviamo alla fine ad aspettare un vero momento di svolta, quel click che ci faccia del tutto strabuzzare gli occhi… ma che purtroppo non arriva mai.
Non è totalmente corretto parlare di mancanza di coraggio per quanto riguarda Glass, forse c’è più un freno dovuto alla mole di elementi di cui il film si vorrebbe occupare. Avendo un respiro sicuramente maggiore rispetto a Split, che invece era una pellicola molto stretta, poche ambientazioni, tanta suspense e un climax molto molto alto, Glass non riesce mai davvero a trovare la sua direzione, deludendo le aspettative di un pubblico che, inevitabilmente, si aspettava qualcosa molto più similare a Split e più lontana rispetto ad Unbreakable.
Riguardando Unbreakable ci rendiamo conto che le problematiche sono molto simili a quelle di Glass, proprio perché sono pellicole meno strutturate all’interno di un unico genere.
Sicuramente in questo film a parlare dovevano essere molto di più i personaggi, la loro psicologia e la filosofia che ci può essere dietro il concetto della parola “eroe”. Questo viene fatto nel caso di Kevin, interpretato da uno straordinario James McAvoy che se in Split ci aveva lasciato a bocca aperta, nel caso di Glass si supera totalmente. McAvoy passa da una personalità all’altra di Kevin nel giro di pochi, pochissimi secondi. Muta la voce, l’aspetto, la struttura fisica, lo sguardo e le movenze. Diventa un tutt’uno con il personaggio e permette allo spettatore di fondersi con esso.
Più appesantito, invece, Bruce Willis in un David Dunn che c’è e non c’è sullo schermo.
Sicuramente un personaggio che, come nel suo film “delle origini”, incarna di più la questione dubbio, domanda: se effettivamente può considerarsi un “supereroe”, se è un eroe o un cattivo.
Non riesce mai del tutto a brillare, sebbene nelle sequenze di azione assieme a McAvoy è letteralmente straordinario. Sotto questo punto di vista, sicuramente grazie alla regia e i punti macchina scelti da Shyamalan, Glass ha ben poco da invidiare ai suoi colleghi blockbuster.
Delusione maggiore, non per la performance di Samuel L. Jackson sempre eccelsa e incredibile, ma per l’uso che viene fatto del personaggio di Mr. Glass. Ci aspettavamo un burattinaio decisamente più presente sulla scena, maggiormente protagonista.
Non mancano le sorprese e i piccoli colpi di genio, i piani stratificati di una mente eccelsa ma, un po’ come l’atmosfera di tutto il film, risulta essere particolarmente sottotono.
Anche in questo caso, l’impressione che ci da Shyamalan, forse per voler ricreare un maggiore realismo, è che si sia frenato molto più del dovuto.
L’ombra di Split
Sicuramente il maggior problema di Glass è l’inevitabile confronto che si fa con il suo predecessore. L’adrenalina, la suspense, il modo di costruire tutta la narrazione e il continuo eccedere di Split manca, manca totalmente a Glass.
Ovvero, per essere più specifici, a Glass manca il genere, manca il thriller, una connotazione che renda la pellicola stuzzicante e intrigante. Manca la fascinazione di una storia che sconvolge, attimo dopo attimo, ma che alla fine, invece, si dimostra una mera narrazione degli eventi, una chiusura un po’ in sordina per una trilogia particolare ma che poteva dare molto di più.
Chissà, probabilmente la colpa è anche nostra e non solo di Shyamalan che, come è già successo in passato, si perde nella voglia di sorprendere troppo lo spettatore mancando l’obiettivo; siamo il frutto di una generazione di spettatori dalle aspettative sempre troppo alte e, forse, l’hype che riversiamo verso alcuni titoli ci rende troppo pretenziosi.
Eppure alla fine Glass risulta essere un film si piacevole, che sa emozionare, che sa anche far riflettere, ma che obiettivamente, inciampando nella sua stessa sceneggiatura, non riesce ad essere realmente straordinario e indimenticabile.
Glass arriverà nei cinema italiani il prossimo 17 gennaio.