I saldi di Steam sono da sempre uno dei momenti più attesi fra i videogiocatori, ma sono anche il simbolo di un meccanismo consumistico di perpetua accumulazione seriale.
E così un altro Natale è passato fra elefantiache abbuffate e vomitevole finto buonismo.
E mentre ci accingiamo a reinscatolare albero e presepe, mentre inseriamo fra i buoni propositi per l’anno nuovo l’iscrizione in palestra senza in fondo crederci troppo, c’è qualcos’altro che noi giocatori ci apprestiamo a lasciarci alle spalle: stiamo parlando dei famigerati saldi di Steam.
Certo, la celebre piattaforma di Valve è solo l’esempio più eclatante, ma su qualsiasi dispositivo voi giochiate, state certi, non sarete esenti da questa ormai consolidata tradizione.
Sì perché se a Natale siamo tutti più buoni (non è così?), i grandi distributori non sono certo da meno, portando ondate di sconti per la gioia di tutti i bambini del mondo, ma per il cruccio e la rassegnazione di chi bambino non lo è più da tempo.
Magari non sarà un’esperienza condivisa da tutti, ma per buona parte dei giocatori gli anni della scuola erano tempi in cui i videogiochi si sospiravano più che possederli, dovendo organizzare la paghetta settimanale in un equilibrio che permettesse di bilanciare vita sociale e hobby.
Ebbene, in quegli anni l’obiettivo tanto agognato era avere uno stipendio proprio per poter aumentare il proprio potere di spesa e dedicarsi così a un po’ di acquisti.
Quello che però il sottoscritto non immaginava, nell’ingenuità della propria giovinezza, è che il tempo non sarebbe più stato sufficiente per godersi al meglio quell’abbondanza tanto sudata. Figurarsi poi con l’arrivo dei portali di digital delivery e gli shop online… le offerte aumentarono considerevolmente portando al manifestarsi di un’inaspettata presenza: il backlog.
Croce e delizia di ogni giocatore-lavoratore, il backlog è quell’elenco infinito che prende polvere su una mensola e che fa allungare la scrollbar nella libreria di Steam, quel dimenticatoio in cui conserviamo i giochi con l’ingenua convinzione che prima o poi ne verremo a capo, quella lista che guarderemo comunque sempre meno frequentemente rispetto alla ben più allettante “lista dei desideri” al fine di accalappiare qualche altra offerta, in un loop infinito frutto di un’iperbole inversamente proporzionale fra tempo e denaro.
E la tentazione è sempre lì, presente come lo sfregare di mani di quel malvagio Babbo Natale di Gabe Newell mentre si appresta a scontare nuovamente frotte di titoli ad un prezzo tale per cui anche il campione internazionale di braccine corte metterebbe mano al portafoglio.
E qui parte il dubbio amletico:
Comprare o non comprare, questo è il problema:
se sia più nobile al gioco rinunciare
e frotte di spicci tener in bisaccia
o metter mano alla carta di credito
e, cedendo, lasciarsi tentare? comprare, accumulare…
Sì perché anche quando si tratta di cifre inique, l’eco della voce del ragazzino costretto a frazionare la paghetta torna a farsi sentire nella lunghissima lista di giochi comprati durante le offerte precedenti e ancora rimasti inesorabilmente con 0 ore di gioco.
Ha quindi senso comprare ancora? E allo stesso tempo, ha senso farsi dei problemi per sborsare appena una manciata di euro?
Poi i giorni passano, le feste finiscono e con esse gli sconti, lasciando il sollievo di essere sopravvissuti ancora una volta alla tentazione dello shopping compulsivo, eppure consapevoli che al prossimo cambio di stagione o alla prossima festa comandata, lei sarà ancora lì, nella diabolica, deforme e grottesca figura di una percentuale contornata di verde.