L’attesissimo nuovo capitolo della serie di shooter EA DICE è finalmente arrivato. Scoprite come ci è sembrato con la nostra recensione.
Sedici anni nell’industria dei videogiochi sono un’eternità. Non tutti hanno il physique du role di Zelda, Resident Evil o Grand Theft Auto. Non tutte le saghe riescono a sopravvivere all’usura del tempo, all’altalena delle mode, agli appetiti sempre più insaziabili del pubblico, all’estinzione, all’accorpamento o alla trasformazione degli studi che ne hanno curato lo sviluppo. Battlefield ha, se non altro, il merito di essere ancora qui a menare il torrone.
Vero, dietro c’è un colosso come Electronic Arts, ma il discorso allora dovrebbe essere esteso anche a Dead Space, che invece è stato – purtroppo – accantonato. Il successo di questo guerrafondaio sparatutto in soggettiva comincia nel 2002, quando esce nei negozi Battlefield 1942. Ovvero un mezzo miracolo per la tecnologia dell’epoca, vuoi per la possibilità di giocare in rete 32 contro 32, vuoi per la sensazione di realismo che riusciva a trasmettere, vuoi per la mole di contenuti offerti.
A sedici anni suonati dal capostipite, questo nuovo Battlefield V riparte dai buoni risultati del predecessore di qualche anno fa, Battlefield 1, ma ne arricchisce la formula, proponendo meccaniche di gioco più profonde e una campagna raccontata con un piglio narrativo inedito per la serie. La cornice storica è il secondo – stravisto e stragiocato – conflitto mondiale.
Le novità introdotte da Battlefield V rivelano l’approccio quantitativo seguito dai programmatori di DICE: nel comparto multigiocatore le otto mappe di gioco oggi disponibili raggiungono livelli di estensione e complessità davvero ragguardevoli. Grandi città, montagne, rovine abbandonate, fortificazioni: il teatro di ogni scontro risulta davvero ben strutturato e composto da un groviglio di passaggi e strettoie che non permettono mai di sentirsi al sicuro.
Le modalità principali disponibili restano sempre le stesse: prima linea, deathmatch, dominio e conquista sono ben note a chi è avvezzo a questo genere di titoli, mentre nella nuova breakthrough (che prende il posto della modalità rush) bisogna conquistare più settori contemporaneamente per poter avanzare sul campo di battaglia.
Spicca poi il consueto tsunami di opzioni di personalizzazione dei soldati e dei mezzi militari, nonché la possibilità di vivere la guerra di logoramento di un assedio protratto per giorni, come nelle Operazioni su vasta scala. Ad aumentare esponenzialmente la varietà delle battaglie a 64 giocatori contribuisce, in particolare, la gamma di abilità messe a punto dal team di sviluppo: le classi di soldato possono essere sviluppate fino a 8 livelli di specializzazione, dando vita a ulteriori sottoclassi, ognuna caratterizzata da diverse abilità, che permettono di beneficiare di vantaggi tattici a seconda dello stile di combattimento preferito.
La dimestichezza con un’arma piuttosto che un’altra permetterà di sbloccarne svariati miglioramenti, come ricarica veloce, rinculo ridotto, mirini, oltre alle immancabili personalizzazioni estetiche, tra cui non poteva certo mancare il color oro per le classi superiori (il mitra dorato è uno status symbol per i giocatori hardcore).
La personalizzazione, come accennato sopra, coinvolge anche i mezzi che sceglieremo di utilizzare, che potranno essere potenziati accumulando punti in battaglia.
Mai come in questo capitolo, inoltre, il gioco di squadra ci è sembrato decisivo: ogni soldato può rimettere in forze il compagno agonizzante, anche se – ovviamente – il medico eseguirà il lavoro con maggiore rapidità ed efficacia. Anche il ruolo del geniere esce rinnovato: questa tipologia di soldato è in grado ora di fortificare un avamposto con sacchi di sabbia, filo spinato, mitragliatrici o costruire occasionali postazioni per aiutare compagni e “camperatori” a rifornirsi di scorte e munizioni che, duole dirlo, non bastano mai.
Altro esempio di quanto rilevi la cooperazione nell’economia del multiplayer di Battlefield V é il sistema di punteggio: i lupi solitari si affidino al Padreterno, solo seguendo le istruzioni del leader (ad esempio, fornire munizioni o attaccare quel bersaglio), si ottengono ricompense extra e si sbloccano rapidamente armi e oggetti utili. Peccato solo che durante le nostre sessioni di prova troppe volte abbiamo fatto la parte della carne da macello: il sistema di respawn è da rivedere, capita spesso di rinascere nel mezzo di un inferno di fuoco e di non avere così alcuna possibilità di mettersi al riparo o reagire.
Le innovazioni apportate al comparto multigiocatore non finiscono comunque qui, perché DICE punta ad ampliare il più possibile il pubblico potenzialmente interessato a con Battlefield: le signorine, in particolare, saranno liete di apprendere che è ora possibile impersonare anche soldatesse e, in generale, i giocatori che apprezzano Fortnite o Playerunknown’s Battlegrounds potranno sollazzarsi per mesi con l’attesissima modalità battle royale, che debutterà tuttavia solo più avanti.
Discorso a parte infine merita la scelta di darci un taglio con le casse premio e gli extra a pagamento: con una mossa che ha spiazzato la comunità degli appassionati, Electronic Arts ha infatti deciso, bontà sua, di pubblicare regolarmente nei prossimi mesi una valanga di contenuti che potranno essere scaricati senza costi aggiuntivi. La svolta, ci scommettiamo, sarà musica per le orecchie di chi da anni non si fa remore a mettere mano al portafogli, pur di poter equipaggiare il mitragliatore con l’ultimissima skin camo.
Per quanto riguarda invece la campagna va detto che avremmo voluto giocarla ben oltre le cinque – a star larghi – misere ore che richiede per essere completata. Il pacchetto per single player è composto da tre storie di guerra disponibili al lancio, poi a Natale ne uscirà una quarta e a marzo una quinta. Vabbè. Tralasciando ogni considerazione sull’originalità del contesto storico – l’intera industria dell’intrattenimento ogni santissimo giorno dovrebbe ringraziare il tizio con i baffetti di essere nato e non si comprende la ragione per cui non possano essere degnamente rappresentate altre e più recenti guerre – degli eventi narrati, abbiamo apprezzato lo sforzo del team di sviluppo per proporre un’esperienza il più possibile fresca e originale.
L’idea di base è sostituire il classico, spesso e volentieri telefonatissimo, pistolotto delle campagne che caratterizzano questo genere di produzioni, con singole storie di guerra, più concise e accattivanti, sia in termini di narrazione che sul versante della caratterizzazione dei protagonisti.
Nell’introduzione, My country calling, che si compone di una sequenza di immagini montate a regola d’arte accompagnate dalla voce narrante, vengono presentati i futuri protagonisti delle missioni, il tutto con un sottofondo musicale solenne degno di un film di Spielberg. Ci troviamo così catapultati, tra un’esplosione e l’altra, nel dramma della guerra, in un crescendo emozionale che esalta la solennità della vittoria e l’importanza della sopravvivenza. La prima storia, Nessuna bandiera, racconta le imprese di un giovane che per redimersi da una vita di delinquenza e furti decide di arruolarsi in un corpo d’elite inglese, esperto in azioni di sabotaggio. Momenti di scontro frontali e di resistenza alle continue ondate di nemici si alternano a situazioni più stealth: si tratta di un episodio tutto sommato piacevole da giocare, pur afflitto da una certa ripetitività.
Con il secondo capitolo, Nordlys, siamo nel 1943, in una Norvegia occupata dai nazisti, nei panni di una giovane partigiana. L’obiettivo è liberare un’importante scienziata, prigioniera all’interno di un complesso industriale presidiato dalla Wehrmacht. Qui gli scontri a fuoco avvengono perlopiù in ambienti chiusi ma molto grandi, a beneficio delle fasi stealth, degli agguati. L’introduzione della possibilità di spostarsi con gli sci all’interno della mappa poteva essere il classico coniglio estratto dal cilindro, ma la trovata, purtroppo, non si rivela granché: scordatevi, ad esempio, inseguimenti a rotta di collo giù per i pendii, perché l’esplorazione – e questo vale per ogni storia del pacchetto – viene limitata da muri invisibili oltre i quali parte il fatale countdown, che obbliga a rientrare nel vivo della battaglia.
Nella terza e, per il momento, ultima storia, Tiralleur (tiratore\fuciliere), impersoniamo un soldato francese proveniente dalle colonie africane, che nel 1944 partecipa all’operazione militare denominata Dragoon. Qui, tra assalti all’arma bianca e battaglie su larga scala, il tono della trama diventa inaspettatamente polemico nei confronti della società europea di metà Novecento, in cui il razzismo si è diffuso anche al di fuori dei paesi governati da regimi totalitari: il giovane militare sarà vittima di continui soprusi che, nonostante il sacrificio, suo e di quello dell’unità di appartenenza, lo faranno scivolare al rango di gregario di terza categoria.
La denuncia di Tiralleur, mai eccessivamente aspra, rende giustizia a chi ha sacrificato la propria vita per una causa mai stata del tutto sua, a chi è andato a morire per un paese che non lo ha mai accettato fino in fondo per il colore della pelle.
Per quanto riguarda il livello di difficoltà, chi avesse intenzione di affrontare queste missioni in modalità “vado li e spacco tutto” troverà pane per i suoi denti: il titolo non è mai frustrante ma, anche al grado normale, in diversi frangenti riesce ad impegnare anche i più esperti, complice un’intelligenza artificiale del nemico sviluppata a dovere, che, ad esempio, non permette mai di starsene tutto il tempo rannicchiati dietro un muretto o sdraiati sotto a un camion a massacrare impunemente gli avversari.
In conclusione riteniamo che la produzione DICE valga l’investimento richiesto. Da un punto di vista tecnico il titolo si rivela estremamente appagante da giocare, sia in termini di fluidità dell’azione, sia per la mole e la qualità dei dettagli presenti nelle ambientazioni. Graficamente ci troviamo di fronte a uno dei migliori sparatutto in soggettiva di questa generazione e agli sviluppatori va riconosciuto il merito di essere riusciti a migliorare il già ottimo precedente capitolo.
A differenza poi di altri commentatori, riteniamo che la trovata delle storie di guerra, pur migliorabile, costituisca per la saga un solido punto di partenza per le eventuali prossime avventure per giocatore singolo. Negli avvenimenti di queste schegge narrative si intersecano non solo gesta eroiche, ma anche dolore, amore fraterno, discriminazione, amicizia e, ovviamente, morte, in un equilibrio che restituisce credibilità alla messa in scena della vita al fronte, anche grazie alla colonna sonora che accentua il dramma del momento.
Certo, resta comunque il fatto che la campagna dura troppo poco per giustificare, da sola, l’esborso richiesto da Battlefield V e, non a caso, la maggior parte dell’utenza acquisterà il titolo perlopiù per il comparto multiplayer. Qui gli appassionati non resteranno certo delusi: in attesa di toccare con mano la nuovissima battle royale, i fan sapranno apprezzare i pur non rivoluzionari innesti introdotti da questo capitolo, che migliorano e approfondiscono sensibilmente l’esperienza di gioco. Insomma, DICE ha vinto ancora una la madre di tutte le guerre: una volta avviato Battlefield V, specie in multiplayer online, schiodarsi è davvero difficile.
- Le novità apportate rendono il gameplay più profondo
- Ambientazioni e grafica davvero soddisfacenti
- In multiplayer diverte come sempre
- Storie di guerra molto interessanti...
- Ma troppo, troppo, brevi
- Respawn da rivedere
- La seconda guerra mondiale ha onestamente rotto le scatole