Tanto atteso quanto temuto, Suspiria di Luca Guadagnino arriva al 75° Festival di Venezia facendo fremere la sala di curiosità per scoprire il risultato di questo remake che prende una strada differente dal cult di Dario Argento. Accanto a lui cinque meravigliose interpreti per rappresentare la Madre in ogni sfumatura.
Definirlo solo remake sarebbe riduttivo. Quello di Guadagnino è un film molto più complesso che verrà amato ed odiato, un film che dividerà l’amante del puro horror – che in questo film troverà la forte mancanza dell’elemento di genere, della suspense e del thriller che ha caratterizzato i grandi cult di questi anni – e chi da un film vuole di più, chi vuole il desiderio e la passione, ma anche il simbolo, il ragionamento dietro ogni singola inquadratura.
Luca Guadagnino non mette in scena tanto un remake quanto un’espansione tratta da una costola della grande filmografia di genere di Dario Argento.
L’inquietudine non manca di inseguire lo spettatore fin dall’inizio della pellicola, momento più costruito del film, un po’ come i sospiri seguono le sue protagoniste. Al tempo stesso a Guadagnino non interessa costruire una suspense che continui in un crescendo fino all’ultima scena di chiusura.
Partiamo quindi subito dai difetti, per poi concentrarci sui grandi pregi che fanno del film di Luca Guadagnino un’opera complessa e suggestiva:
Ciò che manca a Suspiria è il fattore terrore.
Manca del tutto l’elemento che possa renderci la visione sgradevole – nel senso positivo del termine – con quell’angoscia che perseguita, accelera il cuore, fa sentire il sudore scivolare freddo lungo la schiena e ci fa temere che il mostro è dietro le nostre spalle, a pochi centimetri da noi.
Questo non vuol dire che manchi del tutto il fattore horror del genere. In quelle che sono le sequenze più belle del film, legate al corpo e alla danza, Guadagnino omaggia letteralmente il grande cinema splatter degli anni settanta, dove non solo il sangue è protagonista della scena, ma anche il sonoro: le ossa che si rompono, la carne che si squarcia, le viscere che si riversano su pavimento.
Neanche con un grande compositore come Thom Yorke, che compone una musica immensa a inizio e fine film, Guadagnino riesce a costruire un tema musicale riconoscibile, che nel centro della narrazione riesca ad accompagnare il film a un picco di tensione maggiore e che possa far tremare chi non cerca unicamente lo splatter.
Probabilmente sotto questo punto di vista, è l’unico vero momento in cui si fa un concreto paragone con il Suspiria di Dario Argento.
Non troppo memorabile neanche l’uso dei colori. Una fotografia sicuramente intesa, che ci ricorda fin subito dalla grana gli anni ’70, proprio come se fosse un film di quarant’anni fa. Al tempo stesso, il regista non osa con i colori. Non mancano di tanto in tanto qualche viola e rosso, ma sono più dettagli nell’ambiente che riferimenti voluti. Anche in questo Suspiria prende del tutto le distanza dal classico di Argento che, proprio con i suoi colori, ha segnato un’epoca del cinema horror.
Questo ci fa pensare che a Guadagnino forse non interessava questo elemento, sebbene un pizzico di suspense avrebbe giocato a favore del film e di un giudizio positivo più ampio dalla critica e dal pubblico.
Ciò che realmente interessa al regista, e in questo è maestro, è raccontare una collettività attraverso diverse identità.
Identità femminili che come in un vero sabba di streghe si muovono insieme. Danzano dall’inizio alla fine con i loro movimenti, le loro parole, si riprendono la loro rivincita nei confronti di un mondo estremamente maschilista.
E in questo gioca a favore il contesto storico di una Berlino di fine anni settanta divisa, ferita, ancora scossa dagli orrori della Guerra.
Il Suspiria di Guadagnino è un tributo psicologico all’essere femmina, donna, madre.
Come ha detto lo stesso regista durante l’incontro con la stampa, non è tanto uccidere la madre come si rincorre nella trilogia di Argento riguardanti le tre madri, è quanto più riunire in un unico corpo l’amore, la bellezza, la sensualità e pietà, oltre che la crudeltà e terrore della madre.
Un film carnale, sensuale e sessuale che mette al centro di tutto le sue protagoniste, a cominciare da Dakota Johnson, interprete di Susy, aspirante ballerina americana che arriva in Germania speranzosa di entrare nella prestigiosa Accademia di Danza di Madame Blanc (Tilda Swinton).
Indubbiamente di grande impatto la prima scena di danza, dove parallelamente vediamo la Johnson ballare sulle note del Volk e sotto di lei un’altra ballerina piegarsi brutalmente su se stessa. Una scena dall’incredibile potenza visiva, come lo saranno anche il saggio di danza e sabba finale, dove vedremo tutte le ballerine unirsi in una vera e propria esperienza orgiastica di colori, suoni, movimenti e sensazioni.
Interessante e cruciale il rapporto che si andrà a creare tra Madam Blanc e Susy. Un rapporto d’amore tenero, a volte passionale, altre volte materno.
Ritorna nel film il concetto della madre e della figlia, della premura e della punizione, che consolida ancora di più il Suspiria di Guadagnino come un omaggio alle donne di tutto il mondo – quelle definite streghe, additate come pazze per i loro umori, la loro ribellione.
Rapporti elettrici che animano la pellicola dall’inizio alla fine in quelle che sono scene oniriche che si muovono sul mistero, lasciando però da parte la suspense. Una bellissima elettricità tra tutte le giovani componenti del film che hanno fatto un lavoro straordinario sul corpo e sull’armonia.
Luca Guadagnino mette il suo suggestivo estetismo scenico al servizio della storia, dei personaggi.
La sua cifra stilistica si sente potente dall’inizio alla fine, ma senza dimenticare la vera cosa importante all’interno del film: la narrazione.
Interessante la regia, attenta e minuziosa. Fin dall’inizio carica di angoli di ripresa, dettagli da scoprire, piccoli suggerimenti che ci porteranno a un grandioso finale.
Guadagnino – forse in vista di una vera e propria nuova trilogia – riscrive la mitologia delle Tre Madri di Dario Argento. Inserisce nuovi personaggi, cambia le sorti e l’importanza di altri. Attinge dal triangolo Friburgo – New York – Roma delle Madri dei Sospiri, delle Tenebre e delle Lacrime, per ricreare da capo la sua visione di questo mondo seducente.
Indubbiamente una pellicola impegnativa, complessa. Non basta una visione per comprendere appieno l’essenza del Suspiria di Guadagnino che, tra i difetti che ai più potrebbero far storcere il naso, riesce a rimanere dentro la mente, il corpo dello spettatore. Le sue atmosfere, i personaggi e anche i suoi simboli accompagnano per giorni dopo la visione, facendo ancora di più riflettere su questo ambizioso progetto.
Potrebbe piacere, potrebbe non piacere, potrebbe lasciare perplessi sulla connotazione di genere, ma Suspiria è una pellicola grande.
Luca Guadagnino crea qualcosa di magico ed intenso. Una pellicola dal grande valore artistico e che racconta le donne come ben pochi registi al mondo hanno saputo fare.