Il voto numerico è ormai diventato il metro di paragone di ogni produzione, indice di qualità essenziale e spesso più importante della stessa recensione di riferimento. Ma ha davvero senso infondere tanta importanza a delle semplici cifre?
Scuola. Università. Lavoro. La valutazione fa da sempre parte delle nostre vite, plasmando ogni nostro rapporto sociale fin dalla prima infanzia. É difatti una vera e propria forma mentis che ci permette di approcciare in ogni suo connotato il mondo che ci circonda .
Tale esigenza, per necessità (moderna e galileiana) di quantificazione razionale, si è con il tempo deformata e ridotta nel voto numerico che conosciamo tutti, risultato di una conoscenza non più basata sulla comprensione, ma sulla nozione. Con l’avvento della rete l’immediatezza dell’informazione diretta, senza fronzoli, ha soppiantato l’approfondimento e la riflessione, con tendenze che sfociano anche in fenomeni spiacevoli come fake news o campagne d’odio.
Come normale che sia, anche le riviste e i giornali (online e non) si sono adattati al cambiamento, tanto che oggi abbiamo difficoltà a concepire un responso non riassunto da due (se va bene) semplici cifre. Nel nostro campo, in particolare, siamo veramente certi di poterci fidare di un numero per sintetizzare il valore – anche umano – di un’opera di intrattenimento?
Una recensione contiene mediamente circa dieci migliaia di caratteri e centinaia di parole. La lingua e i vocaboli sono mezzi espressivi senza precedenti, in grado di rappresentare sfumature di significato e opinioni personali, al punto che un testo bisogna comprenderlo e non semplicemente recepirlo. Questo senza considerare la complessità del soggetto trattato, spesso aperto a riscontri puramente settoriali e perciò di difficile comprensione.
Prendiamo il caso del videogioco, elemento con cui chi vi scrive si trova maggiormente in confidenza. In ogni opera ludica è doveroso analizzare gameplay, trama (se è presente) e comparto tecnico. Ognuno di questi parametri poi si dirama in sezioni molto minuziose: fluidità di gioco, dettaglio delle texture, ritmo dell’intreccio e feeling del sistema di combattimento sono solo alcuni dei parametri da tenere a mente per una valutazione complessiva (i primi che mi sono venuti in mente tra i mille esistenti per altrettanti generi).
Il cinema, per variare soggetto, sviluppa se possibile una complessità ancora più profonda, anche a causa dell’enciclopedica storia fondante di tale medium, ormai centenario. Stesso discorso è possibile farlo per il fumetto, per non parlare della letteratura e della musica. A tutto ciò va poi sommato l’incredibile peso del fattore umano in analisi così analitiche, ovvero il gusto soggettivo e personale, grazie al quale l’industria risulta così diversificata e ricca di contenuti.
Detto per esperienza, in questo variegato di carattere soggettivo e attributi tangibili, è praticamente impossibile mantenere univoco il metro di paragone in primis rispetto alla propria scala di valori, figuriamoci rispetto a quella altrui. Il che ci porta a un altro punto chiave della nostra discussione, ossia il re del flame e dell’uniformità forzata, l’unica ed autentica grande “M”. No, non ci stiamo riferendo a McDonalds, ma all’aggregatore Metacritic, il Sauron o il Voldemort (scegliete voi quello che preferite) della critica di settore.
Se è giusto accettare la diversità di opinioni e pareri, date le argomentazioni di cui è stato scritto sopra, la figura di Metacritic incentiva l’opinione opposta, probabilmente nemmeno intenzionalmente. Dove prima il “saggio” utente medio leggeva il numero a piè di pagina e commentava, ad oggi, con la nascita dei database di recensioni sempre più aggiornati, questo è portato a rapportarlo a una media complessiva, sublimando l’intera questione a un nuovo grado di superficialità e disinformazione.
Hai dato un voto troppo alto rispetto al Metavote? “Sei un venduto!” Hai dato un voto troppo basso? “Sei un fanboy che non sa apprezzare un prodotto per quello che è!” Se non ti discosti molto dal parere di altri critici passi invece inosservato. Un comportamento così tossico direziona la community verso atteggiamenti passivo – aggressivi spesso infondati, andando a crocifiggere il povero redattore che si è occupato della stesura di quel determinato pezzo preso a bersaglio.
Quello che appare irrazionale e paradossale è proprio l’incapacità di accettare estimazioni e punti di vista distaccati dal pensiero comune, fissati alla berlina come il peggior male di questo mondo, nella maggior parte dei casi con totale mancanza di rispetto nei confronti del giornalista. Dato che di rispetto si tratta. Sebbene siano ormai dati per scontati, è inaccettabile considerare leciti commenti dove viene suggerito di cambiare lavoro solo per il fatto di avere espresso posizioni scomode su un argomento.
I forum online sono nati d’altronde per la discussione, non per insultarsi a vicenda senza alcun ritegno.
La chiave è il dialogo, non l’attacco diretto e indiscriminato, mantenendoci lontani da contrasti motivati nemmeno dal contenuto, ma da interpretazioni aprioristiche inculcate da strumenti di lettura superficiali e inconcreti.
A seguito di una così lunga disamina all’utilizzo del voto, vi chiederete: “Perché non eliminarli?” I motivi sono in realtà diversi, i quali in primis relazionati a una necessità commerciale di visibilità. Non è un caso che grandi siti, come Kotaku, abbiano scelto linee editoriali contrarie al fenomeno, limitandosi a fornire esclusivamente la parte testuale, al costo di perdere peso nell’ambiente internazionale. Si tratta però in questo caso dell’eccezione e non della regola, dove le testate nutrono talmente tanto eco mediatico da potersi risparmiare le due fatidiche cifre che siamo tanto abituati a vedere.
L’unica via d’uscita fattibile potrebbe risultare muoverci collettivamente, optando per soluzioni che prevedano una lenta (ri)educazione del pubblico di riferimento, in modo da uscire da questa spirale di parossismo verso un giornalismo eccessivamente immediato e semplificato. Certo, a nulla serve impegnarsi quando viene colta ogni occasione per screditarci a vicenda.