Arriva finalmente al cinema Black Panther​, un altro film targato Marvel Studios dedicato ad un supereroe conosciuto solo da una nicchia di appassionati fino a un paio di anni fa, quando è stato introdotto in Captain America: Civil War.

Osannato dalla critica prima ancora dell’uscita, con il 100% di recensioni positive su Rotten Tomatoes (ora 97%), Black Panther, diretto dal regista di CreedRyan Coogler, è la riprova che uno dei maggiori punti di forza dei Marvel Studios è la capacità – già dimostrata in altre occasioni – di valorizzare personaggi misconosciuti e sottovalutati.

È così che T’Challa, principe dell’immaginaria nazione africana del Wakanda interpretato da Chadwick Boseman, diventa protagonista di

un cinecomic godibile, diretto con una certa cura e costellato di comprimari decisamente interessanti e ben caratterizzati.

Non solo, ci troviamo di fronte all’unico film del filone con un cast quasi totalmente composto da attori afroamericani, per di più ambientato in una suggestiva cornice africana.

Conoscendo la passione per il politically correct made in Disney, il dubbio più grande che avevo era che venisse ostentata la scelta dell’ambientazione, ma è evidente fin da subito che hanno cercato, piuttosto, di valorizzarla in maniera intelligente, soprattutto dal punto di vista culturale, anche se non si può negare che ci sia una lieve ostentazione in superficie, che si dissipa però quasi subito.

Quello che salta all’occhio fin dai primi minuti è che sono stati compiuti enormi sforzi per conferire al film un’identità propria, slegandolo quanto più possibile dalla macrotrama del Marvel Cinematic Universe, tolto il necessario ed inevitabile collegamento a Captain America: Civil War.

Da un lato è apprezzabile che si cerchi di rendere il film quanto più autonomo possibile, dall’altro è abbastanza curioso che nel film precedente ad Avengers: Infinity War non vi sia praticamente alcuna anticipazione sostanziale a suo successore, cosa che potrebbe far storcere il naso a molti.

 

 

Il risultato è una pellicola che riesce a divertire con una trama non particolarmente complessa, ma ben costruita e coerente.

Del resto Kevin Feige, responsabile del progetto e dei Marvel Studios, ha più volte lasciato intendere che, una volta conclusa la cosiddetta Fase 3, i film successivi seguiranno una strada diversa, diventando probabilmente più stand alone, dunque il rendere più labili i vari collegamenti potrebbe essere un modo per abituare il pubblico al futuro trend.

ll risultato è una pellicola che, nonostante le sue due ore e un quarto di durata, riesce a divertire con una trama non particolarmente complessa, ma ben costruita e coerente con sé stessa, pregio non così scontato se si guarda a certi blockbuster prodotti negli ultimi tempi.

Due sono i maggiori punti di forza del film: l’ambientazione estremamente suggestiva, che si ripercuote sia sulle scenografie che sulla descrizione visiva delle abitudini culturali degli abitanti del Wakanda, e la caratterizzazione di tutti i personaggi.

Il fatto che il film sia ambientato in Africa ha reso possibile mettere in scena una rappresentazione fantasiosa ma suggestiva delle usanze tribali, che danno un tocco più spirituale all’eroe protagonista e vanno a renderne più solida la propria base morale.

Senza contare che è sicuramente intrigante il modo in cui è stato reso da un punto di vista estetico e visivo il Wakanda nella sua reale forma e risulta interessante il concetto che sta alla base del suo incredibile sviluppo tecnologico.

 

 

Per quanto riguarda i personaggi, al di là di T’Challa, già presentato in precedenza, e che qui si incammina sulla solita via dell’eroe che mille altri prima di lui hanno intrapreso, ma con villain e alleati diversi, spiccano alcuni comprimari particolarmente riusciti, come lo sciamano Zuri interpretato da Forest Whitaker o la regina Ramonda interpretata da un’Angela Basset molto in parte, finalmente affrancata dai soliti American Horror Story.

Di particolare interesse è Okoye, valorosa guerriera interpretata da Danai Gurira e con un’evoluzione sviluppata in modo da portare lo spettatore ad affezionarcisi. Una sorpresa non indifferente è stato il personaggio di Shuri, sorella del protagonista, che ha il volto della sorprendente Letitia Wright: a lei è affidato il ruolo di supporto tecnico e tecnologico, più simile all’Oracle di casa DC.

Non poteva mancare l’amore dell’eroe di turno, quella Nakia, donna forte e impavida, che qui ha il volto dell’eccellente e Lupita N’yongo, che avendo prestato voce e movenze a Maz Kanata è il secondo interprete, oltre a Whitaker, ad aver preso parte a questo film dopo aver presenziato in uno degli Star Wars post-acquisizione da parte del brand da parte di Disney.

 

 

 

 

Sono però tre i personaggi che suscitavano maggiore curiosità presso il pubblico, due dei quali erano stati presentati, brevemente, il primo in Avengers: Age of Ultron e il secondo nel già citato Captain America: Civil War. Uno è Ulysses Klaue, interpretato da un istrionico Andy Serkis, caratterizzato in maniera irresistibile, folle ma del tutto consapevole delle proprie capacità, che qui sfoggia le modifiche corporali aggiunte dopo la menomazione subita da Ultron in Avengers: Age of Ultron. Il personaggio funziona a modo suo, anche se forse è stato sfruttato meno rispetto a quanto avrebbero potuto e a conti fatti la sua utilità è relativa.

 

 

Abbiamo poi Everett Ross, agente governativo nei cui panni si è calato con una certa eleganza Martin Freeman, che ha saputo renderlo ancora più incisivo e utile ai fini della trama rispetto alla sua nemmeno troppo breve apparizione nel terzo film di Captain America.

Ma il vero banco di prova era il villain vero e proprio, interpretato da Michael B. Jordan, che era probabilmente in attesa di riscattarsi dai tempi di Fantastic 4 (anche se già in Creed ci era riuscito alla grande): il misterioso Killmonger. Assistere alla sua evoluzione da la stessa sensazione che si può avere guardando una moto che, dopo essere stata accesa, romba per qualche secondo e poi parte a tutta velocità.

La sua presenza nel film aumenta gradualmente, passando dapprima in sordina per poi acquistare sempre più importanza. La caratterizzazione del personaggio è perfetta e le motivazioni delle sue azioni sono semplici, ma arricchite anche da un’ideologia particolare che è perfettamente coerente con il tono e l’ambientazione del film. Senza ombra di dubbio Killmonger è, quindi, uno dei migliori villain del Marvel Cinematic Universe, se non addirittura il migliore in assoluto: senza dubbio è quello meglio scritto e con il vissuto più interessante, superiore anche ad Ego e all’Avvoltoio, che già avevano rotto la tradizione dei villain scialbi e poco memorabili dei film precedenti.

Quello che rende Killmonger così efficace è il fatto che si contrappone perfettamente a Black Panther: entrambi hanno una solida base morale, ma sono diverse le idee che muovono le loro azioni, seppure volte ad ottenere un preciso scopo etico.

Killmonger funziona perché non è propriamente un villain, o meglio, lo è ma lotta in nome di un bene superiore, cosa che rende inizialmente faticoso identificarlo come tale. probabilmente a rendere Michael B. Jordan ancora più credibile nel ruolo ci ha pensato l’evidente sinergia con il regista, per cui era già stato protagonista in Creed.

 

 

Dal punto di vista tecnico non c’è molto di cui discutere: la regia è consapevole e chiara soprattutto nei numerosi momenti action, coadiuvata da effetti visivi di altissimo livello e dalle scenografie digitali coloratissime, con riferimenti all’estetica Kirbyana da lasciare senza fiato, ancora più suggestivi rispetto a quelli che trovavamo in Thor: Ragnarok.

La fotografia calda completa l’opera, valorizzando le ambientazioni che sono già molto immersive. Coogler è riuscito a conferire un’impronta personale all’opera, confermando di essere perfettamente in grado di rispettare le aspettative del pubblico, ma intervenendo in maniera decisa sull’opera con il suo stile abbastanza inconfondibile.

Da notare poi la quasi totale assenza della solita comicità spicciola e puerile tipica dei film dei Marvel Studios, sostituita da battute decisamente più sferzanti e mature.

 

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Black Panther  è un film che riesce a divertire con una trama semplice, ma efficace, con una spettacolarizzazione incredibile e un pool di personaggi che è impossibile non adorare.

Tuttavia le critiche positive che sono circolate negli scorsi giorni sono state forse un po’ troppo generose: in fin dei conti ci troviamo di fronte al tipico prodotto dei Marvel Studios, un film d’intrattenimento realizzato con tutti i crismi, ma non particolarmente memorabile, che ha però il merito di aver reso molto bene sullo schermo un personaggio dei fumetti poco conosciuto al grandissimo pubblico.

Non fraintendetemi: non si sta parlando di un film poco interessante o inutile, semplicemente è una pellicola in linea con i prodotti più notevoli del panorama, ma non il più notevole, come tanti lo hanno definito.

La semplicità e la linearità che lo contraddistinguono, i personaggi efficaci ma, tutto sommato, abbastanza classici nei loro ruoli e il dover seguire per forza una schematizzazione molto familiare ai Marvel Studios, che concerne il tentativo di iconizzazione del protagonista attraverso un percorso d’impatto ma che sa di già visto, rendono questo film un prodotto estremamente godibile, ma non tanto di più.

E non vedo dove sia il problema, quando si parla di cinecomic di questo tipo.

Black Panther arriva nelle sale italiane dal 14 febbraio.

 

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