A quattro anni di distanza dal primo capitolo, il premio Oscar Gabriele Salvatores torna a raccontare le avventure di Michele Silenzi in Il ragazzo invisibile – Seconda generazione. Tra dilemmi interiori e problemi con i genitori, il film abbonda di effetti speciali ma manca di anima. Dal 4 gennaio al cinema.
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, così come da grandi budget: a quattro anni di distanza da Il ragazzo invisibile, Gabriele Salvatores torna nella bella Trieste, città natale di Michele Silenzi (Ludovico Girardello), sedicenne pieno di dubbi e insicurezze, che però ha un motivo in più di inquietudine rispetto ai suoi coetanei.
Adottato da Giovanna (Valeria Golino), Michele non è un ragazzo qualsiasi, ma uno “speciale”: ha infatti il potere di rendersi invisibile.
Dopo aver salvato la città dal perfido Artiglio (Vernon Dobtcheff), Michele fa fatica a fare amicizia ed è ancora innamorato di Stella (Noa Zatta), che però ora sta insieme a un altro, visto che non ricorda più che a salvarla è stato proprio lui.
Il ragazzo deve inoltre affrontare una grave perdita: Giovanna è morta in un incidente d’auto e il trauma è così forte da impedirgli di reagire, trascinandosi a fatica in una casa sempre più trascurata. Non sa però che la sua vera famiglia non è perduta: la madre naturale Yelena (Ksenia Rappoport:) è infatti sopravvissuta, diventando la leader degli Speciali, così come sua sorella, Natasha (Galatea Bellugi), dotata del potere di manovrare il fuoco, che si aggiunge proprio alla sua classe.
La paura più profonda di qualsiasi essere umano è rimanere solo: se però il sangue del tuo sangue si rivela essere acciecato dalla sete di vendetta e vuole spingerti a incendiare il mondo, è giusto assecondarlo?
È giusto seguire i propri istinti quando si ha a disposizione un grande potere? Il ragazzo invisibile che si nasconde in Michele ha un intero film per rispondere a queste domande, Il ragazzo invisibile – Seconda generazione, nelle sale dal 4 gennaio.
Hai mai danzato col Diavolo nel pallido plenilunio?
Sulla carta un progetto necessario per cercare di inserirsi in un mercato che premia chi investe di più e sa creare un universo in grado di fidelizzare il pubblico. Nonostante le buone intenzioni però, Il ragazzo invisibile – Seconda generazione non riesce a reggere il peso della sua ambizione.
Un supereroe italiano, protagonista di un film girato e prodotto in Italia, con un budget di dieci milioni di euro, al centro di una strategia produttiva che coinvolge anche libri e fumetti: sulla carta un sogno, un progetto ambizioso e necessario per cercare di inserirsi in un mercato che premia chi investe di più e sa creare un universo in grado di fidelizzare il pubblico. Nonostante le buone intenzioni però, Il ragazzo invisibile – Seconda generazione non riesce a reggere il peso della sua ambizione.
Gabriele Salvatores è ancora una volta l’occhio invisibile che segue Michele e riesce a creare più di un’immagine suggestiva (pensiamo al sogno di fuoco con protagonista Valeria Golino, o alla morte di uno degli Speciali dietro a un vetro di un laboratorio), ma, pur contando su un budget ancora maggiore rispetto al primo capitolo, che ha permesso di chiamare come supervisore degli effetti speciali Victor Perez (che ha lavorato a pellicole del calibro di Harry Potter e i Doni della Morte, Il cavaliere oscuro – Il ritorno e Rogue One: A Star Wars Story), a sgretolarsi è la sceneggiatura.
Scritto ancora una volta dal trio formato da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo (insieme autori anche della serie 1992), Il ragazzo invisibile – Seconda generazione non riesce mai a trovare una sua identità, ripercorrendo sistematicamente tutte le tappe classiche che ci si aspetta da un qualsiasi supereroe, senza avere la capacità di reinventarle o contestualizzarle nella società italiana.
L’eroe traumatizzato dai genitori è un classico, i propri simili che perdono la retta via e decidono di usare male i propri poteri anche, l’eroe che riesce a trovare la forza dentro di sé pure. Abbiamo già visto tutto mille volte e, dispiace dirlo, fatto e scritto meglio.
Senza imparare la preziosa lezione di progetti come Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, o della trilogia Smetto Quando Voglio di Sydney Sibilia (costati un terzo), Salvatores e i suoi sceneggiatori non si sono preoccupati di inventare un “eroe italiano”, immergendolo nella nostra cultura e dandogli delle caratteristiche che avrebbero potuto renderlo unico, ma hanno preferito percorrere una strada più sicura, che finisce per far sembrare gli Speciali una pallida imitazione degli X-Men, il protagonista su tutti, che più che un ragazzo invisibile è un eroe sbiadito.
Come in una celebre puntata di South Park, in cui si dice ossessivamente che I Simpson hanno già fatto tutto, con i supereroi è lo stesso: essendo delle figure proprie della cultura americana e giapponese, è difficile fare meglio di loro seguendo la stessa strada.
L’unica speranza di successo è un po’ di follia: è rischiare, è “danzare col diavolo nel pallido plenilunio”, osare, magari anche sbagliare, ma cercando di essere originali. Il ragazzo invisibile è invece un progetto che non ha respiro ed è nato pigro: per decidere quale sarebbe stato l’antagonista contro cui combattere, si è deciso di indire un concorso indirizzato alle scuole, allineando il proprio gusto a quello del pubblico.
Una mossa che magari può sembrare vincente, ma a lungo andare uccide l’essenza stessa della creatività.
Il pubblico spesso vuole sì essere rassicurato, ma vuole anche essere sorpreso, sconvolto, stupito. Purtroppo a essere davvero invisibile è proprio la “creatività”, così come il fascino: i due giovani protagonisti, Girardello e Bellugi, avranno anche delle facce giuste per il grande schermo, ma di strada da fare per sostenere un intero film sulle loro spalle ne devono percorrere ancora molta, così tanta che forse nemmeno una sessione intensiva nella Stanza dello Spirito e del Tempo sarebbe sufficiente.
Il Ragazzo invisibile – Seconda generazione è nelle sale italiane dal 4 gennaio.