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La rana dello spruzzo e il progresso

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È mattina nella gola di Kihansi e come ogni giorno rospi e rane si svegliano per gustarsi una leggera pioggerella, quasi impercettibile. Già, come ogni mattina perché qui la pioggia c’è sempre, giorno e notte, 365 giorni all’anno.

Troppo pure per gli inglesi. E infatti gliel’abbiamo tolta. Per il loro bene eh! O forse per il nostro…

Ma facciamo un passo indietro. Siamo in Tanzania ai piedi di una grande cascata sul fiume Kihansi. L’impatto dell’acqua a terra ha creato un microclima unico al mondo. In questi pochi metri quadri di foresta con una temperatura costante tutta l’anno ed un’umidità fissa al 100% di fatto piove sempre, pur trattandosi di una pioggia molto fine, quasi nebulizzata.

 

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Gli intrecci misteriosi del creazionsimo dell’evoluzionismo hanno così qui creato un piccolo rospo dalle caratteristiche uniche al mondo, chiamato con molta fantasia “Rospo dello spruzzo“.

 

Nectophrynoides asperginis è un anuro piccolo e sessualmente dimorfo, con gli esemplari femmina che raggiungono fino a 2,9 cm in lunghezza, contro i 1,9 cm dei maschi. Questi rospi possiedono una colorazione gialla con strisce che tendono al marrone sui fianchi. Gli esemplare femmina sono spesso più scuri nella colorazione, mentre i maschi normalmente hanno segni più evidenti. Inoltre i maschi esibiscono scure macchie inguinali sui loro fianchi, dove le loro zampe si attaccano all’addome. La pelle nella zona addominale è traslucida così da rendere possibile vedere lo sviluppo della prole nelle pance delle femmine gravide.
Questi rospi possiedono piedi palmati nelle zampe posteriori, ma mancano di punte di piedi allargate. Essi mancano di orecchie esterne, ma possiedono la normali funzionalità in possesso degli altri anuri, con l’eccezione delle membrane dei timpani e le cavità dell’orecchio medio riempite di aria.

Fonte Wikipedia

 

Come tutti i rospi anche il nostro è insettivoro, ha la pelle umida e saltella qua e là allegramente cercando prede (alimentari e sessuali). Avete mai fatto caso al fatto che la vita del rospo assomiglia in maniera inquietante a quella di un immigrato nell’immaginario collettivo dello xenofobo medio? Curiose coincidenze…

Comunque a questo punto della storia di solito si introduce il cattivone che rovina la quotidianità dell’acquitrino. E non ho molta fantasia, quindi la mia storia non fa eccezione.

Però ragazzi il mio villain è un pezzo da novanta, perché un giorno nell’acquitrino mette piede il progresso.

La Tanzania, si sa, non è propriamente lo stato del Texas. Difatti è mediamente più istruita. Ma la necessità di progresso sociale ed economico arriva anche lì.

Si pensa così di fare una bella centrale idroelettrica sfruttando le cascate sul fiume Kihansi canalizzando le sue acque tanto cariche di energia cinetica (o di magia, come la chiamerebbe Gigi Di Maio). Idea fantastica: moderna, ecosostenibile e pulita. Rousseau dice sì o così gli fa dire una SQL injection.

 

 

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Ma torniamo nel nostro acquitrino. Mentre la grande coalizione Tanzana pakata dalla kasta dà l’approvazione al progetto della diga c’è un team di biologi che sta facendo un giretto da quelle parti.

Vedendo saltellare quelle minuscole rane che sembrano quasi cavallette si drizzano loro le antenne. Io me li immagino come Gargamella che finalmente scopre il villaggio dei puffi: il team infatti ha appena scovato una nuova specie di rane, uno di quei fatti che ti fanno fare pace con il mondo e danno un senso ad anni passati sui libri e a scarpinare nelle zone più desolate del pianeta. E pensate che questi sono i biologi fortunati, gli altri sono da KFC.

Quando i biologi scoprono che quella zona è destinata ad ospitare una centrale elettrica fanno di tutto per fermare il progetto perché questo romperebbe il delicatissimo equilibrio che ha innescato le condizioni ideali allo sviluppo della rana dello spruzzo.

Non solo: quella rana esiste solo in quel posto al mondo, non la si conosce, non si sa come possa resistere alla cattività: costruire la centrale vorrebbe dire sterminare una specie o, in termini tanto cari agli animalisti, commettere un genocidio.

 

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Quando i politici scoprono che in quella zona vive una rana unica al mondo fanno di tutto per trovare una risposta intelligente alla questione. Poi se ne escono con una tipica ed intraducibile espressione tanzana che si può grossomodo ricondurre alla cultura italica con l’espressione…

Fottesega!

Adesso che abbiamo il nemico arriva la classica parte della storia in cui tutto sembra andare male.

Adesso che abbiamo il nemico arriva la classica parte della storia in cui tutto sembra andare male. Avete presente quando la fidanzata appena conquistata da Adam Sandler in una tipica commedia di Adam Sandler lo scopre con una bionda con due bocce così? Che in realtà è la sorella di Adam Sandler ma lei non lo sa e si incazza come una iena con Adam Sandler?

Ecco, è così anche la mia storia. Il progresso non si ferma e la centrale si farà. Quello che riescono ad ottenere i biologi è la proroga del progetto in modo tale da catturare circa 500 rane per tentare di allevarle in cattività.

Una volta eseguito il lavoro si costruisce così la centrale e a Dar el Salaam, la più vicina città, la gente fa quello che ogni buon cittadino farebbe avendo energia elettrica: compra delle sciarpe e piazza il condizionatore a 12 gradi.

E le nostre rane? Sono trasferite negli USA e in Europa in cattività, ricostruendo il microclima della Tanzania appositamente per loro. Dopo le prime perdite, fisiologiche, i biologi riescono a fare sopravvivere la specie tanto da riuscire a farla riprodurre.

In natura l’ultima rana dello spruzzo avvistata è datata 2004 ed è ufficialmente estinta.

Ma i biologi non si danno per vinti e da alcuni anni si sta cercando, con discreto successo, di reintrudurre la specie nella gola di Kihansi, dopo avere ricreato artificialmente il microclima necessario alla loro sopravvivenza all’ombra della diga.

 

 

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L’esperimento sembra dare ottimi risultati e probabilmente tra qualche anno tutto tornerà come prima: i maschi torneranno a caccia di giovani femmine, faranno a zuffa tra di loro per chi ce l’ha più lungo e si sfideranno a qualcosa di improbabile tipo chi ha più cicatrici.

Che bella la vita in Texas!

Qui finisce la storia dei nostri anfibi preferiti. E ne inizia una più importante, quella del rapporto tra natura e progresso.

Ci faremo un piano energetico tutto nostro con blackjack e squillo di lusso

Visto che si (s)parla tanto di convertire l’intera produzione energetica al rinnovabile, è fattibile veramente? E’ un bene per il pianeta? E’ la soluzione a tutti i mali? Che impatto avrebbe sul territorio e sulla biodiversità? La rana dello spruzzo quanto ce l’ha lungo al massimo? Domande scomode, scomodissime.

Facciamo un paio di conti con i potenti mezzi messi a disposizione dal NWO (wikipedia, calcolatrice di windows e spifferate del capo massone Lugg) per fare luce sulla faccenda.

L’Italia ha un consumo annuo di 317 TWh, consumo che andrà salendo con la ripresa dell’economia ma per ora lo prendiamo così come è.

 

Tanto per dare un attimo di proporzioni riguardo al consumo qui potete trovare molte info interessanti:

  • la Svezia consuma la metà di noi
  • la Germania quasi il doppio
  • Gli usa 12 volte tanto
  • La Spagna poco meno

Per questo motivo parlare di percentuale di rinnovabile sui consumi non ha molto senso. Se installo una turbina eolica e sono l’Islanda copro il 5% del mio fabbisogno, mentre se sono l’Italia le briciole. Ma i GWh prodotti sono gli stessi.

 

La prima cosa da capire è quanto di questo sia richiesto di giorno e quanto di notte. Scopriamo che dei 36GW ai quali corrispondono i 317TWh circa 22 sono richiesti sempre, anche di notte. Questo è un bel problema ma al quale penseremo dopo, come mi insegna il buon algoritmo dello struzzo.

 

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Fonte Wikipedia

 

Veniamo ora alla scelta della fonte rinnovabile. Per vari motivi mi sono indirizzato in primis al solare:

  1. L’idroelettrico è a detta di tutti ormai al completo in Italia, lo sfruttabile è già stato sfruttato e rimangono solo le briciole.
  2. Il geotermico non è installabile ovunque ma solo dove ci siano particolari condizioni del sottosuolo. Realisticamente non inciderà mai molto più dei 6000 GWh sulla produzione annua.
  3. La biomassa è la Kardashian delle rinnovabili. Avete mai visto una rinnovabile che emette gas serra? E una Kardashian con le mutande? Ecco.
  4. quattro
  5. Dell’eolico parleremo successivamente.

La prima domanda che mi sono fatto (anzi, che si è fatto lugg) è: quanti metri quadri di pannelli solari devo installare per coprire il fabbisogno annuo?

Un pannello da 1KWp (lo so il KWp [KiloWatt Picco] è una unità di misura da schifo ma almeno rende l’idea) produce mediamente 1300 KWh annui, facendo una media tra nord e sud Italia.
In inverno la produzione scende a 1/3 quindi facciamo 400 KWh.

La dimensione media di questo pannello è oggi di 10 metri quadri.

Considerando che dobbiamo soddisfare il fabbisogno anche in inverno, ecco il risultato:

317.000.000.000 KWh / 400 KWh * 10 mq = 7.925.000.000 mq = 7.925 kmq

La dimensione è paragonabile a quella delle Marche (9.400 kmq) se aggiungiamo un minimo di margine di sicurezza.
E’ circa la metà della superficie edificata ad oggi in Italia per intenderci. Non è certo un intervento che si possa fare dall’oggi al domani quindi.

Wikipedia Italia, senza riportare la fonte, stima questo intervento (in data 2004, con consumo energetico inferiore e meno margine di sicurezza rispetto ai miei calcoli) in 500 miliardi di euro.

Non è un dato particolarmente significativo ma almeno abbiamo idea dell’ordine di grandezza. 10 manovre economiche lacrime e sangue, in pratica.

Il dato interessante di tutto questo è che se anche solo una casa su due in Italia avesse il tetto coperto da pannelli fotovoltaici copriremmo il fabbisogno annuo.

 

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Fonte Wikipedia

 

Ed infatti la legge già si muove in questo senso obbligando le nuove costruzioni a installare impianti rinnovabili. (E il governo ke fa11!!1!!?).

Veniamo però al tasto dolente, ovvero il fabbisogno notturno che non può essere soddisfatto con il solare. Delle rinnovabili rimaste in lizza ormai abbiamo solo l’eolico e l’idroelettrico, considerando lo scarso apporto che possa dare il geotermico.

La produzione su base annua dell’eolico è piuttosto costante anche se durante i 365 giorni subisce notevoli variazioni. Mi rendo conto che non sia la scelta migliore ma le alternative non ci sono considerando che l’unica valida,  la biomassa, emette CO2 e polveri da combustione e la sua sostenibilità su larga scala (oltre che etica, vista la necessità di coltivare per bruciare) è tutta da verificare.

 

Le centrali a biomassa racchiudono in realtà diverse tecnologie. L’unica realmente sostenibile è quella che genera biogas dalla fermentazione di scarti biologici, recuperando CO2 dall’atmosfera e generando metano poi bruciato come in una normale centrale a gas.
Questa tecnologia ha diversi vantaggi: bilancio della CO2 in pareggio, emissioni di polveri da combustione contenuto e possibilità di riciclare l’energia emessa sotto forma di calore per teleriscaldamento e altre tecnologie simili. Il problema è che abbiamo troppi pochi scarti per utilizzarla su larga scala e spesso si utilizza la biomassa proveniente da coltivazioni apposite con tutti i problemi ambientali, economici ed etici che ne derivano.

 

Ci servono quindi 22 GW pari a 192.720 GWh annui per la notte.
Di questi ne abbiamo già coperti 44.000 + 15.000 + 6.000 (65.000) grazie a idroelettrico, eolico e geotermico. Ma ce ne freghiamo e per essere sicuri che il nostro progetto sia a prova di crescita economica, come fatto precedentemente con il solare, li teniamo come scorta.

Che l’eolico abbia quindi margini di crescita è una certezza, il problema è capire quanto.
Effettivamente Wikipedia ci dice che ci sono nazioni con dimensioni paragonabili alla nostra che producono il quadruplo di noi, prendiamo per vero il fatto che possiamo imitarle.

Non basta ancora, e manca parecchio.

Solo dando per scontato di potere arrivare al livello degli USA (primo produttore al mondo per energia eolica con 120.000 GwH annui) riusciamo sia a coprire il fabbisogno che avere un margine che ci permetta di crescere.

È ovviamente impossibile farlo.

In particolare una grossa pala eolica produce 16 GWh annui in condizioni molti favorevoli. Noi siamo ottimisti e le nostre condizioni lo sono sempre. Quanto è grande una grossa pala eolica? questa è una domanda da un milione di dollari, boh.

Cercando qua e là salta fuori questo e mi dicono che la base è di 12 metri di diametro e quello delle pale 114 metri. Approssimando facciamo un bel rettangolone di 114 * 12 e abbiamo quindi una occupazione al suolo di 1400 metri quadri circa.

In questo caso però ci interessa di più metterli uno accanto all’altro quindi:

192.720 GWh / 16 GWh * 114 m = 1.373.130 m

(se preferite, come prima, l’occupazione di suolo, stiamo parlando invece di mezza città di Milano)

Servirebbe un perimetro sfruttabile di 1.373.130 metri, ovvero 1.400 kilometri.

Considerando che l’Italia è lunga 1200 kilometri capiamo che la cosa è molto difficile da realizzare, alla luce pure del fatto che dobbiamo metterle in zone ventose e disposte in modo tale che una non tolga il vento all’altra.

E diamo per scontato che il vento ci sia e ce ne sia pure tanto, altrimenti i 16 GWh ce li scordiamo.

 

 

 

Conclusioni

Ricapitolando: dobbiamo trovare 1300 km da tappezzare con l’eolico e una regione di medie dimensioni da coprire con pannelli, facendo per una quindicina di anni manovre economiche da fare impallidire Monti.

 

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Nel grafico sopra potete vedere tra l’altro come l’Italia sia l’unica economia di un certo livello già in linea con gli obiettivi ambientali del 2020,  producendo il 17% dell’intero fabbisogno energetico nazionale tramite le rinnovabili. Viene quindi da chiedersi perchè fare cambiamenti radicali ad un sistema che già sta funzionando.

Ma non facciamo domande sensate, procediamo con la nostra analisi. Nella quale ancora non vengono considerati alcuni fattori:

  1. Il sole non splende sempre
  2. II vento non soffia sempre. In particolare il calcolo riguardo all’eolico è approssimato per difetto, e pure di molto.
  3. Manca l’energia necessaria per rendere ecosostenibile ciò che oggi inquina tramite combustibili fossili, ovvero riscaldamento domestico e automotive.
  4. quattro

Quelle indicate sono infatti produzioni orarie medie. Questo vuol dire che se dovesse piovere per una settimana su tutta Italia ci troveremmo in deficit energetico. Idem se non dovesse soffiare il vento per qualche giorno e la cosa non può accadere in un economia complessa come la nostra.

Non abbiamo poi tenuto conto dei picchi che, durante l’anno, si presenteranno e faranno saltare il nostro sistema green da verofricchettone®.

Inoltre per abbattere le emissioni sarebbe buona cosa affidarsi a caldaie a pompa di calore invece che a combustione e usare solo macchine elettriche per circolare.

Tutto questo farebbe impennare il consumo annuo di una quantità difficile da stabilire ma che comunque sarà considerevole.

Poco cambia, comunque, visto che già così non riusciamo a coprirla.

In definitiva l’idea di passare dall’oggi al domani alle rinnovabili è del tutto campata in aria.

Un tale cambiamento, se possibile (e oggi non lo è), richiederebbe decenni di transizione e soprattutto delle tecnologie che ad oggi non abbiamo ( come un’evoluzione delle attuali batterie che permettano di stoccare energia durante i surplus per usarla durante i periodi di magra).

Resterebbe comunque l’impatto ambientale sia per la superficie necessaria che per l’utilizzo e lo smaltimento di tutto il necessario (pannelli, batterie, arance, bottiglie, maniglie…) e come abbiamo visto con la nostra rana la biodiversità sarebbe fortemente minacciata da 1200 km di pale e una regione di pannelli solari.

Teniamo inoltre conto di altri fatti:

  • Più si distribuisce la produzione più costa la manutenzione. Il costo del personale per mantenere funzionante tutto il nostro meccanismo non sarà trascurabile e sarà molto superiore rispetto all’attuale vista la scarsa produzione/mq tipica delle soluzioni rinnovabili.
  • Non abbiamo (o almeno non ho trovato) dati relativi al bilancio energetico del pannello solare: dopo quanto tempo un pannello solare va in attivo, considerando i costi di produzione e smaltimento?
  • Nel caso dell’eolico l’impatto ambientale di un suo uso intensivo è tutto da valutare: modificheranno l’impatto dei venti sul territorio? I flussi migratori economici ? Aiutiamo gli uccelli a casa loro.

 

Il mio parere è che comunque il futuro prossimo sarà fortemente influenzato dalle rinnovabili e in assenza di scoperte scientifiche di rilievo che possano portarci la fusione nucleare (vedasi progetto I.T.E.R e simili) le generazioni successive utilizzeranno sempre di più queste tecnologie.

Personalmente vedo un mondo in cui ogni casa ha il proprio pannello solare che copre il fabbisogno e immette nella rete il surplus. Ma questo deve ad oggi (e anche nel futuro prossimo) essere accompagnato da una base più solida e certa ad oggi composta da energie più sicure, per forza di cose inquinanti.
L’alternativa è la decrescita felice che è felice solo per i fricchettoni perchè vorrebbe dire più povertà, meno salute e più mortalità.

In questo senso, la prima cosa da fare per avere a cuore l’ambiente, non è votare chi predica sciocchezze. E’ cercare di razionalizzare i consumi nel quotidiano.

A voi la scelta.

 

 

 

 

Questo articolo è ovviamente superficiale perchè non vuole essere un trattato sul futuro energetico italiano. Vuole semplicemente dimostrare come siamo tutti bravi a parlare di rinnovabile, ma senza conoscere realmente i numeri che girano attorno al fabbisogno energetico italiano.

Un grosso ringraziamento a Lugg e Nicholas che mi hanno dato spunti interessanti per la stesura e un aiuto sul controllo della correttezza dei conti.

Se ho segato qualcosa (probabile) segnalatemelo.

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