Mauro Uzzeo: “la mia comfort zone è il fumetto, lì dove mi sento più libero”

Mauro Uzzeo

Mauro Uzzeo, da Dylan Dog ad Orfani, passando per il cinema con Monolith. Abbiamo incontrato lo sceneggiatore italiano al Noir in Festival, in occasione della presentazione di Monolith nel concorso per il Premio Caligari. Dal processo creativo su Monolith passando per la differenza tra cinema e fumetto, Mauro Uzzeo ci ha confessato che presto potremo vedere un progetto molto interessante ma top secret.

Classe 1979, Mauro Uzzeo esordisce per la prima volta come scrittore pubblicando alcuni racconti su Blue, rivista erotica edita da Francesco Coniglio, passando poi per diverse realtà indipendenti, fino ad arrivare alla grande occasione con la più grande casa editrice Aurea come sceneggiatore per John Doe.

Da quel momento in poi Mauro Uzzeo inizia a dividersi tra fumetto, con le grandi avventure editoriali di Dylan Dog e Orfani – condivise con il collega Roberto Recchioni – e la sceneggiatura per diversi cortometraggi animati e videoclip.

Nel 2014 su un soggetto di Roberto Recchioni nasce Monolith, una graphic novel scritta con lo stesso Recchioni e disegnata da Lorenzo Ceccotti. Mentre il fumetto prendeva forma i diritti di Monolith sono stati opzionati dalla stessa Sergio Bonelli, Lock & Valentine e Sky Italia, diventando quest’anno un film diretto da Ivan Silvestrini.

monolith

 

Mauro Uzzeo Monolith 699x470

 

Tra fumetto, cinema e televisione Mauro Uzzeo non si è fatto mancare nulla.

Tra fumetto, cinema e televisione – e qualche esperienza come regista – Mauro Uzzeo non si è fatto mancare nulla, cercando di trovare in ognuno di questi medium la forma di narrazione che più potesse esprimere al meglio le sue idee.

Durante lo scorso Noir in Festival 2017, che si è svolto tra Milano e Como dal 4 al 9 Dicembre, ho incontrato Uzzeo in occasione della presentazione di Monolith che era in concorso per la prima edizione del Premio Caligari.

Partendo proprio dalla differenza tra cinema, fumetti e televisione, abbiamo affrontato con Mauro la nascita di una storia, il rapporto di questa storia trasposta attraverso l’uso di mezzi differenti e il percorso fatto con Orfani, senza tralasciare un piccolo accenno per il futuro che, a quanto pare, promette interessanti novità.

 

 

 

Parola d’ordine: sceneggiatura, ma tra fumetto, cinema e televisione. Qual è il confine, a mio parere molto sottile, che incorre tra questi medium? E, in quale di questi, risiede la tua comfort zone?

Questa è una di quelle domande che sembrano semplici, ma poi in realtà ci sarebbe da parlarne per almeno 45 minuti… Ok, cercherò di condensare il tutto in un minuto, ma senza fare grosse promesse! Io credo che nel 2017 le forme di narrazione e comunicazione siano talmente ibridate che oggi sceglierne soltanto una con cui esprimersi o raccontare sia limitante. Il mercato italiano non permette di fare quello che vuoi, come lo vuoi, quando vuoi in ognuno di questi campi, quindi imparare a giostrarsi tra ognuno di loro permette di mettere, secondo me, più a frutto tutte le idee che hai. Ti faccio un esempio: quando lavoro con i fumetti non ho un budget di cui tenere conto perché tanto che io faccio disegnare una sequenza di un bacio su una panchina o l’esplosione di un pianeta con 200 milioni di morti, il costo è sempre quello di una matita e della carta. Posso, quindi, dare via libera a qualsiasi cosa. Quando, invece, lavoro per la televisione o il cinema il budget è il Dio che detta i tempi, le possibilità narrative e, quindi, anche le idee.

Attraverso questo tu capisci se ci sono delle idee che sono perfette per un film o altre che andrebbero bene per un fumetto, altre ancora per un videoclip, e via così. Chiaramente tutto questo nasce dalla necessità di pagarsi l’affitto con le storie che uno racconta e quindi dice: “Ok, ci provo!”, in questo modo ti danno spazio. Certo, all’inizio non ne avrò molto, quindi provi con un primo calcolo, fino a conquistarti, piano a piano, un po’ di spazio in più, ritrovandoti con 3-4 lavori in mano e la possibilità di vivere raccontando storie che magari è quello che sognavi fin da ragazzino.

Per quanto riguarda la mia comfort zone, invece, penso che sia il fumetto. Si, ti direi il fumetto perché è dove mi sento più libero. Per esempio per fare Monolith mi ci sono sentito tantissimo a mio, nonostante tutte le varie logiche di budget.

 

Parlando proprio di Monolith: come si è sviluppato il processo creativo? Prima la graphic novel e poi il film? Viceversa? O tutti e due insieme?

Monolith è molto particolare perché è stata una serie di prime volte. Il progetto nasce come un’idea che già dall’inizio aveva l’ambizione di poter essere declinata in vari ambiti. C’è dietro proprio un ragionamento produttivo, cioè nel momento in cui capisci che hai in mano un high concept, lo devi sfruttare. L’high concept è quello che ti chiedono oggi tutte le case di produzione perché vogliono una storia che sia facile da produrre, un’idea che sia immediatamente ricordabile. Avendo questo concept in mano con Roberto Recchioni (ideatore di Monolith e sceneggiatore assieme a Uzzeo), l’idea era quella di capire come muoversi su varie piattaforme. Da subito ci ha detto di sì la Sergio Bonelli Editore, perché comunque è la casa editrice per cui facciamo fumetti già da tanto tempo, e poi Monolith è finito su tutte le scrivanie dei produttori d’Italia, ha suscitato diverso interesse finché Lock & Valentine e Sky, nonché la stessa Sergio Bonelli Editore, ci hanno creduto in termini produttivi, dando il via all’operazione.

E qui i due ambiti si sono toccati in un modo assurdo: il film è partito mentre stavamo ancora facendo il fumetto, per cui film non è un adattamento del fumetto esattamente come il fumetto non è una riduzione della versione cinematografica. Abbiamo deciso, visto che avevamo la possibilità di raccontare questa stessa storia in due modi diversi, di puntare l’occhio su due cose opposte. Per cui leggendo sia il graphic novel che guardando il film hai la storia completa. Per dire, a noi c’è chi ha detto che aveva preferito il fumetto, chi il film… Per esempio, io non so ancora cosa preferisco però  è stato divertente guardare, raccontare una stessa storia due punti di vista diversi.

Mauro Uzzeo
Nello scrivere, sia la sceneggiatura per la graphic novel che quella per il film, ti sei immaginato nella situazione della protagonista? Il modo in cui poi affronta questa macchina e il pericolo, l’estremo rischio, al quale viene messo il bambino?

È molto divertente rispondere a questa domanda perché io non ho la patente e come me non ha la patente chi ha disegnato e costruito la macchina e chi ha prodotto il fumetto, nel senso che ci siamo accorti a un certo punto che siccome nessuno dei tre ha la patente, perché in fondo odiamo le automobili, fare un film thriller dove l’automobile è il nemico, il cattivo era una cosa quasi  terapeutica nostra da raccontare su un salottino di uno psichiatra. Nella posizione della donna non solo mi ci sono messo mentre scrivevo il film, ma mi ci sono sentito perché nel frattempo io e Ivan, il regista del film, avevamo avuto un figlio da pochissimo entrambi, per cui usavamo le nostre compagne proprio come prime tester della sceneggiatura. Se loro avevano il terrore di andare avanti, andava bene,  se invece vedevamo che reggevano tranquillamente, no dovevamo cambiare la cosa. Lo scopo era terrorizzarle, rovinare la vita a loro e poi capire come migliorare.

C’è da dire però che questa cosa del bambino che rimane dentro la macchina è una cosa che terrorizza gli italiani da sempre, no!? Io ricordo ogni anno almeno 5-6 telegiornali parlano di questo. Noi abbiamo voluto ibridare questa cosa con due altre robe: cioè l’assurda convinzione che abbiamo della tecnologia, vista come qualcosa che possiamo utilizzare prendendone solo i benefici ma senza impararne le regole,  appunto mettiamo nella mani di bambini di 3 anni dei cellulari, dei computer che possono fare qualsiasi cosa; poi c’era il confronto tra noi stessi e l’avere un figlio, cioè quanto cambia, quanto impatta nella tua vita e se alla fine ne vale la pena o no.

 

Mauro Uzzeo

 

Un altro tuo grande progetto è Orfani. Nel corso del tempo i protagonisti si sono evoluti, spesso con dei cambiamenti molto complessi in relazione alla crescita, alla loro personalità e anche ai rapporti tra di loro. Come hai gestito questo tipo di cambiamento?

Orfani è un altro progetto particolare. Noi abbiamo la fortuna che in Sergio Bonelli non ci ammazzano ma ci vogliono bene e ci lasciano fare delle cose un po’ particolari, sia tanto su Orfani quanto su Dylan Dog, quanto su tutti gli altri personaggi a cui stiamo lavorando al momento. L’idea dentro Orfani in realtà era proprio quella di raccontare il nostro mondo, le cose che più ci spaventano del nostro mondo, in maniera molto politica su uno scenario che fosse il più stilizzato possibile.

Chi su Orfani cercava una fantascienza con quello che in gergo si chiama worldbuilding, un worldbulding molto grande, in realtà rimaneva deluso perché tutto Orfani poteva essere raccontato a teatro o in una stanza, perché quello che volevamo mettere in scena era quasi un dramma shakespeariano tra i protagonisti però in un contesto in cui tutto quello che viene visto in Italia come sbagliato, in realtà lì veniva esasperato.

Per cui se vedi nella seconda stagione, i personaggi si muovono in un’Italia ormai devastata che è quella metaforicamente in cui viviamo, muovendosi dai piccoli centri a le grandi città ormai finite, dove veniva messa in scena una sessualità di questi ragazzi adolescenti molto esposta ma molto pulita, una cosa che non si vede più. È stato difficile il modo in cui Ringo, il protagonista, doveva passare da essere eroe a padre. Nella terza stagione la protagonista è una ragazzina incinta, extracomunitaria che finisce su questo pianeta diverso, immigrata clandestina e cacciata da tutti. In realtà, quindi, è veramente uno specchio dell’Italia che viviamo oggi, quell’Italia che temono soprattutto  sui social quelli che vomitano tutto il giorno la loro rabbia verso questo tipo di persone.

 

Mauro Uzzeo

 

Ultima domanda, di rito, che guarda al futuro ma sempre restando collegati ad Orfani: potrebbe essere uno sviluppo audiovisivo per questa storia? Al cinema o, magari meglio ancora, come serie televisiva?

Ci abbiamo pensato, però ti dico che al momento stiamo ragionando tantissimo su una cosa del genere, ma che per ora resta top secret.

The Bad Batch 3, l'intervista a Brad Rau e Jennifer Corbett sui segreti della nuova stagione
The Bad Batch 3, l'intervista a Brad Rau e Jennifer Corbett sui segreti della nuova stagione
The Enfield Poltergeist, le interviste esclusive a Claire Ferguson, Peter Norrey, Nick Ryan e Natalie O'Connor
The Enfield Poltergeist, le interviste esclusive a Claire Ferguson, Peter Norrey, Nick Ryan e Natalie O'Connor
Dylan Dog e Batman - Intervista a Roberto Recchioni
Dylan Dog e Batman - Intervista a Roberto Recchioni
Federico Fellini, intervista alla sua neurologa Anna Cantagallo: "utilizzare il disegno come cura"
Federico Fellini, intervista alla sua neurologa Anna Cantagallo: "utilizzare il disegno come cura"
Il Mistero dei Templari - la serie: Intervista a Catherine Zeta-Jones e al cast
Il Mistero dei Templari - la serie: Intervista a Catherine Zeta-Jones e al cast
Intervista al cast di Willow, la nuova serie Disney+
Intervista al cast di Willow, la nuova serie Disney+
John Landis, il report dell'incontro al Magna Graecia Film Festival: "Con The Blues Brothers abbiamo creato delle silhouette iconiche"
John Landis, il report dell'incontro al Magna Graecia Film Festival: "Con The Blues Brothers abbiamo creato delle silhouette iconiche"