Alla XII. Festa del Cinema di Roma è arrivato l’enfant prodige Xavier Dolan, poliedrico artista canadese che a solo ventotto anni è al suo, attesissimo, settimo film. Protagonista degli Incontri Ravvicinati con il pubblico, Dolan si è messo a nudo nella sua semplicità, spronando i giovani artisti a credere sempre, senza smettere mai di sognare e combattere.

Classe 1989, cinque Cannes e un Venezia, un premio della Giuria e un Grand Prix a Cannes, giurato di Cannes e sei film alle spalle. A soli ventotto anni, il canadese Xavier Dolan può vantare di una carriera superba, alla pari di un collega di almeno vent’anni più grande.

Nel 2018 vedremo al cinema la sua prossima opera come regista, The Death and Life of John F. Donovan, prima produzione americana per Xavier Dolan, con protagonisti Kit Harrington, Jessica Chastain, Natalie Portman, Susan Sarandon e Kathy Bates.

 

Xavier Dolan

 

Un vero e proprio talento che ha debuttato come regista e attore a soli vent’anni con la pellicola J’ai tué ma mère, ed è proprio a proposito di questo titolo che Dolan inizia il suo Incontro Ravvicinato con il pubblico – moderato dal direttore artistico Antonio Monda – affermando

Questa film è nato dalla mia necessità di iniziare a fare qualcosa, di fare cinema, raccontare storie. A differenza di molti colleghi o amici, non ho fatto cortometraggi o scuole di cinema. Volevo iniziare a recitare subito, ma come attore ero disoccupato.

Mi sono trovato da solo, senza niente e in qualche modo dovevo sopravvivere. Allora, mi sono detto, che magari potevo iniziare a lavorare su questa sceneggiatura che, in un certo senso, raccontava la mia storia.

Sarebbe stato un esercizio senza competizione, senza gara, in fondo non dovevano esserci provini per quella parte… Voglio dire, chi altri al di fuori di me poteva interpretare me? Certo, poi le cose si sono complicate. È stato più difficile del previsto, perché in quel progetto mi sono ritrovato a investire tutto, soprattutto i pochi soldi che avevo.

Nessuno voleva crederci, nessuno voleva credere in me, a parte gli altri attori. Si parla di necessità di fare qualcosa, ma io lo chiamerei di più problema. Il problema di sopravvivere alla società, il problema di raccontare qualcosa, come un rapporto madre e figlio; per me era il problema di cominciare la mia vita, la mia carriera, perché nessuno voleva permettermi di farlo.  permettevano.

 

J'ai tué ma mère

J’ai tué ma mère (2009)

 

La regia è stata, dunque, la coraggiosa scappatoia dell’artista canadese.

La regia è stata, dunque, la coraggiosa scappatoia dell’artista canadese, per potersi dare quella possibilità tanto legata. Eppure la regia è rimasta nel cuore di Xavier Dolan, a tal punto da diventare un vero e proprio simbolo per stile, tematiche e profondità.

Ma, quando può, Dolan cerca sempre di comparire nelle sue pellicole, come è capitato nel successivo Les Amours imaginaires (Gli Amanti Immaginari) e Tom à la ferme.

 

 

Penso, o almeno credo, che preferisco recitare. Voglio dire, quando dirigo è come se recitassi comunque, assieme agli altri attori. La vera differenza è che recito con tutti quegli artisti che ammiro. Non è una recitazione che mi riempie tanto come quando sono io a recitare.

Però… Da un po’ di anni mi guadagno da vivere con la regia e al tempo stesso imparo moltissimo guardando gli altri attori, vedendo il loro percorso, la loro trasformazione.

Riconosco che recitare mi manca moltissimo e prometto, o almeno spero, di recitare molto di più nei prossimi anni per gli altri e per me stesso.

 

Xavier Dolan

Les Amours Imaginaires (2010)

 

Ventotto anni e sei storie, quasi sette, molto diverse alle spalle. Tutte estremamente profonde. Ritratti di personaggi della vita di tutti i giorni, tra i loro pregi, difetti, melodrammi, sogni, paura e sofferenze.

Dolan è un grande impressionista di personaggi in perenne stato di grazia che cercano con tutte le loro forze di raggiungere l’agognata libertà, come nel caso di Laurence Anyways – terza pellicola del regista – a volte a costo della stessa felicità.

Ci sono tanti film su persone che non hanno speranza, fortuna. Persone che non hanno niente, e che non vogliono neanche lottare. Esistono tantissimi film di questo genere e che sono molto popolari, che hanno un grande successo.

Noi la chiamiamo la pornografia dei poveri, perché parla della gente emarginata, di tutti quei reietti a cui non viene mai data una vera possibilità. Io, invece, amo i combattenti, i sognatori, quelli che hanno una speranza  nella vita e che lottano per essere quello che sono davvero. Quando sei autentico e vero, metti le persone di fronte alla loro falsità e fallimento.

Esistono persone che hanno abbandonato i loro sogni, e altre persone che, invece, continuano a combattere. Non sono io a mettere questo fuoco nei miei personaggi, questo desiderio, sono loro che lo hanno naturalmente, e anche se non sempre vincono, non sono dei perdenti.

Loro riescono a combattere per quello che vogliono, che sia per un rapporto complicato con la propria madre, un amore impossibile o un cambio di sesso, sono persone che non smettono mai di cercare il proprio spazio.

A volte ci riescono, altre volte no. Ma non è colpa loro, perché loro ci provano sempre, ma è colpa della vita.

Xavier Dolan

Laurence Anyway (2012)

 

E tutti i personaggi di Xavier Dolan riescono a esprimere esattamente questa forza. A cominciare dal ribelle e giovanissimo Hubert in J’ai tué ma mère al più maturo e introverso Louis nell’ultimo È Solo La Fine del Mondo, passando per l’inarrestabile e coraggioso Laurence in Laurence Anyways, tutti hanno il loro quel fuoco inarrestabile della battaglia. Egoisti, fragili, disperati. Alla ricerca della libertà, condannati a uno stato di mai completa felicità. Personaggi tracciati dalla mente, dall’esperienza di un giovanissimo autore che ha ammutolito più volte la critica di tutto il mondo, spiazzando con la sua forza d’essere.

Eppure, fuori dal set, Xavier Dolan è molto più infantile di quanto non possa immaginare. Un ragazzo spontaneo, che non si vergogna di ammettere il suo profondo amore per Titanic e l’aver detto alla mamma, dopo essere uscito dalla sala a soli otto anni, di voler scrivere una lettera a Leonardo Di Caprio.

Vuoi fare qualcosa di grande? Ti diranno che non funziona, eppure in Titanic tutto questo c’è ed è quello che mi ha dato la forza!

Xavier Dolan

 

Amante di Harry Potter, dei capelli stravaganti, delle entrate in scena eccentriche. E che non ha problemi nell’ammettere che, in fondo, la sua cultura cinematografica è molto più scarna rispetto a quella che uno potrebbe immaginarsi.

Non ho un punto di riferimento cinematografico preciso. Si, ho visto qualche film, ma non moltissimi film. Un po’ mi vergogno di questo perché so che ci sono delle mancanze, dei buchi da riempire nella mia cultura cinematografica. Lo farò, ci sto lavorando. Sicuramente ci sono degli omaggi ricorrenti nei miei film, per esempio i J’ai tué ma mère c’è un chiaro riferimento a In The Mood For Love.

Probabilmente se il regista lo avesse visto, mi avrebbe denunciato per plagio. Nello stile di tanti registi ho trovato tantissimi suggerimenti che mi hanno aiutato a capire il mio di stile. C’è stato un libro che mi ha aiutato anche molto, e che consiglio di leggere a chiunque voglia fare il regista: Steal Like An Artist di Austin Kleon. E ti fa capire come sia necessario copiare dagli altri: inizi che sei fasullo ma poi diventi reale.

Questo libro è stato veramente una spinta verso la strada per l’essere artista, proprio perché ti invoglia a cercare la strada, a creare qualcosa, qualcosa con le tue mani. Se leggerete questo libro, vi accorgerete che è pieno di citazioni dove il furto artistico è naturale.

Lo diceva anche Francis Ford Coppola di rubare, fino a quando non saranno gli altri a farlo da te! Riprendi delle idee, le applichi in un modo prendendole in prestito fino a quando non le fai tue. A quel punto quell’idea sarà una nuova idea.

Credo di aver smesso di prendere in prestito, di aver trovato la mia strada, la mia affermazione con Tom à la ferme. Lì ho iniziato a capire meglio me stesso. Ed è proprio così che cresci: attraverso i furti e gli errori.

Xavier Dolan

Juste la fin du monde (2016)

 

Copiare, rielaborare e inventare. E a Xavier Dolan non piacciono nemmeno le etiche, le definizioni di genere cinematografico. Del resto è un ragazzo fatto dal nulla, che ha saputo cavarsela senza la scuola, ma che con modestia accetta anche i suoi limiti. Dal dramma al thriller, passando per la pièce.

 

 

E si trova ingenuamente in difficoltà quando gli viene chiesto come definirebbe il suo film più di genere Tom à la ferme.

Tom à la ferme è un dramma psicologico. Un thriller. Magari prima facevo melodrammi familiari, e poi mi sono cimentato in questo. Non saprei definirlo bene perché mi manca questo tipo di linguaggio.

Non uso un vocabolario del cinema. Non lo so davvero, ma credo, spero che sia un thriller psicologico, che generi suspense. Costruito in modo tale che crei questo.

 

Xavier Dolan

Tom à la ferme (2013)

 

Le donne, le madri, i figli, elementi che ritornano sempre nella cinematografia di Dolan.

Le donne, le madri, i figli, elementi che ritornano sempre nella cinematografia di Dolan, dalle sue origini fino ad oggi, come l’amatissimo Mommy e l’ultimo È Solo La Fine del Mondo. Ma il giovane canadese è tranquillo, non vuole esporre troppo la propria vita privata.

I miei genitori adorano i miei film, anche se non ne parliamo molto. Mia mamma è molto orgogliosa di Mommy, ed è venuto con me a Cannes a vedere È Solo La Fine del Mondo quando è stato presentato.

Sicuramente i miei genitori non sono quelli dei film, non ho il timore che si possano riconoscere. Solo il primo film che ho fatto parla della mia vita, ma alla fine il rapporto madre figlio è un discorso talmente tanto universale e ripreso in moltissime forme al cinema.

 

 

 

Xavier Dolan

Mommy (2014)

 

L’incontro con Xavier Dolan si conclude, tra la commozione e gli applausi di un pubblico estremamente caloroso, con un’impressione del giovane regista sul nuovo film di Luca Guadagnino, Chiamami Col Tuo Nome, presentato allo scorso Festival del Cinema di Berlino e tratto dall’omonimo romanzo di Andre Aciman.

Romanzo di formazione sull’estate di un ragazzo e sulla scoperta della sessualità, della passione e dell’amore. Un romanzo universale, che dal macro va al micro, e sa parlare con una struggente e disarmante delicatezza intensità.

È dal dolore che nascono molti miei film. Ed da questo film mi sono sentito molto compreso.

 

 

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