Gli sviluppatori di Riot lanciano il primo videogioco mai realizzato a tema Gay Pride, intitolato Pride Run. Scopriamone i dettagli direttamente dalle parole dell’ideatore, Ivan Venturi.
Di seguito riportiamo integralmente il comunicato con cui Ivan Venturi ci racconta come nasce e si sviluppa l’idea di un gioco come Pride Run:
Tutto inizia l’11 ottobre del 2016. Sono in auto, una delle rare volte in cui mi ci trovo, imbottigliato nel traffico della tangenziale di Bologna. Guidando poco, per me l’essere fermo nel traffico diventa quasi una condizione iniziatica, in cui mi trovo inscatolato con me stesso e propenso alla creatività e alle idee folli. Sto ascoltando la radio.
L’11 ottobre è il Coming Out Day, ovvero il giorno dedicato al coming out ovvero l’orgogliosa dichiarazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere. Sento parlare il presidente del Cassero di Bologna, Vincenzo Branà, che introduce queste interviste fatte a ragazzi e ragazze LGBTQI che raccontano il loro coming out. Rimango colpito da queste voci serene che raccontano quanto sia stato per loro inaspettatamente facile condividere con i genitori e gli amici, una parte importante della loro identità. È davvero importante per un ragazzo o una ragazza adolescente capire e accettare subito se stessi e la propria sessualità, che è fattore determinante del proprio carattere e della propria esistenza. E quante persone conosco che, nella loro ignoranza, considerano ancora le differenze relative alla realtà LGBTQI un problema!
Quando ho partecipato al Pride con la mia famiglia, coi miei figli, e mi sono divertito, ho ballato di brutto in quella che è una delle parade più cool in assoluto. Penso che sarebbe bello fare un videogioco che mostri la bellezza di tutto questo e che faccia capire che non c’è proprio niente di sbagliato in questa bellezza. Complice il fatto che sono produttore di un videogioco in cui si controlla una folla di manifestanti (o la polizia contro di essi), tale RIOT: Civil Unrest, mi viene un’idea.
Voglio fare il gioco sul GAY PRIDE. Voglio fare PRIDE RUN.
Comincio a ragionarci su, anche se non dovrei dato che ho già fin troppi progetti in produzione. Inoltre, da produttore, so bene che un progetto per nascere deve basarsi su un team costituito dalle persone giuste. I videogiochi sono pura opera d’ingegno, non c’è materia prima, non c’è energia derivante da idrocarburi. E’ il frutto dell’intelletto e della creatività di persone che si mettono insieme e producono un’opera.
Immagino un gioco in stile retro, che ricordi i brillantissimi ed eccessivi giochi degli anni ’80. Pixel art: sexy pixels! Mi vengono in mente i colori acidi di parte dell’estetica LGBTQI, che ha le proprie sfumature. Penso alla necessità di avere coscienza, dal di dentro della comunità LGBTQI, delle varie sfumature, dei vari gender, dei vari gruppi da rappresentare. Dell’importanza dell’aver svolto attivismo con le associazioni LGBTQI. Penso che la grafica in un gioco del genere è fondamentale. E so di conoscere la persona che ha tutte queste caratteristiche e qualità e che ha le possibilità produttive adatte.
Inizia Lucca Comics&Games 2016. Sono allo stand dell’Italian Party of Indie Developer (AKA Svilupparty), insieme a un’altra ventina di amici e colleghi indie game developers. Poco distante, in uno stand a dipingere draghi, c’è la persona a cui ho pensato: Giacomo Guccinelli. Lo vado a trovare e gli parlo della mia idea. Giacomo dice di sì prima che io arrivi a metà della spiegazione. Dopo la fiera, io e Giacomo ci vediamo a Bologna, io gli spiego meglio la bozza di game design che ho preparato, l’idea che avevo per il visual, lui comincia a disegnare, a produrre opere coloratissime di visuali di strade, lungo le quali si snoda un variopinto corteo, e personaggi di tutti le tipologie possibili. La mia idea diventa nostra e Giacomo la trasforma in immagini.
Contatto Vincenzo Branà e ci incontriamo al Cassero, sede dell’Arcigay di Bologna. Gli racconto del nostro progetto, gli chiedo in primis un parere, e poi di lavorarci con noi, di sostenerlo. Vincenzo non è una persona che dice facilmente di sì. Mi dice di sì. Tramite Vincenzo conosciamo Pietro Guermandi, organizzatore della Gilda del Cassero (la parte nerd) e Luca De Santis, comunicatore e blogger di GeekQueer ed esperto di gayming, con cui iniziamo a collaborare per la raccolta dei dati dei vari scenari che vogliamo riprodurre e per la prima fase di comunicazione, che vogliamo sia solo entro l’ambito della community LGBTQI finchè il progetto è ancora in fasce.
L’idea del gioco si basa sul controllare il corteo attraverso le strade della città, ballando e muovendosi per generare più orgoglio, più energia positiva, più pride possibile, coloratissime particelle di colori diversi a seconda del gruppo che le “spara”, e con esse colpire e colorare il pubblico, che si colora gradualmente e a un certo punto si mette a ballare e si accoda al corteo. Ma anche per reagire all’anti-pride di alcuni blocchi di pubblico, fascisti o bacchettoni o preti estremisti o politici reazionari, che hanno come obiettivo quello di bloccare la parata. Insomma, una moderna rivisitazione coloratissima e videoludica dei musicanti di Brema.
Ogni livello uno scenario: San Francisco in primis, la città più gay e friendly al mondo. Ma anche Pisa del 1979, dove si tenne il primo Pride italiano e dove c’è la torre pendente che chiunque al mondo (speriamo) riconosce. Poi Berlino, Sao Paulo, Londra, ma anche Mosca, dove il punto non è quanto pubblico fai ballare, ma quanto si riesce ad andare avanti prima di essere arrestati. O Tel Aviv, dove il Pride è governativo e quasi esclusivamente popolato da maschi israeliani. Pensa se invece tu fossi in un gruppo di lesbiche arabe… potrebbe essere una situazione non facile. O Stonewall, dove Sylvia Rivera diede il via, con il leggendario lancio della scarpa col tacco contro la polizia, agli Stonewall Riots, cioè la prima vera dimostrazione del Pride LGBTQI.
Io e Giacomo iniziamo a prototipare: lui realizza la grafica di una Pisa stilizzata, divisa a blocchetti secondo la comune pratica dei tiles dei videogiochi, io programmo il prototipo, usando Game Maker, framework che consente anche a me (che di mestiere ormai faccio tutt’altro e che ho smesso di programmare ai tempi del Commodore 64) di realizzare un prototipo giocabile in tempi brevi. Perché sì, il game design è fondamentale, ma il prototipo lo è ancora di più. Specialmente per un gioco come questo, che avrà un gameplay originale, talmente originale che ancora non lo riusciamo a immaginare precisamente. C’è bisogno di sentire il feeling, di provarlo e rifinirlo, di metterlo a fuoco.
Ho bisogno di capire se il sapore videoludico che rimane sul palato è quello che ho in testa.
Facciamo il prototipo, ci metto dei loop di una marcia techno rubata a un performer transgender. La meccanica regge. Batto il ritmo col piede mentre provo il prototipo.
Man mano che il pride aumenta, la musica incalzante si carica, si aggiunge la grancassa, si aggiungono i cori. Il pride diventa entusiasmo, che diventa musica tangibile. Questo gioco dovrà essere irresistibile. Dovrà essere impossibile giocarlo senza ballare. Ci siamo. Abbiamo messo a fuoco l’idea. Ora sviluppiamo il game design, le sezioni di gioco per ogni scenario saranno tre: mappa, street view, infine lo scontro con il boss finale, una sezione beat’em up in cui pesteremo il fascistone omofobo di turno.
Facciamo un budget previsionale, considerando una produzione graduale. E’ sostenibile, si può fare. Lo finanzieremo direttamente, investendoci quanto riusciamo e sviluppando gli scenari uno dopo l’altro. Sarà una produzione della mia IV PRODUCTIONS e di STEAM FACTORY di Giacomo, sotto l’egida di PRIDE ENTERTAINMENT, associazione culturale che abbiamo creato per riuscire a includere tutti coloro che collaboreranno o ci sosterranno.
È il momento di allargare il team: io come programmatore decisamente non basto più e la piattaforma di sviluppo sarà Unity3D, in cui non oso mettere le mani direttamente. Incarico Renato, programmatore con cui collaboro per un altro progetto, di occuparsi della programmazione del primo “pezzo” di gioco. Intendiamo produrre una cosiddetta versione alpha, o vertical slice, oppure demo giocabile, come la si vuol chiamare.
Ci diamo una scadenza: Lucca Comics & Games 2016, dove faremo giocare questa prima versione al pubblico e registreremo i primi feedback. La prima uscita pubblica di Pride Run.
Andiamo avanti e la necessità della musica, altra componente fondamentale del gioco, diventa impellente. Ci vuole l’artista che calzi a pennello col gioco. Che abbia la giusta sensibilità, le capacità creative e tecniche necessarie. Dobbiamo produrre musica interattiva e modulare, tutt’altro che banale.
Vincenzo ci segnala Hard Ton, musicista LGBTQI underground, che tra le altre cose sta a Bologna e collabora attivamente col Cassero. Sentiamo la musica: PERFETTA. Incontriamo Mauro, la parte musicale del duo (Max, il front*man, è a Venezia), gli parliamo del progetto, di quello che servirebbe. Ci intendiamo immediatamente, entriamo subito nel dettaglio tecnico e nell’onda giusta. Definiamo le specifiche. È fatta. Hard Ton è il music artist di Pride Run!
Avanti tutta. È estate. Un caro amico, esperto indie developer della west coast, si trova a Bologna. Gli presento la squadra e approfitto per parlare del gioco, per sentire il suo parere. Il nostro obiettivo è un videogioco indipendente del tutto originale, che si basa su una community inusuale, per quanto smisurata, per il mondo dei videogiochi. Le chiacchiere che facciamo tra una tigella e l’altra sono importantissime.
Da produttore, mi rendo conto di alcuni problemi di game design. Primo, la meccanica di gioco della mappa e della street view sono troppo simili, le sfumature di differenza di gameplay non valgono lo sforzo produttivo di quasi raddoppiare il costo della produzione. Tagliamo la sezione Mappa, ci concentreremo su quella della Street View in cui le persone si vedono.
Secondo, la sezione beat’em up. Non va bene. Col mio amico entriamo nel dettaglio tecnico e mi accorgo di quanto io ne abbia sottovalutato le difficoltà, pur avendo un’esperienza trentennale di game development. Ma un picchiaduro non l’ho mai fatto. Quindi un punto produttivo rischioso, che potrebbe compromettere il budget previsionale. Ma non solo: la sezione beat’em up comporta altri due problemi, uno di tipo commerciale e uno etico. Quello commerciale: come inquadriamo il gioco? Real time Strategy game o Beat’em up? Sono tipi di gioco profondamente diversi, per pubblici diversi, fasce di costo e aspettativa di quantità diverse. Molto complicato e rischioso metterli insieme. Quello etico: l’idea del picchiare qualcuno, anche se un cattivo, di usare la violenza, non ci piace.
No, il classico beat’em up non va bene. Molto meglio un Dance Duel, a suon di figure di danza. Danza esageratissima e coloratissima, ovviamente, in cui anche i nemici più accaniti della comunità LGBTQI potranno diventare friendly, subendo divertentissime trasformazioni. Ok, ora il gioco è definito. Con l’immaginazione possiamo già vederlo funzionare. Il primo scenario sarà San Francisco.
Un Musical Real-Time-Strategy game: il giocatore controllerà i vari gruppi del corteo usando delle combo, che dovranno essere eseguite a ritmo di musica. Queste combo saranno “attive”, per far fare delle mosse di danza o di marcia particolari al gruppo selezionato, per fargli sparare più “pride” verso il pubblico, riempiendolo di entusiasmo e colorandolo, finchè non si converte e si accoda al corteo. Ma anche difensive, per parare l’energia negativa, il “pride nero”, sparato da quella parte di pubblico che cerca di ostacolare il corteo.
Tre tipi di unità controllabili: i music trucks, che sparano musica e caricano di pride i gruppi vicini; i leader, che sparano pride a tutt’andare e sono più resistenti alle influenze negative esterne; i gruppi di manifestanti, che possono radunarsi attorno al leader o in modo indipendente. Incarico immediatamente un altro disegnatore pixel-art, Arrigo, per velocizzare la produzione dello scenario. San Francisco, poi sarà la volta di Pisa 1979, Berlino, infine la pericolosa Mosca. Giacomo incarica Elena e parte del suo staff di produrre le animazioni dei personaggi, per la Street View e per il Dance Duel: abbiamo deciso tra chi avverrà l’epico scontro di fine livello. Nello scenario di San Francisco, quello che realizziamo per primo, ci sarà la Drag Queen che sfiderà al Dance Duel nientemeno che il presidente Donald Trump in persona.
Ogni mossa di danza ben assestata con la giusta combo di tasti premuti a ritmo, “sparerà” pride contro The Donald che, colpito, si metterà a ballare facendo voguing, rivelerà i propri mutandoni coperti di cuoricini, infine si trasformerà in una attempata Divine. Ma The Donald potrà attaccare a sua volta, sparando tweet carichi di odio oppure costruendo un muro, i cui blocchi si lanceranno a tutta velocità contro la nostra Drag Queen.
Mauro di Hard Ton, che ha connessioni ovunque nel mondo grazie alla sua attività di deejay e musicista internazionale, cambia la marcia della comunicazione verso la community LGBTQI. Ancora vogliamo stare concentrati sull’Italia, ma intanto lui prende contatti con Juanita More, eccezionale Drag Queen della scena LGBTQI di San Francisco. La magnifica Juanita ci sosterrà, noi la inseriremo come personaggio nel gioco, nello scenario di Frisco.
Mentre scrivo queste righe sto attivando un altro programmatore a supporto di Renato, in modo da far sì che ognuno dei due possa porre tutta la propria concentrazione su un modulo di gioco. E qui siamo. RIDE THE UNICORN e avanti tutta!
Prevediamo a inizio 2018 di avere una versione alpha, bella e sufficientemente pronta a presentarci al mondo. Il piano di publishing è fluido e lo adatteremo agli eventi. Ora l’obiettivo è uno solo: fare un bel videogioco, un videogioco unico, mai visto prima.
The Gayest Game Ever!
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