L’epoca d’oro degli idrovolanti vide confrontarsi aziende e nazioni nella ricerca del più veloce e performante, rivoluzionando l’industria aeronautica tra le due grandi guerre.

Il Wright Flyer volato a Kittyhawk il 17 dicembre 1903 per 260 metri pesava 274kg: il motore da 12hp  ne pesava 77kg. Con carico utile ed autonoma del genere era naturale pensare ad atterrare soprattutto in acqua, che costituisce il 70% della superficie del pianeta.

Alphonse Pénaud nel 1876 aveva progettato un aeromobile anfibio con motore a vapore, scafo centrale e carrello retrattile, ma si suicidò per mancanza di investitori nei suoi progetti.

 

Il primo vero idrovolante fu l’Hydravion di Henry Fabre del 1910, monoplano in legno e tela con motore rotativo da 50 hp e tre galleggianti. Nello stesso anno il connazionale Jacques P. Schneider istituiva una Coppa per favorire lo sviluppo dell’aeronautica navale

 

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Gli idrovolanti (seaplanes) possono essere a scafo centrale (flying boat), in cui la fusoliera entra in acqua, oppure a scarponi (floatplane), con galleggianti al posto del carrello d’atterraggio. Piccoli aerei terrestri si convertono facilmente a scarponi, mentre gli scafi centrali sono di solito più grandi, usati per lunghe percorrenze e adatti a mari più mossi.

 

 

 

 

Jacques Schneider

Nipote di Adolphe, fondatore di una società metallurgica oggi diventata la Schneider Electric, Jacques era nato nel 1879 e si era laureato in ingegneria quando già gli affari di famiglia si erano espansi verso ferrovie, navi e soprattutto armi: aveva quindi soldi e conoscenze tecniche per sostenere il suo carattere avventuroso.

Dopo il brevetto di pilota si interessò agli idrovolanti per la possibilità di raggiungere gran parte del globo senza strade o ferrovie. Ottenne vari primati con mongolfiere ed aerei, ma un grave incidente lo costrinse ad abbandonare il volo: continuò però a finanziare la ricerca.

In bancarotta dopo la Grande Guerra, si trasferì sulla Riviera francese dove morì nel 1928.

 

 

 

Il Trofeo

La Coupe d’Aviation Maritime Jacques Schneider era sia un premio di 25.000 franchi d’oro che una coppa di pari valore, circa 70.000 euro ciascuno: era annuale, e al vincitore toccava organizzare la successiva. Il titolo sarebbe rimasto al club che avesse vinto tre edizioni su cinque, mentre il pilota avrebbe avuto 75.000 franchi.

 

 

Si potevano portare più aerei e piloti e fare prove:

la finale consisteva nel girare su un percorso triangolare per circa150 miglia marine (277,5km) nel minor tempo possibile.

I concorrenti partivano uno dopo l’altro, di solito con 15 minuti di distacco: dopo la partenza dovevano prima procedere navigando per 2,5 miglia (5,5km) e poi decollare. In gara era obbligatorio toccare l’acqua almeno due volte.

Il percorso permetteva di premiare non solo la velocità ma anche la durata, che all’epoca era la caratteristica fondamentale. Procedere in superficie viene detto flottare, dall’inglese to float. Il flottaggio prima del decollo serviva a valutare la navigabilità e la robustezza: un idrovolante doveva poter restare in mare a lungo.
Le fermate servivano a valutare sia l’affidabilità dei mezzi che le prestazioni dovevano ripartire, cosa non scontata all’epoca, e con i galleggianti bagnati, quando ogni chilo contava.

 

 

 

Le Edizioni

 

Monaco 1913

Alla finale parteciparono tre Francesi e un Americano. Completarono il percorso solo due Francesi: il primo fu Maurice Prevost su un Deperdussin Monocoque, monoplano terrestre riconvertito a scarponi e motore da 160hp, con un picco di 98km/h e 74km/h di media.

Roland Garros, famosissimo poi come pilota di caccia, raggiunse i 92km/h di media ma i giri furono contati male e fu squalificato per essere atterrato troppo presto.

Eugène Adrien Roland Georges Garros ha dato il nome allo stadio e al torneo di tennis: nato a Réunion nell’Oceano Indiano, aveva studiato all’HEC (Alta Scuola Commerciale) a Parigi. Prima della Grande Guerra ottenne primati di altitudine e partecipò a gare come la Parigi-Madrid: fu il primo a trasvolare del Mediterraneo da Fréjus a Bizerta, in Tunisia.

Catturato nel 1915 dopo un atterraggio forzato, riuscì a scappare nel 1918: riprese le azioni ma venne abbattuto e morì un mese prima della fine del conflitto e a un giorno dal compiere 30 anni.


Inventò uno dei primi sistemi di sincronizzazione delle mitragliatrici con l’elica: dei cunei di ferro che deviavano le pallottole. Riduceva il volume di fuoco ma permetteva di concentrarlo davanti al pilota migliorando la precisione. Fokker ne trasse un dispositivo migliore esaminando i resti del suo aereo e iniziando la maledizione dei Fokker.

 

 

 

Monaco 1914

Alla finale parteciparono tre francesi, due inglesi e uno svizzero. Vinse Howard Pixton su un Sopwith Tabloid, biplano sportivo con motore da 100hp montato su galleggianti, ad una media di 140km/h. Il successo fu tale che dei 200 Tabloid costruiti circa 160 ebbero gli scarponi e furono rinominati Sopwith Schneider.

 

Sopwith Schneider

Pixton sfruttò la lettera del regolamento: non c’era scritto “atterrare” e toccò semplicemente l’acqua con i galleggianti senza fermarsi, aumentando di molto la velocità media.

 

L’ingegnere scozzese Thomas Sopwith fondò la sua ditta nel 1912 producendo durante la Grande Guerra circa 18mila aerei per il Royal Flying Corps, la futura RAF.

Con la pace provò a fabbricare motociclette ma finì in bancarotta: fece allora da socio per il suo ex collaudatore, l’australiano Harry Hawker quando questi fondò la sua azienda.

 

Hawker morì nel 1921 in un incidente aereo, mentre l’azienda sopravviveva alla Grande Depressione acquistando prima la Gloster e poi la siderurgica Armstrong Siddeley con la sussidiaria Armstrong Whitworth che produceva aerei.

Lo Hawker Siddeley Hurricane fu il “rivale” del Supermarine Spitfire nella seconda guerra mondiale. Sopwith fece da consulente per l’azienda fino al 1980, morendo nel 1989 a 101 anni.

 

 

Dopo l’interruzione durante la Grande Guerra, il trofeo riprese: c’erano da far volare tutti gli aerei costruiti e i piloti addestrati nel conflitto, e le aziende delle nazioni vincitrici dovevano continuare a vendere a qualcuno dopo un periodo di ricche commesse nazionali.

 

 

Bournemouth 1919

I due Francesi arrivati alla finale non riuscirono a flottare fino al decollo. Partirono tre Inglesi e un Italiano, che fu l’unico a terminare il percorso in una fitta nebbia.

La giuria dichiarò che il Savoia S.13S con motore da 250hp non aveva girato correttamente all’ultima boa, ma il pilota Guido Janello rispose che la nebbia e una barca non ufficiale sul percorso lo avevano confuso. Il risultato fu salomonico: la gara fu dichiarata nulla e l’organizzazione assegnata all’Italia.

 

Il presidente della SIAI protestò che i piloti non avevano ricevuto notizie sul tempo né sull’ordine di partenza, e che non c’era nemmeno una barca con membri della squadra tecnica in caso qualcosa fosse andato male.

Insomma, un Italiano in Inghilterra nel 1919 si lamentava di qualcosa che può succedere in Italia nel 2017: bastava aspettare un po’..

 

 

Venezia 1920

Si aggiunse la regola che ogni aereo doveva portare un carico utile di 330kg: pettegolezzo vuole che venisse dagli Italiani per compensare la lentezza dei loro peraltro affidabili aerei.

Vinse il tenente Luigi Bolgna, l’unico a finire la corsa: l’Inglese si ritirò alla partenza ed il Francese ebbe problemi al motore in volo. Il Savoia S12 con motore da 550hp arrivò quasi a 173km/h.

 

Savoia S12

 

Lo S.12 era il prototipo, rifiutato dalla Regia Marina: lo S13 della gara precedente (S13S era la variante monoposto) era di poco successivo, praticamente identico ma più piccolo, e fu poi prodotto in serie e su licenza all’estero.

La SIAI per la gara aveva disegnato anche i modelli S17 e S19, ma il primo si ritirò per un incidente prima del decollo e al secondo non arrivò in tempo il motore da 500hp.

 

 

Venezia 1921

L’unico francese in gara, Sadi-Lecointe, si dovette ritirare alle eliminatorie: la finale venne disputata tra tre Italiani, cui due Macchi M7 con motore da 250hp e un M19 con motore da 650hp. Vinse lo M7 di Giovanni De Briganti a quasi 190km/h di media.

 

Macchi M7

 

Gli M7 in gara erano in versione M7bis, alleggerita apposta e con ali più corte.

 

 

Nato in Normandia nel 1891, Joseph Sadi-Lecointe fu pilota e collaudatore nella Grande Guerra partecipando allo sviluppo degli SPAD. Con la pace partecipò a molte gare, vincendo definitivamente per la Francia nel 1920 la Coppa Gordon Bennet per aerei terrestri, voluta dall’omonimo editore del New York Herald e a cui la Schneider era ispirata anche nelle regole.

Tra il 1925 e il 1927 fu volontario nella Guerra del Riff tra Spagna e Marocco: tornò poi a gare e collaudi, superando vari record di durata e velocità.

Nel 1936 fu ispettore generale dell’aeronautica e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ispettore delle scuole di volo. Si rifiutò di collaborare con il governo di Vichy e partecipò alla resistenza: morì nel 1944, due mesi dopo il rilascio da parte della Gestapo, per i postumi degli interrogatori.

 

 

Napoli 1922

Fu introdotta la regola di lasciare gli aerei ancorati in acqua almeno per sei ore prima del decollo. L’Italia poteva vincere definitivamente con tre partecipanti su quattro ma il primo fu l’unico inglese, Henri Biard sul Supermarine Sea Lion II con un motore da 450hp ad una media di 235km/h, mentre il Savoia S51 con motore da 300hp fu secondo per un soffio a 230km/h.

Macchi M7

 

Fu la prima volta in cui tutti gli aerei erano stati costruiti appositamente per la gara, e in cui nessuno si ritirò dalla finale.

 

L’azienda Savoia si era da poco unita con la SIAI (Società Idrovolanti Alta Italia) e in quell’anno fu acquisita dall’ingegner Alessandro Marchetti, poi progettista di numerosi modelli navali e terrestri nella Seconda Guerra Mondiale.

Questi passaggi spiegano i vari nomi con cui l’azienda è nota: Savoia-Marchetti, SIAI-Marchetti, ecc. Il codice dei prodotti diventò ufficialmente S.M. solo nel 1937.Marchetti brevettò l’elica a “passo ciclico” poi fondamentale nella diffusione degli elicotteri.

Continuò a progettare anche dopo la guerra presentando il S.M.133, intercettore leggero bireattore canard senza coda: la fornitura di F-86 Sabre e la possibilità di costruire su licenza lo rese poco economico (oltre che politicamente scomodo) e il progetto venne abbandonato.

SIAI-Marchetti SM-133

 

 

Cowes 1923

Stavolta fu l’Italia a mancare: i due Americani arrivarono davanti all’Inglese e il Francese si ritirò. Il Curtiss CR3 di Rittenhouse con motore da 465hp raggiunse 285km/h di media. Biard, vincitore l’anno prima, violò una regola e dovette ricominciare.

 

Curtiss CR3

 

I Curtiss erano versioni da competizione di aerei delle Forze Armate americane, che parteciparono per cercare di mantenere i fondi che dopo la guerra stavano diminuendo: il loro coinvolgimento spinse gli altri governi ad intervenire sempre più pesantemente.

 

Glenn Hammond Curtiss si fermò alle scuole medie ma era un inventore nato: alla Eastman (più tardi Kodak) creò un apparecchio per lo stencil. Costruttore di biciclette e poi motociclette, dal 1904 passò ai motori per aeroplani.

Alexander Graham Bell lo invitò nella AEA (Aerial Experiment Association), dove disegnò il modello n.4 June Bug  vincendo il premio di Scientific American: 25.000 dollari per superare 1km in volo.

Comprò i diritti del modello n.3 come base per modelli propri, con cui fece gare e voli promozionali tra cui una simulazione di bombardamento per la Marina. Con un ufficiale inglese progettò idrovolanti per attraversare l’Atlantico: introdusse lo “scalino” dietro lo scafo per facilitare il decollo.

 

 

Durante la Grande Guerra produsse per Marina ed Esercito USA e britanniche: con la fine degli ordini militari vendette le sue quote d’azienda, restandone consulente tecnico. Si ritirò in Florida dove produsse il Bungalow, precursore dei moderni camper e roulotte, specifici per l’uso con automobili.

Morì per i postumi di un’appendicectomia nel 1930: la sua azienda si era intanto unita con quella dei Wright, e continuò a produrre modelli di successo come il Curtiss P40 Warhawk.

 

Curtiss P40 Warhawk

 

 

Baltimora 1925

Posposta l’edizione 1924 per mancanza di concorrenti, gli aeroclub chiesero ai rispettivi governi aiuti per progettare i modelli da gara: alla finale c’erano 200mila spettatori.

A Baltimora vinse l’americano Jimmy Doolittle poi diventato famoso per il raid su Tokyo, sul Curtiss R3C-2 con motore da 565hp alla media di oltre 374km/h. Secondo fu il Macchi M33 staccato di oltre 50km/h, l’ultimo velivolo a scafo centrale a partecipare al Trofeo.

 

 

Curtiss R3C-2

 

 

 

Lo M33 fu il primo idrocorsa progettato da Mario Castoldi, l’ingegnere che per la Macchi disegnò tutti gli altri partecipanti alla gara passando poi ad idrovolanti di dimensioni maggiori e vari caccia della Seconda Guerra Mondiale.

Il suo contributo fu tale che i modelli successivi furono noti come M.C., Macchi-Castoldi.

 

 

Macchi M33

 

Nel breve manga Hikoutei Jidai (l’era degli idrovolanti) di Hayao Miyazaki da cui poi deriverà il film Porco Rosso, il pilota  Marco Pagot guida un Savoia S21 che in realtà era un biplano.

L’aereo di Miyazaki è più simile al Macchi M33, solo più tondeggiante e con l’ala spostata sul castello motore. L’antagonista nel film pilota un R3C-2 e si chiama Curtiss in omaggio al costruttore americano.

 

 

 

Macchi M33

 

Marco Pagot in realtà è un disegnatore italiano, diventato amico di Miyazaki lavorando al Fiuto di Sherlock Holmes per la RAI. Anche il nome dell’aereo di Porco Rosso, Folgore, è in realtà quello del modello M.C. 202 sempre della Macchi, in servizio dal 1941 al 1943.

 

Macchi M.C. 202

 

 

 

Hampton Roads 1926

Gli Americani potevano vincere definitivamente: alla finale c’erano tre versioni di biplani Curtiss contro altrettanti monoplani italiani Macchi M39 con motori da 800hp. Vinse Mario de Bernardi a circa 397km/h.

 

 

Macchi M39.

Macchi M39

 

Praticamente ormai tutti i motori avevano adottato il sistema di raffreddamento Curtiss, che invece dei tubi faceva scorrere il fluido su alette scavate nelle testate, riducendo di molto peso e complessità ottenendo anche una linea più filante.

 

Nato a Venosa nel 1893, Mario De Bernardi fu volontario nella guerra italo-turca del 1911 in cui gli Italiani per la prima volta al mondo effettuarono azioni aree belliche lanciando granate dagli aerei ricognitori.

Nella Grande Guerra fu pilota da caccia e subito dopo entrò nel reparto sperimentale di Vigna di Valle, vicino a Bracciano (RM).

Collaudatore per la Caproni, nel frattempo partecipò a campionati di acrobazia e a trasvolate come  il volo Roma-Mosca del 1933, con un Ca.111 e cinque passeggeri.

Fu collaudatore del Caproni-Campini C.C.2 (o N.1) nel 1940, il primo motoreattore dopo il Coandă 1 del 1916: portò alcuni aerogrammi da Roma a Milano in due ore. Durante una esibizione nel 1959, a 65 anni, si accorse dei sintomi di un infarto: riuscì ad atterrare ma i soccorsi furono inutili.

 

Caproni-Campini C.C.2

 

 

Venezia 1927

Fu la rivincita degli Inglesi: alla finale erano tre contro altrettanti Macchi M52, con motori da 800 a 1.000hp. Gli unici a completare la prova furono i due Supermarine S5: vinse quello meno potente (875hp) a oltre 453km/h, pilotato dal tenente della RAF  S.N. Webster.

 

Supermarine S5

 

Fu l’ultima edizione a cui partecipò un biplano, l’inglese Gloster IVB. Tutti i contendenti chiesero il rinvio di un anno.

 

La Supermarine era in realtà la Pemberton-Billing Ltd, fondata nel 1913 per produrre idrovolanti: “supermarine” era il suo indirizzo per messaggi via telegrafo.

Reginald Joseph Mitchell disegnò i modelli per la gara e più tardi il famosissimo Spitfire: quando la Vickers acquistò l’azienda nel 1928 impose che Mitchell restasse progettista per almeno cinque anni.

Morì per un cancro recidivo nel 1937.

 

 

 

Calshot 1929

La partecipazione fu ristretta a tre aeroplani per nazione, mentre il percorso era diventato di 350km, con misura della velocità ai primi 100. i Francesi si ritirarono lasciando la finale a tre Italiani su Macchi M52R e Macchi 67 e tre Inglesi su Supermarine S6 e S5.

 

Supermarine S6

Macchi 67

 

Vinse uno dei Supermarine S6 con motore da 900hp alla media di 529km/h.

Il secondo venne squalificato per aver mancato un pilone, ma raggiunse i 533km/h. Per confronto il record del mondo assoluto all’epoca era di 453 km/h e quello sui 100km quasi di 512 km/h.

L’unico aereo italiano a finire il percorso fu lo M52R, con motore da 1.000hp.

 

Fiat C.29

 

La Fiat aveva sviluppato il C29 con motore AS5 da 1.000hp che doveva raggiungere i 600km/h: alle prove arrivò “solo” a 558km/h, ma il progetto venne abbandonato per l’alta instabilità: due dei tre esemplari andarono distrutti nei collaudi, facendo rischiare la vita ai piloti.

Il disegno era dell’ingegner Celestino Rosatelli, coprogettista insieme a Verduzio della famiglai di aerei SVA nella Grande Guerra e principale artefice dei modelli Fiat dal 1918 in poi, identificati con i codici BR (Bombardiere Rosatelli) e CR (Caccia Rosatelli).

Lo stesso Giovanni Agnelli chiese di farlo entrare in azienda nel 1918, ed andò al suo capezzale nel 1945.

 

 

 

Calshot 1931

Gli aerei appositamente sviluppati dai Francesi si ritirarono per problemi ai motori. Anche la squadra italiana chiese il rinvio, ma il Reale Aero Club britannico rifiutò.

Il governo inglese ritirò l’appoggio alla competizione, ma una donazione privata di 100mila sterline permise a un singolo Supermarine S6B di completare il circuito assegnando definitivamente il trofeo al Regno Unito: era praticamente un S6 con motore da 2.300hp che John Boothman fece arrivare a 610 km/h in gara e 655,8 km/h pochi giorni dopo.

 

 

Supermarine S6B

 

All’epoca ci fu parecchia polemica verso gli Inglesi, per non aver concesso il rinvio: la vittoria del Supermarine fu comunque meritata.

 

Macchi MC72

 

Il Macchi MC72  si era dovuto ritirare per problemi al motore ma in seguito superò il record di velocità due volte, arrivando nel 1934 a 709km/h: rimase l’aereo più veloce in assoluto fino al 1939, e tuttora è il più veloce idrovolante con motore a pistoni del mondo.

Aveva un motore FIAT AS6, con una potenza di 2.300hp aumentabile a 2.800 per brevi periodi: in pratica due AS5 da 1.000hp accoppiati che facevano girare due eliche controrotanti, con una cilindrata totale di 50.000 cc.

 

 

 

 

La Fine

Schneider voleva stimolare l’industria aeronautica nella produzione di idrovolanti sempre più efficienti, ma molti vennero costruiti solo per la competizione che era diventata una gara di interesse nazionale, un po’ come la moderna Coppa America di vela.

Dal 1927 in poi i partecipanti erano praticamente tutti monoplani ad ala bassa con motori in linea raffreddati a liquido, che posero le basi per le produzioni di serie degli aerei nella Seconda Guerra Mondiale. Curiosamente l’Italia non prosegui, restando fedele al motore radiale raffreddato ad aria: più leggero e semplice, ma meno performante, probabilmente anche per problemi di capacità industriale ed organizzativa.

Migliorarono i carburanti, riducendo i problemi ai motori, permettendo aumenti di potenza e “boost” temporanei notevoli: il motore del vincitore nel 1931 pesava sei volte di più ma dava 26 volte più potenza di quello del 1912.

I miglioramenti nell’aerodinamica furono alla base del tramonto prima dei biplani e poi dello stesso idrovolante, grazie alle sempre maggiori velocità, autonomia e carico utile degli aerei terrestri.

 

 

Molti degli aerei italiani del Trofeo Schneider, il Caproni-Campini, lo M.C. 202 e altri ancora sono in mostra permanente al Museo Storico dell’Aeronautica Militare Italiana, a Vigna di Valle, vicino a Bracciano (RM).

 

 

È gratuito, sempre aperto e con varie informazioni su quelli e i molti altri modelli esposti: fa da riferimento per il gruppo di appassionati locali che recupera gli aerei e li restaura per l’esposizione.

Si affaccia direttamente sul lago omonimo ed è raggiungibile in automobile dalla cittadina: il sito ufficiale è riportato nei collegamenti.