Immaginatevi di essere a casa vostra, sbracati dopo una dura giornata di lavoro. Dalla strada sentite un’allegra canzoncina: “Un buon non compleanno a me a chi? A me o a te? Un buon non compleanno a te? A me? E a te?”. Uscite a guardare, ma è il cappellaio matto! E subito scendete in strada per farvi due risate.

Quante volte avete vissuto una scena così? A me succede di continuo da quando ho sostituito gli oppiacei con le metanfetamine.

Ma cambiamo un attimo il contesto.

Casa vostra è una classica villetta vittoriana, gli oppiacei vanno ancora per la maggiore, la canzoncina non è ancora copyright Disney, ma tutto il resto è uguale.

Il cappellaio matto è li, davanti a voi, e voi, che siete cattive persone vittoriane, state ridendo delle sue mattane, perché è la seconda metà del 1800, e i cappellai sono davvero matti.

Così matti che ancora oggi si dice “Mad as an hatter”.

 

 

 

Cappelli Vittoriani

I cappelli sono il primo capo di abbigliamento di cui un gentiluomo si dovrebbe preoccupare.

Niente dice più “maschio alpha” che un bel cappello. E i cappelli sono giustamente il primo capo di abbigliamento di cui un gentiluomo si dovrebbe preoccupare.

Così dalla Russia alla Toscana, dalla Francia agli Stati Uniti i cappellai producevano bellissimi cappelli da potersi togliere con un gesto rispettoso dinanzi alle signorine bene.

Ma fare il cappellaio era un lavoro infame, certo è il 1800, la classifica “lavori infami” si estende più dell’Impero di sua maestà, il cappellaio forse non è il peggiore dei lavori, non è che muori.

Ma che diventi matto si, quello è un rischio, un rischio concreto.

Non che i rischi fossero sconosciuti, i primi casi di cappellai matti furono documentati in Russia nel 1829, seguirono gli Stati Uniti nel 1860, Inghilterra 1865.

Già nel 1869 l’accademia di medicina francese aveva investigato il problema e trovato la fonte. Nel 1874 negli Stati Uniti si trovò anche una soluzione al problema, brevettata nel 1888.

Ma la soluzione fu ignorata, e i cappellai continuarono ad ammattire fino agli inizi del ‘900 quando le legislazioni nazionali imposero standard di lavoro più elevati.

Salvando migliaia di vite, togliendo però tutto il divertimento.

 

 

 

 

Un’amicizia che divenne un segreto (industriale)

Come si fa a fare un bel cappello? Il sistema è molto facile: si prende la pelle di qualche piccolo mammifero (coniglio, leprotto, castoro etc.) lo si scuoia per benino, quindi si separa la pelliccia dalla pelle in un processo chiamato carroting (non ho trovato l’equivalente italiano, quindi sarà “carotaggio”!) dopo aver carotato le pelli il pelo veniva lisciato tramite una sostanza arancione.

Il pelo bello liscio veniva quindi avvolto su alcuni coni, bollito in acqua, e lasciato seccare, il processo era ripetuto per un po’ di volte, così da dargli la forma desiderata.

 

 

A parte che un lavoro simile farebbe ammattire chiunque il problema vero era la sostanza arancione. Uno dei suoi ingredienti era infatti il nitrato di mercurio. Gustoso nitrato di mercurio.

Che quando veniva scaldato e poi lasciato seccare disperdeva fumi di mercurio nell’aria, prontamente inalati dai cappellai, quando più semplicemente non si attaccavano alla pelle, al cibo o alle bevande.

Ora, tutti noi sappiamo che il mercurio è dannoso, per quello lo mettiamo nei vaccini, ma nel 1800? Nel 1800 lo sapevano benissimo, anzi, che il mercurio facesse male si sapeva dal 1600.

Gli Ugonotti usavano il nitrato di mercurio per fare dei bei cappelli lisci ma non lo dicevano, infatti era un segreto industriale.

All’inizio del 1700 gli Ugonotti si spostarono in Inghilterra dalla Francia portando il loro segreto, il segreto del cappello perfetto, che si può ottenere solo dando in cambio la propria sanità mentale…

Nell’Inghilterra vittoriana i cappelli ebbero un successo enorme (come è giusto che sia in ogni paese civile), al punto che, quando nel 1888 si trovò un’alternativa al mercurio basato sul cloridrato, venne ignorata per lungo tempo.

 

 

 

Hatter’s Shake

I cappellai lavoravano tutto il giorno in botta da mercurio, questo alla lunga si traduceva in svariati problemi, il mercurio ha la simpatica proprietà di accumularsi nel corpo umano. Inizialmente i cappellai diventavano confusi, emotivamente disturbati e irritabili, dei grillini medi insomma.

Man mano che il mercurio continuava ad accumularsi arrivavano i tremori alle mani, che passavano poi alle palpebre, alle labbra e alla lingua.

Gli spasmi crescevano quindi di intensità (e questo probabilmente salvò molti cappellai che venivano allontanati da lavoro) mentre i disturbi mentali si manifestavano in depressione, perdita della memoria, allucinazioni, mancanza di coordinazione e insonnia.

I disturbi però colpivano anche il fisico danneggiando soprattutto i reni.

Altri effetti comprendevano la perdita dell’udito, sanguinamento dalle orecchie e dalla bocca, arrossamento delle dita di mani e piedi, perdita dei denti e delle unghie.

I cappellai si riducevano quindi a degli esseri umani piagati nel fisico e nella mente, dall’espetto mostruoso e soggetti a tremori e spasmi muscolari, nonché ad allucinazioni e comportamenti antisociali.

Dei matti insomma.

 

 

 

Conclusioni

Nel 1898 la Francia passò una legge per proteggere i cappellai dall’esposizione dal mercurio. Legislazioni simili vennero varate anche in Inghilterra e, agli inizi del ‘900, il problema dei cappellai matti si era quasi risolto in tutta Europa.

Negli Stati Uniti invece le cose andarono peggio, non ci furono legislazioni specifiche e la gente continuò a produrre cappelli per tutta la prima metà del ‘900 accettando l’avvelenamento da mercurio come uno dei rischi del mestiere (l’altro penso fosse essere sfidati a duello).

Per loro fortuna intervennero in loro soccorso i nazisti: nel 1941 la Germania dichiara guerra agli USA trasformando una bagarre europea in una cosa mondiale, gli Stati Uniti in pieno sforzo bellico dichiarano il mercurio risorsa strategica e i cappellai cambiarono i sistemi produttivi chiudendo 200 anni di follia di categoria.

Rimane il mistero del cappellaio matto di Lewis Carrol: sebbene Carrol conoscesse molto bene il problema che affliggeva i cappellai si pensa che il suo personaggio fosse in realtà ispirato a un suo contemporaneo Theophilus Carter, il quale forse era matto ma, per sua fortuna, non mad as an hatter.

La prossima volta che prendete dall’armadio il vostro cilindro, tributate un saluto alle generazioni di persone impazzite per ottenere il cappello perfetto, certo un buon cilindro vale qualsiasi sacrificio e a noi gentiluomini moderni è negato il sottile piacere di vedere dei matti berciare in strada (ora stanno nei gruppi Facebook) ma in fin dei conti, sotto sotto, ogni gentiluomo è felice che mad as an hatter sia ormai solo più un modo di dire e non una diagnosi.