Immaginatevi di essere seduti a casa vostra, sbracati dopo una lunga giornata di lavoro. Un bagliore attira al vostra attenzione. Correte alla finestra: la biblioteca di Alessandria, la più grande collezione di libri del mondo sta bruciando! Di nuovo!
Vi mettete le mani nei capelli!
“Ma perché la gente è scema?” vi chiedete senza trovare risposta.
Quante volte abbiamo vissuto una scena simile?
Io mai, non ero ancora nato in nessuna delle 4 volte in cui qualche idiota ha bruciato la biblioteca di Alessandria.
Ma cambiamo un attimo il contesto.
Non siete in Egitto, siete a casa vostra, e questa scena l’avete vissuta tutti quanti voi.
È il 22 marzo del 2011 e la più grande biblioteca del mondo viene nascosta e scompare per sempre.
E come il vostro antenato di 2000 anni fa vi mettete le mani nei capelli.
“Perché la gente è scema?” vi chiedete.
Ma proprio come il vostro antenato, rimanete senza risposta.
E oggi parleremo proprio di questo, di una storia incredibile, irripetibile e grandiosa.
Ma anche triste.
Molto, molto triste.
Un Libro, un Metronomo e due Ingegneri
È il 2002 in una stanza ci sono due giovani, i loro nomi non vi direbbero nulla.
Il ragazzo si chiama Lawrence è un informatico e cinque anni prima ha lanciato una startup di un qualche successo con un suo amico russo, Sergey. La ragazza si chiama Marissa, è un informatica anche lei e lavora nella stessa azienda di Lawrence.
Nella stanza c’è anche un metronomo e un libro di 300 pagine. Lawrence si sta interrogando su una domanda banale: quanto tempo ci vorrebbe a scannerizzare 100 milioni di libri?
Non ne ha idea.
Quindi fa ciò che avremmo fatto tutti: prende un libro e ci prova. Il metronomo lo aiuta a tenere il tempo, lui e Marissa scannerizzano il libro, ci mettono circa 40 minuti.
L’idea di digitalizzare i libri non è nuova a Lawrence, all’università, quando studiava i crawler, già immaginava un sistema per cercare citazioni tra i libri, per vedere quanto un libro fosse citato da altri e che aiutasse a ordinare meglio i volumi.
Con i suoi 40 minuti bene in mente Lawrence va all’università del Michigan, il luogo dove ha studiato e anche il luogo più avanzato nel campo della digitalizzazione dei libri, per scoprire a che punto sono le tecnologie nel campo.
L’università ha una biblioteca di circa 7 milioni di volumi e dichiara che, con le tecnologie attuali, per digitalizzarli tutti ci avrebbero messo intorno ai 1000 anni.
“Ce la posso fare in 6” ribatte Lawrence.
Nemmeno Rommel sulle Ardenne aveva osato tanto.
Il Progetto Ocean
Lawrence chiede alla biblioteca di fare la cosa per cui è nata: prestare libri.
“Posso prendere a prestito dei libri?” chiede.
“Quali?” chiede il bibliotecario.
“Tutti” risponde Lawrence.
Il patto è questo: se la biblioteca gli presta tutti i suoi volumi Lawrence gliene darà una copia digitale.
Da un lato la biblioteca guadagnerà l’equivalente digitale dei suoi testi, dall’altro l’azienda di Lawrence avrà accesso a una mole sconfinata di dati, è un win-win.
You have thousands of years of human knowledge, and probably the highest-quality knowledge is captured in books. What if you could feed all the knowledge that’s locked up on paper to a search engine? (Sergey)
Lawrence e Sergey stringono lo stesso accordo con decine di altre biblioteche pubbliche e universitarie e, nel 2004, si sentono pronti a cominciare: digitalizzeranno l’intero sapere dell’umanità.
La mole di libri da digitalizzare offriva dei problemi non da poco a livello logistico. Ogni giorno camion e camion carichi di libri raggiungono i centri di scanning della loro azienda, qui vengono scaricati e i libri portati tramite carrelli alle postazioni di scanning. Le postazioni sono state progettate e costruite interamente dalla loro azienda e possono scannerizzare fino a 1000 pagine l’ora.
Svariate telecamere, laser e lidar mappano le pagine, lo spessore, la posizione e la curvatura del foglio così da assicurarsi un perfetto allineamento, ma nessuna macchina può superare un essere umano nello sfogliare le pagine,
Tutte le pagine sono girate a mano e fotografate una per una attraverso una pedaliera comandata dagli operatori.
Le immagini vengono quindi elaborate valutando tutti i dati accessori e riprodotte come fogli piatti. Da qui in avanti scatta la seconda fase. Una serie di software di riconoscimento procedono a inquadrare le parole, le immagini, i grafici, le foto e a riconoscerle.
Nel suo periodo di massimo splendore ben 50 ingegneri lavoravano a tempo pieno al progetto.
To organize the world’s information and make it universally accessible and useful.
Fu il primo progetto che la loro azienda chiamò apertamente un “moonshot”, un’opera titanica. Il progetto costava tra i 40 e i 50 milioni di dollari l’anno ma a Sergey e a Lawrence non importava, loro credevano nella biblioteca universale.
Nel 2010 annunciano che nel mondo ci sono 129,864,880 di libri e che loro li digitalizzeranno tutti, non importa quanto costerà.
Purtroppo però il moonshot andò corto, andò corto di molte decine di milioni di libri.
La Biblioteca Universale
Ormai tutti abbiamo capito chi sono i tre protagonisti di questa storia, Lawrence, detto Larry, Larry Page, Sergey Brin e Marissa Mayer. E il progetto Ocean fu il primo moonshot di Google.
Molto prima di portare internet attraverso palloni atmosferici o creare auto che si guidano da sole, c’era il progetto Ocean, la digitalizzazione di tutto ciò scritto dall’umanità dall’inizio del mondo.
Quando Google iniziò il suo progetto non aveva ben chiaro di voler creare una biblioteca digitale universale. L’idea primaria non era tanto che chiunque potesse leggere dei libri in formato digitale, quanto che chiunque potesse cercare dei libri.
Se qualcuno cercava qualcosa coperto da copyright Google avrebbe semplicemente mostrato quel qualcosa e alcune frasi intorno così da rendere chiaro il contesto.
A Google interessava creare un catalogo di libri più che una biblioteca.
L’idea era che il loro catalogo fosse coperto dal Fair Use ossia dalla possibilità di chiunque di citare piccole porzioni di opere coperte da copyright senza per questo infrangerlo.
Ma c’era un problema, il Fair Use non copre la trasformazione di qualcosa coperto da copyright, È vero che Google non rendeva disponibile in lettura un intero libro ma, di fatto, ne creava una copia digitale, modificando il prodotto. E questa è un’infrazione del copyright, è LA infrazione del copy-right.
Quando si sparse la voce che Google stava prendendo a prestito e digitalizzando milioni di libri, autori e editori fecero causa alla società per violazione del copyright sulle loro opere.
Una causa che andava persa
What happened was complicated but how it started was simple: Google did that thing where you ask for forgiveness rather than permission.
Facendo appello al Fair Use Google non chiese mai il permesso di copiare i libri, semplicemente li prendeva a prestito, li digitalizzava e poi li restituiva come se nulla fosse (e stiamo parlando di decine di milioni di libri, io se prendo 3 libri in biblioteca, uno mi dimentico di restituirlo).
È vero, Google non rendeva disponibili i libri perché venissero letti, inoltre rendeva disponibile la copia digitale alla biblioteca che glieli aveva forniti ma, di fatto, stava copiando qualcosa senza averne il diritto.
Lasciare che Google copiasse ogni libro esistente poneva un pericoloso precedente che avrebbe potuto rendere nulla la stessa istituzione del copyright.
Esiste una lunga storia di invenzioni che hanno modificato la percezione del copyright, qualcuno inventa qualcosa per distribuire i contenuti in maniera migliore e il mercato si adatta.
A partire dai piano rolls dei primi del ‘900 per arrivare al P2P la storia è piena di cause contro l’innovazione, di norma il copyright perde e, semplicemente, il mondo si adatta a sfruttare la nuova tecnologia per farci soldi, nonostante l’iniziale paura di tutti coloro che temono di vedere il loro lavoro spazzato via dalle nuove tecnologie.
I say to you that the VCR is to the American film producer and the American public as the Boston strangler is to the woman home alone. (Jack Valenti a proposito dei videoregistratori)
Fu così anche per il progetto Ocean, in un paio di anni le persone che avevano fatto causa a Google si resero conto di avere abbastanza spazio negoziale per trovare una soluzione soddisfacente per tutti.
Il punto principale fu stabilire una distinzione netta tra i libri ancora in vendita e quelli ormai fuori catalogo. Da questo punto di vista Google stava dando nuova vita a opere che, altrimenti, nessuno si sarebbe preoccupato di commercializzare mai più.
E questo era qualcosa che chiunque non si sarebbe mai sognato di fermare anzi, era qualcosa da incoraggiare.
Per questi libri mostrare giusto una o due frasi era inutile, era molto più utile poterli vendere ancora, sfruttando il formato digitale che Google aveva creato.
I libri fuori catalogo sono per definizione stessa dei pesi inutili, se il progetto Ocean avesse potuto rimetterli sul mercato questa sarebbe stata una vittoria economica non da poco per autori e editori.
We realized there was an opportunity to do something extraordinary for readers and academics in this country. (Richard Sarnoff Chairman of the American Association of Publishers)
Con questo obiettivo in mente la causa (che era incentrata sulla possibilità di Google di continuare a fare copie digitali dei libri esistenti e mostrarne dei frammenti) perdeva molta della sua importanza.
Se avessero vinto gli autori e gli editori avrebbero potuto recuperare qualche soldo ma avrebbero perso gli enormi guadagni derivati dal trasformare frammenti di vecchi libri in domanda per quegli stessi libri.
Viceversa se avesse vinto Google gli autori e gli editori non avrebbero avuto nulla e i lettori avrebbero avuto soltanto frammenti di libri senza poter accedere ai libri nella loro interezza.
Di conseguenza i promotori della causa si trovarono nella scomoda situazione di non voler ovviamente perdere… ma nemmeno di voler vincere.
Il più grande accordo mai tentato
Uno dei problemi principali dei libri fuori catalogo è che nessuno sa a chi appartengano i relativi diritti. Di norma gli autori stipulano con gli editori dei contratti per i quali cedono i diritti dei libri per un tot di anni, alla fine dei quali i diritti tornano all’autore e il libro esce dai cataloghi.
Però l’autore deve avvisare che il contratto è scaduto e i diritti sono tornati a lui e per i libri molto vecchi (molto vecchi -> prima dell’information economy) i diritti digitali non esistevano e quindi i confini sono ancora più labili.
I copyright poi vanno rinnovati e spesso gli autori non si prendono il disturbo di farlo, senza contare che prima della digitalizzazione dei documenti molte di queste domande di estensione del copyright sono andate semplicemente perse.
È stato stimato che circa la metà di tutti i libri pubblicati tra il 1923 e il 1963 siano ormai liberi da copyright e di pubblico dominio… ma nessuno sa quale delle due metà sia.
Andare a ricercare chi possiede i diritti di un libro fuori catalogo non è solo molto difficile, è anche economicamente stupido.
Molti libri inoltre sono fuori catalogo non tanto per una questione di diritti, quanto di sconvenienza economica. Da questo punto di vista la class action intentata contro Google diventava uno strumento preziosissimo: era una class action dei possessori di diritti sui libri, quindi era a nome di chiunque possedesse o avesse mai posseduto dei diritti, i risultati della class action avrebbero avuto effetti su tutti i libri e i rispettivi possessori di diritti presenti, futuri e, soprattutto, passati.
Di conseguenza si poteva raggiungere una soluzione univoca per la quale Google avrebbe potuto continuare il suo scanning di qualsiasi libro fuori catalogo esistente a fronte di un corrispettivo in denaro generato dalla vendita di questi libri, per i quali i possessori dei diritti non erano chiari.
Se i rappresentati degli autori fossero riusciti a dimostrare che la class action era in favore di tutti i possessori di diritti con una singola decisione di un giudice si sarebbe riusciti a risolvere per sempre l’enorme problema dei diritti ambigui sui vecchi libri.
In pratica la class action si trasformò in un modo per dire a Google “Vai avanti!”.
Ovviamente doveva esserci un corrispettivo, e qui ci fu la parte geniale dell’intera operazione. Il nocciolo dell’accordo era una licenza collettiva per i libri fuori catalogo. Chiunque avesse dei diritti su un certo libro poteva farsi avanti e Google gli avrebbe corrisposto una parte dei guadagni derivanti dalla vendita della sua opera.
Se non si faceva avanti nessuno Google avrebbe venduto ugualmente il libro ma il 63% del guadagno sarebbe finito in un fondo, il Book Rights Registry.
In qualunque momento il proprietario dei diritti si sarebbe potuto rivolgere al fondo per avere la sua parte e, nel caso i diritti fossero poco chiari, una parte dei soldi si sarebbero usati per cercare di capire effettivamente chi possedeva i diritti su quell’opera.
Book publishing isn’t the healthiest industry in the world, and individual authors don’t make any money out of out-of-print books.
Not that they would have made gazillions of dollars with Google Books and the Registry, but they would at least have been paid something for it. And most authors actually want their books to be read. (Cunard, represent of the publisher).
L’accordo prese il nome di Google Books Search Amended Settlement Agreement (ASA), era un mostro di 165 pagine e 12 appendici distinte.
Sarnoff descrisse l’accordo come una partita a scacchi quadrimensionali tra gli autori, gli editori, le biblioteche e Google.
Everyone involved, and I mean everyone—on all sides of this issue—thought that if we were going to get this through, this would be the single most important thing they did in their careers. (Richard Sarnoff Chairman of the American Association of Publishers)
L’accordo trovato prevedeva che Google pagasse 45 milioni di dollari per i libri già scannerizzati, 15.5 milioni di dollari agli editori, 30 milioni di dollari agli autori e 34.5 milioni di dollari per la creazione del registro.
Non solo, l’accordo dettava le regole per tutti i libri fuori catalogo che da adesso sarebbero stati venduti da Google.
Google poteva mostrare fino al 20% dell’opera e poteva venderle in formato digitale a un prezzo stabilito dai possessori dei diritti sul libro o da un algoritmo (tra gli 1.99$ e i 29.99$ che sta cosa di mettere i .99 nei libri pare andasse già di moda).
Ma, cosa importantissima, tutti i libri fuori catalogo digitalizzati sarebbero finiti in un immenso archivio, che sarebbe stato venduto alle università, dove gli studenti e il personale universitario avrebbero potuto consultare e leggere liberamente qualsiasi libro nella sua interezza, oltre a una clausola che prevedeva la stessa cosa per ogni biblioteca d’America.
Sarebbe stata la nuova Biblioteca di Alessandria, disponibile a tutti, per sempre.
Mettere a punto tale accordo richiese anni di negoziati ma finalmente, nel 2011, c’era un piano. Un piano per che soddisfaceva tutti: le biblioteche avrebbero avuto accesso a milioni di libri, Google avrebbe avuto il suo database (e parte dei ricavi della vendita di libri fuori catalogo) e gli autori avrebbero visto i loro libri di nuovo disponibili a chiunque e guadagni per libri che in quel momento nessuno pubblicava più.
E tutto questo senza necessità di un percorso legislativo, ma semplicemente tramite un accordo colossale.
Perhaps the most adventuresome class action settlement ever attempted.
Le Critiche
L’accordo era talmente enorme da interessare milioni di persone diverse e modificare per sempre un intero settore industriale. Autori, editori, concorrenti di Google, biblioteche, studi legali e lo stesso governo americano osservavano con attenzione l’evolvere degli eventi.
Quando il giudice Denny Chin chiese se qualcuno avesse obiezioni all’accordo le obiezioni arrivarono, arrivarono a frotte.
L’obiezione principale fu che con questo accordo veniva dato a Google un enorme potere, per la prima volta una corporazione privata avrebbe avuto la possibilità di possedere la biblioteca di tutto ciò che aveva scritto l’umanità.
Sebbene i prezzi e i compensi dell’accordo erano giudicati molto onesti, la paura era che, una volta che il sistema fosse diventato dipendente da Google, Google avrebbe potuto incrementare il prezzo a suo piacimento, così come era già successo in passato per i giornali di pubblicazione specialistica, ad esempio nel 2011 un abbonamento annuale al Journal of Comparative Neurology poteva costare intorno ai 26.000$.
Per quanto molti accademici fossero felici di poter aver di nuovo accesso a milioni di libri fuori catalogo, l’accordo sembrava molto un patto col diavolo: si stava creando la più grande biblioteca del mondo, ma col rischio di creare anche il più grande bookstore del mondo, e di darne il monopolio a un’unica azienda.
In molti riconoscevano i vantaggi di ciò che stava facendo Google ma criticavano il fatto che solo Google avrebbe avuto la possibilità di monetizzare questa enorme risorsa.
Altre critiche vennero dai competitor di Google, Microsoft obiettò che la posizione dominante di Google come motore di ricerca sarebbe stata enormemente avvantaggiata dalla possibilità di essere l’unico in grado di cercare tra milioni di libri e che questo fosse un vantaggio competitivo che avrebbe distorto il mercato.
Google ribatté che chiunque poteva fare la stessa cosa (digitalizzare e mostrare frammenti di libri) era una possibilità coperta dal fair use (cosa in effettivamente vera).
Inoltre che il “vantaggio competitivo” non era sto gran vantaggio in quanto le informazioni che erano presenti su internet erano superiori di diversi ordini di grandezza a quelle che potevano trovarsi nei libri.
Poter citare pezzi di libri era utile per determinate ricerche e di sicuro era interessante ma non era il core business di Google e dei servizi offerti ai suoi utenti.
You don’t need to go to a book to know when Woodrow Wilson was born.
Amazon contestò il fatto che l’accordo dava a Google la possibilità di vendere milioni di libri che nessun altro poteva vendere.
Di base, per poter vendere un libro fuori catalogo, bisognava dimostrare di possederne i diritti e, visto che questo era spesso impossibile, il fatto di regalare a Google tutti i diritti dubbi era un vantaggio legislativo.
Un Accordo Controverso
Queste critiche allarmarono l’Antitrust americano e il Dipartimento di Giustizia (DOJ) che iniziò a preoccuparsi dell’accordo. Il DOJ argomentò che l’accordo regalava di fatto a Google il monopolio dei libri fuori catalogo.
Se qualche altra azienda avesse voluto entrare in questo mercato avrebbe dovuto passare attraverso la stessa irripetibile somma di eventi: digitalizzare i libri in massa, subire una class-action, trovare un accordo.
Cosa decisamente poco probabile.
Google da parte sua si difese dicendo che il fine ultimo dell’antitrust è proteggere i consumatori e, come argomentarono i suoi avvocati, l’accordo poteva non essere perfetto, ma per i consumatori era meglio di nessun accordo.
I libri fuori catalogo prima erano inaccessibili mentre adesso potevano essere nuovamente acquistati, e questo era un indubbio vantaggio per i consumatori.
Un altro punto sollevato dagli editori fu che Amazon possedeva circa l’80% del mercato degli e-book, mentre Google ne possedeva una percentuale che stava tra lo 0% e l’1%, l’accordo faceva entrare Google tra i competitor nel mercato degli e-book, questo aumentava la concorrenza piuttosto che ridurla.
Ma per quanto le parti interessate dall’accordo facessero di tutto per dimostrare che l’accordo non era esclusivo, per il DOJ l’accordo era di fatto esclusivo perché la class-action non era contro la digitalizzazione dei libri, era contro Google e Google soltanto, e dire che la class-action era invece verso chiunque volesse digitalizzare libri era una forzatura.
Inoltre l’accordo superava i confini della class-action che era iniziata per stabilire se Google potesse digitalizzare e mostrare frammenti di libri sui quali non possedeva i diritti e si era conclusa con un accordo sui diritti di tutti i libri fuori catalogo e sulla creazione di un enorme bookstore online.
Il DOJ aveva messo l’accordo tra la padella e la brace: se ci si fosse concentrati sull’accordo economico allora Google avrebbe infranto le norme dell’antitrust, se invece si fosse reso l’accordo non esclusivo allora si sarebbero infrante le norme che regolano le class-action.
Despite this worthy goal, the United States has reluctantly concluded that use of the class-action mechanism in the manner proposed by the ASA is a bridge too far.
La Decisione del Dipartimento di Giustizia
Per quanto le critiche del Dipartimento di Giustizia fossero sensate, l’accordo di per se non era illegale, semplicemente era senza precedenti. Alcuni anni dopo una class-action simile riguardante i diritti pubblicitari dei giocatori ritirati dell’NFL che usava argomenti simili fu accettata e divenne norma.
Cunard, che rappresentava gli editori nella causa con Google e che prese parte anche a quella disputa, osservò che se la disputa dell’NFL fosse stata giudicata prima di quella di Google, quella di Google avrebbe avuto un esito completamente diverso e nessuno si sarebbe lamentato che una class-action fosse andata troppo oltre i suoi scopi.
Somebody’s got to be first. (Cunard, represent of the publisher)
Ed era toccato a Google.
In molti si chiesero perché il DOJ avesse preso posizione invece che rimanere neutrale e nessuno ne ha tutt’ora un’idea chiara. In ogni caso il Dipartimento di Giustizia decise che l’accordo non era “fair, adequate, and reasonable” per le leggi che regolavano le class-action. Agli astanti non restava che modificare l’accordo (rendendolo di fatto inutile) o chiedere al Congresso di cambiare le regole del copyright.
L’ironia della cosa era che la maggior parte delle critiche venivano da persone che di fatto pensavano che Google stesse facendo una cosa utile.
Autori che dicevano che Google avrebbe dovuto distribuire i libri gratuitamente (senza considerare che chi avesse avuto i diritti poteva imporre il prezzo del libro a Google e il prezzo poteva essere 0, ma lamentandosi dei libri senza chiari diritti che sarebbero invece stati venduti).
La marea montante di critiche spinse il Dipartimento di Giustizia a prendere la sua decisione, che mosse l’opinione pubblica a schierarsi contro l’accordo e il giudice a rigettarlo.
Fu il classico caso dove l’ottimo fu nemico del buono.
Le persone preferirono che i libri fuori catalogo rimanessero irraggiungibili per sempre piuttosto che permettere a Google di venderli.
Quando l’accordo fallì le parti in causa chiesero al Congresso di prendere in esame le attuali leggi sul copyright e renderle meno stringenti su modello di quelle dei paesi del nord Europa per i libri fuori catalogo.
Ma come ebbero a dire in molti, non era un argomento abbastanza importante perché il Congresso si decidesse a revisionare le regole del copyright.
E anche oggi, nessuno al Congresso ha interesse a spendere capitale politico nel tentativo di cambiare le regole delle licenze per dei libri e, per di più, per dei vecchi libri. Non è qualcosa che aiuta una rielezione o che crea migliaia di posti di lavoro.
L’accordo, stringendo, prevedeva che una corporazione privata pagasse senza domande, a piè di lista per ciò che ciascuno alla fine desiderava, Google ci aveva messo i soldi (Ocean costò circa 400 milioni di dollari), i software, gli ingegneri, la meccanica e la logistica, senza contare le spese processuali e i risarcimenti multimilionari, per raggiungere qualcosa che sarebbe stato di beneficio per tutti.
Molti anni dopo, l’Ufficio dei Copyright elaborò una proposta non dissimile a quella dell’ASA ma il cui costo sarebbe ricaduto sul bilancio governativo e che avrebbe dovuto passare tramite voto del Congresso.
La proposta è ancora ferma ed è molto difficile che vedrà mai la luce.
It would be a tragedy not to try to bring this vision to fruition, now that it is so evident that the vision is realizable.
La Fine di Ocean
La prima legge sul copyright americana data 1790 ed era chiamata An Act for the Encouragement of Learning. Il copyright sui libri durava 14 anni ed era rinnovabile di altri 14 ma solo se l’autore era ancora in vita .
L’idea era che gli autori potessero guadagnarsi da vivere con le loro opere ma anche che, in tempi ragionevoli, le opere sarebbero diventate di dominio pubblico, disponibili per tutti.
Le leggi si modificarono principalmente per l’influsso europeo dove il copyright durava per tutta la vita dell’autore più ulteriori 50 anni.
Man mano che il mondo diventava più interconnesso, prevedere copyright meno stringenti lasciava il proprio patrimonio culturale facile preda di economie con copyright più severi e così, modifica dopo modifica, il copyright americano oggi blocca la quasi totalità delle opere prodotte dal 1923 in avanti.
La corte si pronunciò sulla class-action dando infine ragione a Google: mostrare frammenti di libri digitalizzati ricade sotto il fair use come argomentato dai legali di Mountain View.
Ma di per contro la corte stabilì che Google doveva mettere fine alla sua opera di digitalizzazione.
E che i libri fuori catalogo dovessero essere restituiti all’oblio.
Così oggi, nascosta da qualche parte, tra le migliaia di server ospitati negli immensi datacenter di Google c’è una biblioteca da 25 milioni di volumi alla quale nessuno è permesso accedere.
Per millenni gli uomini hanno cercato di creare la biblioteca universale, costruendo uno dei più grandi monumenti di tutti i tempi, oggi questa biblioteca esiste, è disponibile, e occupa lo spazio di un hard disk da una sessantina di petabyte.
E le uniche persone che ci possono accedere sono una mezza dozzina di ingegneri, il cui compito è tenerla chiusa a tutti.
Per sempre.
Così è finito il progetto Ocean, la cosa più vicina alla biblioteca universale che l’umanità abbia mai creato… anche se, chiedendo agli ingegneri della Google cosa bisognerebbe fare per rendere disponibile a tutti questo enorme tesoro, cosa si pone tra il mondo e una biblioteca pubblica da 25 milioni di volumi, loro vi risponderebbero così:
You’d get in a lot of trouble, they said, but all you’d have to do, more or less, is write a single database query. You’d flip some access control bits from off to on. It might take a few minutes for the command to propagate.
- Google Books Library Project (google.com)
- Google Books (wikipedia.org)