Può un “semplice” film thriller dalle venature horror e una secchiata di splatter rivelarsi più efficace di tanti polpettoni drammatici sul fronte del racconto e della denuncia del razzismo strisciante in America e un po’ in tutti noi?
Eccome, se quel film si intitola Scappa – Get Out ed è uno dei maggiori incassi cinematografici dell’anno.
Eccome (2), se lo fa in modo sottilmente geniale portando avanti un film che ha una sua trama e una sua identità, ti fa fare salti sulla sedia ma senza mai dimenticare di infierire sadicamente sui suoi bersagli.
Si conferma la grande perizia della Blumhouse, la casa di produzione di Jason Blum, ormai sinonimo di fiuto per il successo (a basso costo).
Quando si tratta di realizzare horror, non ci sono paragoni. Se poi, come in questo caso, ci si rifà alla grande tradizione dell’orrore come cavallo di troia per parlare del presente e di questioni sociali, bingo!
Il film scritto e diretto da Jordan Peele, metà di una coppia comica di culto in Usa, ha rastrellato 30 milioni di dollari al suo weekend di uscita e uno strabiliante 99% di freschezza su Rotten Tomatoes.
Che ancora conserva nel momento in cui sto scrivendo.
Costato poco meno di 5 milioni di dollari, ne ha incassati finora, solo in patria, 175.
Qualcosa dice che ha colpito nel segno.
Come thriller-horror è stato apprezzato, ma come metafora (e forse accusa) sul razzismo di cui è pregna l’America forse ha fatto centro ancor di più.
La trama, in breve:
Un giovane afro-americano visita la tenuta di famiglia della sua fidanzata bianca, dove si scontra con il vero motivo che si cela dietro l’invito.
Ora che Chris e la sua ragazza, Rose, sono arrivati al fatidico incontro con i suoceri, lei lo invita a trascorrere un fine settimana al nord con Missy e Dean.
In un primo momento, Chris legge il comportamento eccessivamente accomodante della famiglia, come un tentativo di gestire il loro imbarazzo verso il rapporto interrazziale della figlia; ma con il passare del tempo, fa una serie di scoperte sempre più inquietanti, che lo portano ad una verità che non avrebbe mai potuto immaginare.
Come è ben evidente dal trailer, non c’è intenzione di nascondere niente: l’attacco frontale ai valori liberali e democratici c’è, eccome.
La carne al fuoco è tanta: discriminazione, pregiudizi, ipnosi, pratiche chirurgiche illegali (o almeno così sembra), violenza e ipocrisia. E secchiate di sangue, che come condimento vanno sempre bene.
Anche se le questioni del razzismo in USA sono da sempre un nervo scoperto e sono presenti nel cinema dall’alba dei tempi, in modo consapevole o meno, non si può dire che un film del genere dieci anni fa sarebbe capitato a fagiolo.
Agli albori della presidenza Obama, un trailer di questo tipo ci sarebbe quasi risultato “stonato”. Adesso invece, cattura e assorbe precisamente l’atmosfera e le tensioni striscianti dell’era Trump appena iniziata.
Arriva dopo le ennesime violenze sui cittadini di colore, dopo omicidi razziali, dopo il movimento “Black Lives Matter”.
E lo fa con un subdolo attacco a testa bassa: i “cattivi” (o i mostri che dir si voglia) non sono i classici redneck rozzi e violenti, non sono i benpensanti ultracristiani e filo-KKK, non sono neonazisti: sono la brava gente della middle-class liberal.
Qualcosa mi fa sospettare che ci sia qualcosa di più grosso e losco dietro la patina del razzismo, ma questo lo scopriremo solo vedendo il film.
Quali sono i più recenti esempi di film horror che raccontano più di quello che raccontano?
The Witch (anzi, The VVitch)
Un film che racconta la tragica “relazione” pericolosa tra il demonio e i componenti di una famiglia ultra-religiosa, cacciata dalla comunità di appartenenza agli inizi del 1600.
Le streghe che tanto ossessionano il capofamiglia… non saranno un po’ gli spettri della superstizione e della misoginia?
Una figlia maltrattata al limite del sadismo e le teste annebbiate da un credo troppo ferreo sono il velo dietro al quale il regista Robert Eggers denuncia un’ottusità che ci portiamo dietro ancora oggi: come se quei dialoghi pieni di superstizione, risultato di ricerche storiche dell’autore, fossero eco di ciò che ancora oggi sentiamo a proposito delle donne (e non solo).
Da recuperare assolutamente, fosse anche per un finale d’assoluta potenza che lascia basiti.
It Follows
Una delle gemme dell’horror contemporaneo, spesso incompresa ma di un’eleganza e una cura formale come pochi altri, racconta nient’altro che la paura di crescere.
Certo, anche l’allegoria della malattia sessualmente trasmessa (l’orrore inizia così) è chiara, ma forse fin troppo.
Diventare adulti fa schifo.
Qual è quel mostro che ti insegue e non si ferma mai? Che ti perseguita – di solito – quando hai perso l’innocenza e ti trasforma in un essere che vede il mondo con altri occhi?
Persino le “figure” che assume il mostro invisibile sono significative: anziani, persone ferite, deformi, preferibilmente dimenticate come un padre assente.
The Babadook
Altro horror amato e detestato in egual misura, ma degno della migliore tradizione delle favole nere.
Tra le pieghe del racconto della madre single tormentata da sensi di colpa, stress e un bambino iperattivo c’è esattamente la descrizione della genitorialità (e della morte) come qualcosa che mette alla prova nel modo più profondo.
Il rancore che a volte cova sotto l’amore, quando qualcosa di rompe. La vita “succhiata via” dai figli, il rischio di impazzire, il senso di inadeguatezza.
Qualcosa con cui bisogna fare i conti. Probabilmente senza vincere mai completamente, ma tenendo a bada la parte più oscura. Il finale, in questo senso, è emblematico.
You’re Next
In bilico tra thriller gore tra quattro mura e commedia nera con ghigno beffardo, il film di Adam Wingard prima ancora di ammazzare i componenti della famiglia li fa azzannare tra loro.
Non dev’essere un caso se gli aggressori indossano maschere da animali (più o meno feroci).
Il risentimento e le disfunzioni della famiglia sono il bersaglio nascosto del film, che le utilizza come propulsore e catalizzatore delle tensioni nevralgiche della trama.
I sentimenti causano violenza? Eccome. E gli errori del passato diventano macigni. E una battaglia di ego può essere più devastante di un gruppo di criminali. Anche se quelli hanno più probabilità di ammazzarti.
Ma non c’è soltanto l’horror, naturalmente. Come non citare un altro genere ricco di spunti per raccontare il mondo che ci circonda? Ecco a voi la Fantascienza.
District 9
L’esordio di Neill Blomkamp racconta l’apartheid confinando gli alieni, per una volta “profughi” e non bellicosi o conquistatori, in uno slum che ricorda tanto i trascorsi poco gloriosi del Sudafrica dove il regista e autore è nato e cresciuto.
Brillante e intelligente, riesce a rendere i “gamberoni” quasi più umani degli umani, dei poveri derelitti vittime di burocrati dementi e senza scrupoli.
Alien Nation
Con gli alieni uguali a noi ma “testoni”, il film gioca facile nel mettere in campo tutti i possibili stereotipi del razzismo. Piccolo cult, non eccelso, ma da rivedere con piacere e nostalgia.
X-Men
Che i mutanti siano la nuova “razza” contro cui il mondo intero si coalizza nella discriminazione è talmente palese che non c’è da sottolinearlo.
Con Charles Xavier a fare da Martin Luther King e Magneto il Malcolm X della situazione, con citazioni annesse, la serie di film inizia piuttosto belligerante, per poi blandirsi progressivamente.
https://www.youtube.com/watch?v=zdfOGrXl2oE