Si tratta di una di quelle poche icone del mondo del wrestling ancora in attività, sebbene ormai come part timer. La sua carriera copre più di trent’anni, e ancora non è giunta la notizia di un ritiro ufficiale, dopo un numero incalcolabile di successi e il risultato di essere divenuto un membro dell’immaginario collettivo dei fan di wrestling e non. Cosa caratterizza questo personaggio, cosa lo ha reso unico, amato e indimenticabile, e come viene rappresentato oggi?

Oggi non funzionerebbe più se venisse proposto ex novo.

Oggi non funzionerebbe più se venisse proposto ex novo. Troppo ingenuo come personaggio, troppo sopra le righe, troppo insolito, discostato dalla realtà. Qualcosa del genere potrebbe andar bene in un film dell’orrore, o al massimo in qualcuno dei supereroi Marvel o DC che vanno tanto oggi. Non certo tra le corde di un ring di wrestling, di fronte a folle paganti di circa ventimila persone che hanno pagato un biglietto per una notte di sport-spettacolo.

Tuttavia, più di trent’anni fa, nella cosiddetta golden age del wrestling, un personaggio come l’Undertaker non era poi così bizzarro se collocato nel contesto in cui si introduceva, se paragonato a barbieri pazzi, giganti e sciamani woodoo. E, ancora oggi, rappresenta uno degli ultimi collegamenti con quell’epoca, uno delle ultime leggende per cui tifare.

 

Il pastrano e il cappello a tesa larga sono definitivamente entrati a far parte dell'iconografia del personaggio.

Il pastrano e il cappello a tesa larga sono definitivamente entrati a far parte dell’iconografia del personaggio.

 

Nell’immaginario collettivo ci sono alcuni nomi che, bene o male, rimarranno nella storia e un po’ tutti, anche chi del wrestling pensa sia solo una disciplina in cui degli uomini grandi e grossi si bastonano a vicenda, una sorta di bischerata all’americana, avranno il suo personaggio nel proprio immaginario. Questi si contano sulle dita della mano.

John Cena è il più moderno, probabilmente, insieme ad Hulk Hogan. Ma anche Dwayne the Rock Johnson, che ha avuto successo sia sul ring che sulle scene di film come i vari Fast and Furious, o il serpente a sonagli Stone Cold Steve Austin, che quasi da solo riuscì a tenere in piedi la WWE durante le Monday Night War, quando la compagnia si sfidava a suon di ascolti televisivi con la defunta e per certi versi rimpianta WCW.

bruno-sammartino-signatureIn America un’altra leggenda è anche Bruno Sammartino, probabilmente il più grande wrestler della storia, originario dell’Abruzzo e scappato dalla seconda guerra mondiale in America insieme al padre, per diventare lì il campione che regge attualmente il record per il regno più lungo della storia della federazione WWE, più di sette anni filati. Si racconta che quando lo perse, al Madison Square Garden, cadde un silenzio di tomba, in quanto nessuno volle crederci. Praticamente un eroe negli USA, mentre da noi non è stato ricordato nemmeno in occasione della sua introduzione nella Hall of Fame della WWE. Beacuse… reasons.

 

 

 

Il merito della leggenda

 

L’Undertaker è uno dei pochi probabilmente a meritare lo status di leggenda

L’Undertaker è uno dei pochi probabilmente a meritare lo status di leggenda, considerato l’impatto mediatico e culturale che avuto per la disciplina e la sua percezione nel mondo.

L’Undertaker è uno di questi pochi privilegiati perché, nel bene o nel male, ha definito una disciplina, un universo di intrattenimento e tutta una serie di dinamiche interne ad un mondo molto più complesso di quanto possa apparire agli occhi di un profano.

Nel mondo del wrestling esiste una regola abbastanza semplice, codificata dai padri fondatori della disciplina agli inizi degli anni 90:

Questo è uno sport-spettacolo, ed insieme alla parte atletica serve una componente narrativa.

Ogni lottatore è un personaggio, e ogni personaggio ha bisogno di una storia che, nel tempo, si evolve e si allunga. Se il lottatore è bravo, e se lo sono anche gli scrittori, la storia può diventare epopea, e dall’epopea si può passare a leggenda.

 

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La WWE in visita alle truppe USA stanziate in Iraq

 

Leggenda è in verità un termine che agli americani piace moltissimo.

Leggenda è in verità un termine che agli americani piace moltissimo. Tendono, come tutti noi, a guardare al passato con un occhio molto più gentile e comprensivo di quanto non facciano col presente o con il futuro, cosicché tendono a dimenticare quanto di brutto o mediocre è stato fatto, lasciando ciò che di buono e corretto rimane, lucidandolo nei propri ricordi fino a farlo risplendere più dell’oro stesso, ammantandolo di una nostalgia a volte insensata ed ostentata con ottusità e mancanza di senso critico.

Molti lottatori in questo modo sono diventati “leggende”. Leggenda è Hulk Hogan, leggenda è Sting, leggenda è Steve Austin, ed innumerevoli altri. In verità, alcuni di loro, a conti fatti, sono stati dei lottatori mediocri a voler essere gentili. Hulk Hogan, di fatto, nei suoi match non utilizzava più di una decina di manovre, mentre nel mondo esistono lottatori con un parco mosse sconfinato. Come non citare ad esempio la lista delle 1001 manovre di wrestling di Chris Jericho.

Quello che li rende così amati dal pubblico non è quindi la bravura che hanno mostrato nel ring, quanto la storia che hanno saputo raccontare e il carisma che hanno mostrato negli anni. Il quale, purtroppo, si può solo imparare e mai insegnare.

Il personaggio dell’Undertaker è se vogliamo atipico rispetto alle altre “leggende” che lo accompagnano.

 

Come non amaro quando fa così?Un uomo pallido, vestito di nero, che si muove lentamente al suo ingresso, ammantato nel buio e nel fumo, accompagnato da dei “druidi” (nient’altro che giovani lottatori in una fase di prova nei territori sperimentali a cui venivano assegnati questi ruoli, se vogliamo, di comparse) che sorreggevano torce infuocate, e che, una volta salito sul ring, faceva quel giochino di tirare indietro le iridi degli occhi, mostrando due fessure completamente bianche. Roba che a farlo noi ci riderebbero dietro.

In un’epoca in cui Stone Cold Steve Austin se ne usciva col discorso poi intitolato “Austin 3:16” (I’ve just whipped your ass), the Rock creava il neologismo “Smackdown” e il modo di dire “If you can smell what the Rock is cooking”, l’Undertaker se ne restava per lo più zitto, demandando l’incombenza di parlare al suo manager storico Paul Bearer (Oh, yeeeeah!).

Preferiva l’azione sul ring al parlato, il moto al logos. Anche lì, si muoveva lentamente, con uno stile derivato dalla sua grande stazza, che ovviamente non gli ha mai permesso i ritmi di altri lottatori più agili. Nell’esecuzione delle manovre, tuttavia, era rapido ed esplosivo.

Questo linguaggio fisico raccontava di un uomo apparentemente calmo e lento, ma pronto a scattare, né più né meno che come un cacciatore.

C’è tutta una sorta di lore intorno al becchino, legata anche al personaggio di suo fratello Kane introdotto in seguito, con il quale si scontrò a lungo in quella che, a tratti nel corso degli anni, è comparsa quasi più come una pappardella alla Beautiful che ad una epica saga familiare. Ma non sempre si può essere all’altezza delle proprie aspettative.

 

 

 

Il supereroe atipico
e il confronto con gli altri

 

Ai bambini non può che impressionare un personaggio del genere.

Ai bambini non può che impressionare un personaggio del genere. L’ingresso, soprattutto, era qualcosa di molto ben eseguito. Nessun annuncio da parte della signorina di turno al microfono, le luci che si spegnevano di colpo, e in contemporanea con il black out il suono di una campana a morto.

La gente ha già capito tutto. Alla lunga, diventa una sorta di rifletto Pavloviano. Suona la campana, sta arrivando l’Undertaker.

 

 

 

Classica taunt dell'Undertaker: prima dell'uscita dal ring, mostra il pugno chiuso rivolto verso l'alto, senza voltarsi verso il pubblico che pure lo sta applaudendo.

Classica taunt dell’Undertaker: prima dell’uscita dal ring, mostra il pugno chiuso rivolto verso l’alto, senza voltarsi verso il pubblico che pure lo sta applaudendo.

 

 

È qui per combattere. E per combattere per il bene.

È una sorta di uomo nero, tipo quello di cui ci raccontava nostra madre. Questo però non è nostro nemico, è bensì una sorta di eroe. Racchiude in sé il potere del buio, delle tenebre, del male. Ma non è qui per spaventarci. È qui per combattere. E per combattere per il bene.

Sì, perché per la maggior parte della sua carriera l’Undertaker è stato un *face*, termine tecnico che indica il lottatore “amico del pubblico”. Ma non è nemmeno proprio così, questa è una semplificazione. Se vogliamo essere precisi, l’Undertaker era un tweener.

Con questo termine si indica un personaggio che sta a metà strada tra bene e male, che non è ben definibile. Il pubblico lo apprezza perché comunque dà spettacolo, ma a livello di storia che lo vede protagonista magari presenta dei comportamenti da cattivo. Tuttavia il pubblico è in grado di passarvi sopra, di ignorarvi, perché il tutto è tutto ben costruito. Non è un cattivo fatto per essere odiato, come sono invece gli *heel*.

L’Undertaker rappresenta una sorta di forza primordiale, irrefrenabile.

È un supereroe dalle tinte oscure, sorta di Batman della WWE. Il pubblico ne è affascinato perché in esso vede mistero, vede un pizzico di occultismo, di lore celata, raccontata appena, qualche frammento ogni tanto, probabilmente inventati sul momento dai poveri autori.

Ma che importa? La miglior storia è quella non raccontata nei dettagli, affinché il pubblico possa riempire a proprio piacimento i buchi.

 

 

Una delle caratteristiche principali del successo del personaggio è legato all'evoluzione, pur fedele ad un topos di fondo che lo ha contraddistinto per quasi la totalità della carriera.

Una delle caratteristiche principali del successo del personaggio è legato all’evoluzione, pur fedele ad un topos di fondo che lo ha contraddistinto per quasi la totalità della carriera.

 

Iconico è il momento, in gergo chiamato anche taunt, in cui il Deadman, a terra dopo un colpo, con uno sforzo addominale si rimette seduto. L’avversario credeva di averlo messo al tappeto, invece eccolo lì, di nuovo in piedi, come se nulla fosse.

In generale con taunt si intende un gesto, o un modo di fare tipico di un lottatore, che lo caratterizzi e lo renda immediatamente riconoscibile dal fan.

 

Un confronto può essere fatto con il come back di Hulk Hogan. In quel caso, l’Hulkster riceveva una serie di colpi dall’avversario e, ad ogni colpo, sembrava sempre più rinvigorito, galvanizzato dal dolore in una maniera inaspettata. Poi, al quarto o quinto colpo, l’Hulkster bloccava il pugno, indicava il malcapitato avversario e gridava, insieme a tutto il pubblico, un barbarico “Youuuuuuuu!”.

L’Undertaker no, non faceva proprio questo, non era un come back il suo. Il suo era un andare al tappeto, sembrare messo ko, e invece rialzarsi apparentemente senza alcuna fatica, come se tutti i colpi ricevuti non avessero avuto alcun effetto, come se fosse davvero in possesso di qualche potere straordinario.

Un supereroe, niente meno. Almeno, negli occhi dei bambini.

 

Una versione più datata dell'Undertaker, ai tempi in cui se la doveva vedere col fratello Kane

Una versione più datata dell’Undertaker, ai tempi in cui se la doveva vedere col fratello Kane

Questa cosa è rimasta talmente tanto nell’immaginario che è stata ripresa, con le dovute variazioni, da diversi altri lottatori, primo fra tutti proprio il Kane che impersona il fratello del deadman (i due ovviamente non sono realmente imparentati).

Recentemente in Lucha Underground un lottatore chiamato Mil Muertes porta una gimmick, ossia un personaggio, sotto certi aspetti simile a quello dell’Undertaker.

Oltre alla grande stazza, vi è il tema della morte e resurrezione del personaggio, attraverso la quale diventa più forte, almeno a livello di storyline (sì, in maniera simile ai Sayan se vogliamo), quello dei poteri derivanti da qualche oggetto (un urna contenente le ceneri della madre nel caso dell’Undertaker, una pietra recuperata dal luogo del terremoto che ha sepolto il condominio dove viveva Mil da ragazzo e nel quale dovrebbe essere raccolta la forza vitale, diciamo, delle mille anime dei morti in quella tragica occasione – sì, è lecito chiedersi che cosa si fumino gli autori quando sviluppano questi personaggi).

In un’epoca come questa in cui i film sui supereroi stanno godendo di un successo mai sperimentato precedentemente, non è poi molto difficile immaginare come un personaggio con queste caratteristiche sia riuscito e riesca facilmente a far breccia nel cuore dei bambini.

Essi si avvicinano a lui affascinati dall’entrata spettacolare, con la macchina del fumo, le luci violacee, la musica suggestiva che reinterpreta con chitarra elettrica la marcia funebre, la tenuta da ring. Personalmente, il pastrano e il cappello usati soprattutto nell’ultimo periodo sono parte integrante di una caratterizzazione sicuramente sopra le righe, eppure in grado di legarsi ai cuori dei giovani telespettatori che poi, crescendo, portano con sé un affetto connaturato per il personaggio.

Molti, moltissimi sono cresciuti con l’Undertaker, sempre vedendolo come una sorta di jolly, di personaggio al di sopra delle regole, che percorreva le strade che lui stesso si creava, libero nel senso più primordiale e intrinseco del termine.

 

 

 

Nel passare del tempo

 

Una volta cresciuti capiamo che non possedeva realmente quei poteri, che non faceva realmente cadere dei fulmini dal soffitto e che non è vero che quei colpi non li sentiva, li sentiva eccome, ma faceva tutto parte della grande coreografia che ogni volta va in scena sul ring.

Tuttavia questo non ci fa smettere di amare il lottatore e il personaggio, perché in esso c’è non solo un pezzo della nostra infanzia ormai, ma anche una sorta di piacere narrativo cresciuto e connaturato. Possiamo con lui permetterci di sospendere il nostro dubbio, lasciare che quest’uomo, questo intrattenitore, possa raccontarci una storia. La storia di un supereroe, una forza della natura, un lottatore, un combattente.

Molto ancora si potrebbe dire dell’Undertaker, come della sua streak vincente a Wrestlemania e dell’uomo che la distrusse, ma questo è tema delicato, da trattare a parte.

Quello che si può dire ora è che questo personaggio sta trascorrendo una fase forse insospettabile della sua narrativa: l’umanizzazione.

Dopo anni passati a sovvertire le sorti di match apparentemente già decisi, a far cadere fulmini dal soffitto dei palazzetti (non ho mai scoperto come fossero in grado di realizzare quegli effetti speciali, ma sicuramente erano qualcosa di straordinario), a vincere titoli, combattere alla pari con altre leggende in quelle che, né più né meno sono da considerarsi come epopee (forse non narrate con la maestria che avrebbero meritato, ma pur sempre epopee), ora l’Undertaker è, sportivamente parlando, vecchio.

 

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L’avvento di Internet non è stato esattamente clemente con l’Undertaker, mostrando l’uomo dietro il personaggio che, sportivamente e narrativamente parlando, inizia ad essere vecchio per il ruolo, sebbene ancora pieno di passione per lo stesso.

 

L’avvento di Internet non è stato clemente con lui.

L’avvento di Internet non è stato clemente con lui. Sono trapelate foto di lui con i capelli non tinti di nero, ma ormai striati d’argento, il volto stanco e provato, distante da quello che porta in scena. Questo ha sicuramente tolto qualcosa all sua leggenda, almeno per qualcuno che come me lo seguiva da quando era alle medie e che la connessione internet a casa poteva solo sognarsela ai tempi, e che per guardare una puntata del Friday night SmackDown non poteva fare altro che… beh, aspettare il venerdì sera su Sky.

Questo fa notare peraltro una cosa che forse non risale immediatamente agli occhi: mentre le altre superstar di wrestling di oggi sono molto attive sui social, l’Undertaker, appartenente ad una scuola che ormai si sta purtroppo perdendo, è sempre stato ligio al suo personaggio, difendendo la Kayfabe, la lore attorno a lui. Non è quasi mai apparso in pubblico, a parte per qualche toccante eccezione, non ha mai interagito con i fan come altri lottatori dai character più “normali”. Forse non gli è mai interessato, forse per lui è stato un immenso sacrificio, chi può dirlo.

Nei suoi ultimi match, distribuiti negli ultimi anni, si è mostrato come un uomo.

La frase sembra stupida, ma non lo è se immersa nel contesto del wrestling. In parte, l’Undertaker ha smesso i panni del lottatore sovrannaturale ed ha mostrato segni di debolezza umana. Ha colpito i suoi avversari alle parti basse, ha barato pur di vincere, ha sofferto ed è stramazzato al suolo. Cosa più incredibile di tutte, ha perso come, dove e quando nessuno avrebbe creduto che avrebbe dovuto perdere.

Questo dice qualcosa sull’uomo, oltre che sul personaggio, ed è una caratteristica che discende dalla stessa filosofia appartenente alla vecchia scuola di cui accennavo prima: altri lottatori, primo fra tutti Hulk Hogan probabilmente, non avrebbero mai accettato, soprattutto negli anni finali della propria carriera, di lasciare che il proprio personaggio venisse sminuito per lasciare posto alle altre leve. Dopo tutto il successo avuto, non avrebbero permesso ad altri di prendere le luci della ribalta, non alla fine. Tuttavia, era tradizione per le grandi star del passato, perdere l’ultimo match della propria carriera, in una sorta di passaggio di testimone al lottatore che li batteva.

 

Caratteristica ricorrente è stata quella del ritorno "dalla morte", inscenata in diversi match nel corso della carriera per giustificare l'allontanamento dal ring, ovviamente dovuto in realtà a degli infortuni.

Caratteristica ricorrente è stata quella del ritorno “dalla morte”, inscenata in diversi match nel corso della carriera per giustificare l’allontanamento dal ring, ovviamente dovuto in realtà a degli infortuni.

 

Emblematico, da questo punto di vista, l’ultimo match del sedici volte campione del mondo Ric Flair contro Shawn Michaels a Wrestlemania (mettendo da parte il fatto che quello non fu in verità il match del ritiro, ma lasciamo perdere qui).

L’Undertaker è stato, paradossalmente per il suo ruolo di non-morto, l’anima della compagnia in molti casi. Come tale, nel corso degli anni ha accettato scelte prese dai suoi superiori, anche quando queste avrebbero sminuito il suo ruolo (spesso, come nel caso della perdita della serie di vittorie a Wrestlemania, ma non sempre, come le voci riguardanti la sua vittoria contro Shane MacMahon, che avrebbe dovuto essere una sconfitta).

 

Una leggenda che affronta la sconfitta non smette tanto di essere una leggenda in quanto assume soltanto una nuova dimensione, che la rende più tridimensionale e vicina agli uomini, aggiungendo un capitolo alla narrazione che, se mancante, l'avrebbe resa meno verosimile e piatta.

Una leggenda che affronta la sconfitta non smette tanto di essere una leggenda in quanto assume soltanto una nuova dimensione, che la rende più tridimensionale e vicina agli uomini, aggiungendo un capitolo alla narrazione che, se mancante, l’avrebbe resa meno verosimile e piatta.

 

Non manca molto al ritiro dell’Undertaker.

Non manca molto al ritiro dell’Undertaker. In canna potrebbe restare un ultimo match nel 2017 contro John Cena, forse nemmeno più quello. Staremo a vedere.

Quando smetterà di lottare, se ne sarà andato dal ring l’ultimo lottatore attivo fin dai tempi dell’inizio di Monday Night Raw, lo show televisivo di wrestling più longevo della storia, nonché lo show settimanale televisivo tra i più longevi della storia, con più di 1000 episodi.

Quando se ne sarà andato, ai nuovi fan non resterà che rivedere i suoi vecchi match, appartenenti ad un diverso modo di intendere il wrestling, di intendere il raccontare le storie che attorno ad esso giravano. Un modo diverso di intendere la disciplina, di intendere il lottato. Un modo diverso di rappresentare quel mondo, che non tornerà più, ma che è stato determinante per fare del wrestling quello che è oggi.

 

 

 

 

In testa all’articolo: The Undertaker Wall by 95100wwe