Ci sono cose che non capiamo, soprattutto alla soglia dei trent’anni: perché i nostri amici continuano a sposarsi, perché se ridi la mamma fa gli gnocchi e perché i dodicenni d’oggi idolatrano gli Youtuber?
Tra le cose strane che posso attribuire allo scorrere del tempo, è che sembra vada sempre più veloce.
Sarà un problema, probabilmente, di chi all’alba dei trent’anni si ritrova ancora con la voglia di essere giovane ma poi fa i conti con Snapchat ed assume il primo quattordicenne nel raggio di qualche metro per spiegargli com’è che si attiva il filtro del cane.
O forse è la velocità della fibra ottica, che ci permette di caricare un video in qualche ora, il progresso dell’infrastruttura dell’internet e della tecnologia in generale, che ci permette di visualizzare quel contenuto direttamente dalla tazza del bagno la mattina.
Fatto sta che mentre ti guardi attorno e continui ancora a sorridere di fronte a buffi cappelli a forma di Pikachu e ti esalti per Lego Dimensions, senti un boato provenire da un punto indefinito della fiera (la GamesWeek di Milano, in questo racconto, NdA) e ti chiedi cosa stia succedendo.
L’esatto momento in cui mi sono resa conto di essere diventata troppo vecchia per il mondo di internet è quando ho fermato una giovanissima ragazza per chiederle chi ci fosse dietro quella muraglia umana: e l’epifania di questo momento non è stata la risposta della tredicenne che mi rivelava il nome degli youtuber, ma l’espressione del mio volto davanti alla sua fibrillazione.
Sorrideva, mentre si avvicinava a me per svelarmi l’arcano:
dovrebbero esserci i Mates, ma non capisco perché urlano di già, in realtà non sono ancora arrivati.
Imbarazzata, l’ho ringraziata e sono tornata in fila per provare HTC Vive, borbottando al mio compagno di fila un indifferente:
nah, sono solo dei ragazzini che urlano per qualche youtuber, io proprio non li capisco.
e mi risponde:
Che schifo, tutto questo casino per dei deficienti con una webcam?
Ha ragione, pensai tra me e me, in fondo, perché questi ragazzini che mangiano cose davanti alla webcam, provano videogiochi, si riprendono mentre cantano al karaoke, guidano, fanno scherzi da deficienti e scrivono libri dal dubbio contenuto sono così ammirati dalla nuova schiera di futuri diritti al voto?
Ho iniziato a darmi una risposta andando a ritroso fino al 400 avanti Cristo, perché why not, e nel Fedro di Platone, Socrate esprimeva la sua incredulità di fronte alla scrittura:
Dunque chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente la profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di più del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto.
Quindi potrei anche fermarmi qui e dire che anche io, come Socrate, non accetto il cambiamento che porta al futuro per una serie di ragioni inconfutabili nell’era in cui vivo.
Perciò è giusto che io classifichi il fenomeno “youtuber” come intrattenimento di bassa qualità al basso costo, con un contenuto dalla dubbia moralità e che non è progresso e non può esserlo: com’è possibile che più di un milione di futuri adulti adorino un individuo che per 5 minuti di video cerca di infilarsi 12 würstel in bocca per una challenge e non conoscano l’uomo che fra qualche anno li vorrà spedire tutti su Marte per colonizzare l’universo e salvare la specie umana? (Ciao, Musk).
Le urla aumentano, mentre mi perdo nei miei ricordi di nativa digitale: il mio percorso di crescita è stato plasmato e influenzato da internet e gli albori della sua diffusione, ma “ai miei tempi” la connessione non permetteva il contatto diretto con gli idoli o con altri fans coetanei; le vecchie riviste per ragazzine ci fornivano una pagina con gli indirizzi della posta dei fans per i Backstreet Boys, delle Spice Girls e del giovane e ribelle Leonardo di Caprio.
I “fan club” promuovevano iniziative fatte di collage di ritagli di giornale, foto analogiche e scritte con i pennarelli colorati, roba che Sony Vegas spostati proprio. La vita da superstar era irraggiungibile, si conosceva così poco, di loro, che ricordo che passavo il tempo ad immaginare come fosse la loro vita, non trovando mai risposta: mangeranno, faranno la cacca come me?
Ed era per questo e perché in quegli anni andavo al catechismo, che credevo nel dio bello, biondo, occhi azzurri, che si sacrifica per amore della sua Rose; ed anche per Scott Robinson dei 5ive, con i suoi capelli dall’architettura neogotica, con le punte gellate verso il cielo e la sua voce che mi faceva sentire le prime tentazioni di satana.
Quando il pianeta internet ha iniziato a popolarsi, io ero uscita ufficialmente dall’età in cui avevo bisogno di un idolo di riferimento. Ed è per questo, probabilmente, che il fenomeno youtuber non può essere percepito da me nella maniera in cui lo fanno i dodicenni. Non abbiamo più bisogno di credere in un individuo che svolge il suo mestiere, non immaginiamo più, noi sappiamo.
La scuola della vita ci ha insegnato che il cinismo è un’arma da utilizzare davanti ad ogni novità o evento, perciò tutt’al più stimiamo un personaggio. Quasi ci dimentichiamo che se consideriamo stupido guardare un ragazzino che gioca ad un videogioco al PC facendo qualche battuta stupida, noi troviamo geniale la Gialappa’s Band, che commenta dal 1985 partite di calcio e programmi televisivi canzonando chi non ha avuto la fortuna di raggiungere la sufficienza al test del QI. Che siamo cresciuti con il bagaglino, trovando divertente lo sketch in cui Leo Gullotta si travestiva da donna come fosse la trasgressione massima, il picco ultimo della comicità d’autore.
Ho riflettuto ed ho perso, così come Socrate: quella folla che li acclama ha un senso, come per me aveva un senso ritagliare le foto di Amy Lee dalle riviste ed appenderli sulla parete della mia camera, cantare Bring Me To Life a squarciagola in piedi sul letto facendo finta di essere, come lei, sul bordo del palazzo del videoclip e sognare di calcare un palco, di essere brava come lei, bella come lei.
Il concetto di “star” si è evoluto. Non comprende più l’immaginazione e il sogno, ma la conoscenza e quindi l’immedesimazione.
Se un dodicenne sogna di fare lo youtuber non è perché il mondo sta andando alla deriva, ma perché, come tutto, il concetto di “star” si è evoluto.
Non comprende più l’immaginazione e il sogno, ma la conoscenza e quindi l’immedesimazione: i Mates sono ragazzi come loro, vanno a scuola, giocano ai videogiochi, instaurano con il proprio seguito un rapporto vivo, attivo.
Rispondono alle domande, si confrontano, si sfogano, leggono i loro commenti, i suggerimenti, seguendoli con una sorta di “televoto” fatto di “mi piace” e condivisioni.
Non ci sono filtri, né distanze, per questo non c’è un palco, ma una folla che, davanti a me, spinge per poterli incontrare, non solo contemplare dal basso.
Uscendo dalla fiera, aspetto la metropolitana: una madre mi osserva, guarda il mio cartellino, poi mi indica al figlio “guarda — una blogger”. Lui, felice, si avvicina a me e dopo un po’ mi chiede se seguissi anche io i suoi youtuber preferiti — i Mates, Favij, CiccioGamer89 e qualche altro nome.
Ammetto di non seguirli, di aver visto solo qualche minuto, lui mi guarda stravolto dalla mia dichiarazione, come fossi un’aliena. Un’altra epifania mi coglie, facendomi realizzare che in fondo sia solo questione di prospettive diverse, suppongo. E di cambiamenti nella fruizione dei contenuti, nella percezione dell’idolo.
C’è chi preferisce spendere 400€ per il biglietto di un concerto di una pop-band, chi si esercita a fare video con lo smartphone nella speranza di diventare come i propri idoli; chi ride ancora con The Benny Hill Show, chi si spacca guardando Matt e Bise mangiare insetti.
Basterebbe solo ascoltare, ascoltarci, per educare ed educarci al futuro.
Anche dell’intrattenimento, il cui fine non è essere intellettuale abbastanza da farci percepire la risposta alle domande dell’universo tutto, ma semplicemente di farci svagare nel modo più divertente possibile.