John Carney torna a scrivere e parlare di musica con una brillante commedia di formazione, Sing Street presentata alla XI Festa del Cinema di Roma in collaborazione con Alice nella Città.
Dopo Once – Una volta e Tutto può Cambiare, l’irlandese John Carney torna nuovamente a parlare di musica con Sing Street, e lo fa nuovamente per le strade della sua terra natia: l’Irlanda.
Ambientato nella Dublino della metà anni ottanta, Sing Street nasce dall’adolescenza di Carney stesso, diventando una pellicola di formazione a ritmo di Duran Duran, Spandau Ballet, The Clash, The Cure e i grandi della musica pop e rock di quel florido periodo musicale.
Quello di Sing Street è un po’ un ritorno alle origini del regista con l’uso di attrezzature semplici e basiche per una pellicola che sa parlare con la sua musica. A differenza, però, della mano più inesperta di Once – Una Volta, pellicola low budget in collaborazione con Glen Hansard, e girata con mezzi di fortuna, positivamente prepotente è l’esperienza maturata con Tutto può cambiare, film del 2013 con Keira Knightley e Mark Ruffalo, rendendo Carney ben più conscio del proprio registro stilistico, potendo fare affidamento su una produzione che lo vede nuovamente accompagnato da Anthony Bregman.
Conor (Ferdia Walsh-Peelo) è un ragazzino di quindici anni di Dublino che si trova a vivere un periodo economico poco felice, soprattutto dopo il licenziamento del padre (Aidan Gillen). Questo provoca non poche turbolenze in famiglia e costringe Conor a passare da una scuola privata a una pubblica a stampo religioso, la Synge Street.
Disorientato, ritrovandosi con pochi amici e troppi nemici, insegnanti incompetenti e prepotenti, Conor si sente un pesce a fuor d’acqua e riesce a trovare un minimo di riparo a casa con la musica, passione trasmessa da suo fratello Brendan (Jack Reynor).
A colorare la vita di Conor arriva Raphina (Lucy Boyton), una misteriosa ragazza che sogna di fare la modella e scappare a Londra per poter realizzare questo sogno. Desideroso più che mai di conquistare Raphina, Conor decide di mettere su una band. Ma da dove iniziare?
Dopo aver raccattato una serie di ragazzi al quanto bizzarri e un po’ freek, scelto il genere musicale e scelto un primo look adatto, Conor è pronto per fondare il suo gruppo: i Sing Street.
Sing Street inizia fin da subito portando lo spettatore ad alzarsi dalla serie per muoversi a ritmo dei Duran Duran e subito dopo dei The Clash. Come sempre, la scelta musicale di John Carney è assolutamente maniacale e va migliorando nello scorrere della narrazione, soprattutto con i testi originali, per lo più scritti dal cantautore Gary Clark, della band.
È un film di formazione con forti elementi romantici, ma anche un film costruito sulle fondamenta musicali delle band inglesi degli anni ’80. Sing Street offre una prospettiva semplice e commovente sui pericoli e i sogni della vita di un adolescente.
Ispirandosi alla sua stessa adolescenza, al passaggio dalla scuola privata a quella pubblica, e alla grande passione per la musica, che contraddistingue Carney in ogni suo film, Sing Street è una pellicola di formazione non unicamente rivolta al pubblico più giovane, ma che riesce a coinvolgere e strizzare l’occhio anche alle generazioni più adulte, soprattutto quelle che l’adolescenza l’hanno davvero vissuta negli anni ottanta.
John Carney gioca moltissimo con le suggestioni del periodo musicale, sfruttando il carisma un po’ imbranato dei giovani protagonisti che conducono la pellicola, fino alla fine, con dinamismo e senza annoiare mai lo spettatore.
Il tipo di influenza musicale scelta dal regista si rispecchia, per forza di cose, sull’immagine degli attori, diventando propria della caratterizzazione del personaggio. Questo lo si vede soprattutto sul protagonista Conor, deciso più che mai a trovare il suo stile, la sua vocazione e conquistare l’amore di Raphine.
In questa ricerca Carney è furbissimo, perché ogni canzone di Sing Street, la band, rappresenta un periodo al quale fanno riferimento i ragazzi sia per lo stile che per i testi. Ogni melodia corrisponde ad un gruppo diverso, ed in poco ci troviamo di fronte ad una piccola copia pop dei Duran Duran, che poi passa alle tinte più “felici tristi” dei The Cure e, infine, il rock più glam degli Spandau Ballett, concedendosi sul finale un sound molto più riconoscibili ai primi Green Day.
La musica non è solo una cornice e un ornamento in Sing Street; i singoli più famosi del periodo rappresentano i sentimenti contrastanti del protagonista, ma non solo. Sono la chiara rappresentazione di ciò che succede, scena per scena, per ogni personaggio, spesso riuscendo ad arrivare lì dove le parole non possono.
La musica è speranza, amore, dolore. La musica è vita, una vita che Conor sta conoscendo davvero adesso, tra le prime cotte e delusioni, i primi ostacoli e il comprende quanto il tempo e la crescita complichino tutto.
C’è uno scambio generazionale non indifferente all’interno di questo film, tipico della selezione di Alice nella Città. Il mondo dei ragazzi in continuo contrasto con quello degli adulti, ma anche il passaggio all’interno di quel mondo, dove i soldi diventano il pensiero primario e trovare il tempo per godersi l’ultimo raggio di sole della stagione, sorseggiando una bibita e leggendo un giornale, diventa un lusso impossibile da permettersi.
Vivere la vita diventa estremamente difficile e faticoso. Arriva così la musica, pronta a creare quella via d’uscita per il proprio mondo perfetto, doveva una palestra diventa una sala da ballo e ci si ritrova immersi in un’atmosfera anni cinquanta che ricorda la storica sequenza di Ritorno al Futuro.
La musica è un potente strumento di immaginazione e John Carney la usa fino in fondo. Nella sua composizione, Sing Street non è un film semplicemente da guardare, ma da ascoltare.
Una maniacale cura viene riposta anche nei dettagli, dalle scenografie ai costumi, perfettamente in linea con il periodo, rivolti assolutamente ad omaggiare uno dei migliori periodi delle sfera musicale.
John Carney tiene particolarmente a usare un’immagine che vuole dare l’impressione di essere amatoriale, facendo concentrare soprattutto sui suoni, parole e personaggi, ma che conserva in sé la maestria di un giovane regista che con pochi movimenti di macchina sa aprire un mondo davanti agli occhi del suo spettatore.
Ironico, simpatico, romantico, Sing Street si condensa in un ritmo leggero e perfettamente in armonia con la narrazione. Dinamico ma non veloce, i tempi sono perfettamente calibrati, proprio come se si trattasse proprio di una canzone.
Maria Doyle Kennedy e Aidan Gillen a parte, attori navigati e conosciuti dal pubblico sia cinematografico che televisivo, John Carney fa affidamento su un cast di giovanissimi attori dalle incredibile potenziale.
Ferdia Walsh-Peelo è una vera rivelazione. Un giovane “David Bowie” camaleotico, capace di cambiare aspetto e passare, con molta no chalance, da Boy George a Robert Smith, pur mantenendo una sua autenticità visiva e interpretativa.
Interessante è la figura di Brendan, interpretato da Jack Reynor, fratello maggior di Conor che funge da mentore. Un mentore sopra le righe, capellone, rockettaro e imprigionato nelle sue paure, nei suoi rimpianti. Una vittima di quella vecchia generazione irlandese, incapace di far fronte a quel modo di insoddisfazione, povertà e crisi, e che riflette le sue frustrazioni sulle nuove generazioni.
Conor e i Sing Street non vogliono, però, lasciarsi abbattere. Non importa cosa riserverà il futuro. Bisogna provare, andare avanti e crederci, fino alla fine.
Sing Street è un film che mette il buon umore. Un film che sa far sorridere e ridere, piangere ed emozionare. Una pellicola capace di far venire voglia di alzarsi dalla sedia e cantare, ballare, urlare; ma, soprattutto, Sing Street mette voglia di vivere e continuare a sognare.
Sing Street sarà nelle sale cinematografiche italiane dal 9 Novembre.