Siete comodamente sdraiati sul vostro triclinio. Siete pure sopravvissuti all’ennesimo acino d’uva che, nonostante siate sdraiati, non vi ha soffocato.

Finalmente avete finito di incidere caratteri sulla tavoletta di cera da mandare alla vostra amata e tra voi e voi state pensando:

Proprio di una che abita in inculandia dovevo innamorarmi?

Ma voi siete l’Imperatore di Roma, vedrete che quella lettera, ai confini dell’impero, arriverà in fretta. Ne va della vostra vita sessuale, non si scherza!

Ma torniamo a noi. La scena sopra descritta, di pura fantasia (o forse no, chi può dirlo) mi serve per farvi la seguente domanda.

Bella la globalizzazione, la rete che ci dice tutto in un battito di ciglia, l’informazione che viaggia a ventordicimila all’ora.

Quanti erano 1000 km al tempo dei Romani?

Ma duemila anni fa, quando i romani dominavano il cielo e la terra (ok, lo ammetto, il cielo no) il problema doveva essere grosso.

Stiamo parlando di un impero che copriva gran parte dell’Europa attuale e, a parte gli inglesi che ancora usano spanne e piedi, tutto è cambiato da allora. Incluse le distanze.

Perché 1000 km oggi non sono certo gli stessi 1000km di duemila anni. Quindi, chiudendo tutte le parentesi che ho aperto:

Quanti erano 1000 km al tempo dei Romani? Quanto tempo serviva per fare arrivare un messaggio così lontano?

 

 

 

Questa è fibra, Imperator Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus

Il nostro imperatore, oggi, avrebbe vita facile con una semplice mail. Non sarà romanticissimo forse, ma con una piccola poesia e 2 gattini pucciosi in allegato la nostra amata ai confini dell’impero si scioglierà subito.

E noi saremo pronti per colpire la barbara con il nostro charme latino.

Per comodità supponiamo che la donna che ha rubato il nostro cuore abiti ai confini est dell’impero, per esempio a Brigetio, odierna Komàrom, Ungheria.

 

 

 

Proprio in quella zona si sono verificate le prime invasioni barbariche.

Scelgo questa città principalmente per due motivi: Il primo è che , proprio in quella zona, si sono verificate le prime invasioni barbariche. Il secondo è che le donne dell’est mi arrapano un sacco ed almeno il mio alterego imperatore deve possederne una o due. Centinaia.

Tutta questa storia infatti mi è venuta in mente guardando una puntata di Ulisse sulle invasioni barbariche, vediamo di riformularla:

Sono un imperatore che sta lavorando duramente, cercando di non strozzarsi con l’uva. I miei confini a est stanno per essere sfondati da un’orda di Orchi livello 95 Barbari:

Quanto tempo ho ancora per stare bello paciarotto (cit. P.G. Prosperini ) prima che la fatidica lettera mi avvisi del disastro in atto?

Sappiamo tuttavia che al pubblico le guerre non piacciono quindi andrò avanti con la storia parallela: gli intrighi a corte fanno sempre audience!

Oggi niente “paciarottanza”,  non faremmo in tempo a mangiare il primo acino.

Anche sommandoci tutta una serie di code, latenze, tempi di instradamento e processamento entro pochi secondi il nostro messaggio arriverà alla mailbox di destinazione che sarà piena e ce lo rimbalzerà indietro.

Ma purtroppo noi siamo Romani ed oltre a strade, ponti, acquedotti, strutture mastodontiche, terme, anfiteatri, bagni pubblici, città, calcestruzzo, porti, cupole, dighe, fari , sapone, vetro soffiato, specchi e mulini poco abbiamo regalato alle successive generazioni.

Tanto meno l’internet.

 

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Una rara immagine dell’ Internet affidatami direttamente dagli antichi saggi.

 

 

Si stava meglio quando si stava peggio

L’unico vero metodo di comunicazione di quegli anni e su lunghe distanze era la posta.

Ma la cosa che mi sono sempre chiesto è:

Come si muoveva la posta?
l’organizzazione del servizio la dobbiamo ad Augusto.

Beh, principalmente in tre modi: A piedi per i più sfigati, in nave ed a cavallo.

Ma dire semplicemente “a cavallo” è riduttivo.

La posta romana non era affatto male: l’organizzazione del servizio la dobbiamo ad Augusto che fu un po’ il Renzi del servizio postale romano, rottamando la vecchia ed obsoleta struttura (anche il flame politico fa audience, scusate….).

Tutto questo accadde intorno al 20 a.c.

Il concetto di posta è ben più antico dell’ Impero Romano, si hanno infatti tracce di tale servizio fin dal 4000 a.c., in Cina. Ma Augusto fu il primo a dargli una struttura pubblica ponendo una così forte enfasi sulla sua efficacia.

 

Pensiamo poi al grosso aiuto che un’altra bella creazione romana ha potuto dare alla posta:

Le strade costruite dai Romani, infatti, erano paragonabili ad una autostrada di oggi. Ed erano la base portante di un Impero che sarebbe durato secoli.

Permettevano di spostare velocemente eserciti, non farli perdere, rifocillarli sulla via.

E permettevano pure di consegnare la posta più velocemente e con meno rischi.

I Romani costruirono circa 80.000 km di strade (fonte Wikipedia), che mettevano in collegamento quelle che oggi sono le principali città europee. Tanto per farvi un paragone, tutte le strade statali italiane raggiungono “solo” i 18.000 km.

 

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Bei tempi quelli della schiavitù. Stiamo parlando di una distanza incredibile relazionata ai tempi!

La gestione del servizio era pubblica ed ad uso esclusivo dello Stato.

Ma torniamo al cursus publicus (ovvero il nome, allora, del sistema postale Imperiale). Come detto usava le vie romane per consegnare i messaggi qua e là, entro i confini dell’ Impero.

La gestione del servizio era pubblica ed ad uso esclusivo dello Stato.

Esisteva in realtà anche uno “spin-off” del servizio postale pubblico, di natura privata, utilizzabile anche dalla gente comune. Che ovviamente disponeva di mezzi meno efficienti di quelli imperiali e che era accessibile dietro pagamento. I “postini” di questo servizio si chiamavano cursores.

 

A capo del servizio era posto il Prefetto del Pretorio che gestiva anche la rete stradale dell’ Impero. Lungo le strade erano posizionate alcune strutture, volte ad ottimizzare i tempi di consegna.

Le stationes erano il cuore del sistema e permettevano un rapido scambio di cavalli in modo tale da continuare velocemente nel servizio. Potevano avere nelle loro stalle fino a 40 animali, oltre che provviste e alloggiamento per i corrieri.

Le strutture erano posizionate a distanze fisse, a circa un giorno di cammino.

Dal termine stationes  romano deriva appunto il termine moderno stazione di posta.

 

In base alla loro struttura e grandezza le stazioni potevano essere delle mansiones o delle semplici mutationes. Le prime erano delle vere e proprie oasi nelle strade romani dove si poteva usufruire dei più svariati servizi: stalle per i cavalli e stanze per il riposo dei corrieri. Le stalle di queste strutture potevano arrivare ad ospitare, come detto,  fino a 40 cavalli.

Più piccole erano invece le mutationes, che arrivavano fino a 20 cavalli. Erano poste a intervalli regolari tra le varie stazioni ed avevano anche il compito di sorveglianza sulle strade.

Le viae non erano infatti un bel posto dove accampare. Documenti dell’epoca descrivono le varie bettole disseminate sulla via come luoghi di perdizione bazzicati da zoccole, ubriaconi e ladri di vario tipo. Come la Genova di De Andrè, insomma.

Entrambe le strutture (Stationes e mansiones) erano comunque ad uso esclusivo dello Stato e per accedervi bisognava essere in possesso di appositi documenti, simili ai passaporti dei giorni nostri.

Per capire l’importanza di queste costruzioni basti pensare che spesso, attorno ad esse, nacquero campi militari o addirittura intere città. Anche perchè, ovviamente, per mantenere in funzione il servizio postale queste stazioni disponevano di un florido commercio basato su maniscalchi, veterinari, artigiani carrettieri.

Settimo Torinese (ed anche Sesto Fiorentino) deve il suo nome proprio alla posta romana. Talvolta, in corrispondenza di centri abitati particolarmente prosperi, nacquero delle vere e proprie cittadine in posizione strategica, prendendo il nome dalla pietra miliare più vicina. Settimo Torinese e’ situato infatti in  corrispondenza della settima pietra miliare sull’antica via romana che arrivava a Torino.

 

Il personale necessario a tutta questa organizzazione era piuttosto numeroso:

C’erano gli ispettori dei trasporti, dei funzionari itineranti e dei maestri di posta. Oltre a questo c’era un corpo particolare con l’incarico di sorveglianza.

Infine c’erano i corrieri.

Infine c’erano i corrieri, che ai tempi si chiamavano tabellari. E non erano a maggioranza indiana con una divisa rossa come quelli di oggi, ahimè.

Non pensiamo, comunque, che il loro lavoro fosse tutto rose e fiori:

Il postino romano era soggetto a mille minacce, dai nemici dell’impero fino a briganti di vario tipo. La vita del corriere era avventurosa, piena di pericoli, movimentata e per certi versi avvincente. Una vita che ti permetteva di raccontare mille aneddoti per conquistare il cuore di bellissime pulzelle imperiali.

Esattamente come quella dell’informatico ai tempi nostri.

Usando queste stazioni per una staffetta di carri, l’imperatore Tiberio riuscì a coprire dall’Illirico, in un giorno solo, le 500 miglia che lo separavano da Mogontiacum, dove il fratello Druso Germanico stava terminando la sua agonia per una gangrena dovuta ai postumi di una caduta da cavallo. fonte Wikipedia

 

Alla fine di queste doverose premesse, però, ancora non abbiamo la risposta alla nostra domanda: Quanto ci mette un messaggio ad arrivare ai confini dell’Impero?

Ho cercato un po’ in giro per avere una risposta certa ed alla fine ho trovato un sito fantastico: orbis.stanford.edu

Questo sito supporta due tesi. La prima:

Fatti una domanda del menga: qualcuno ci ha fatto sopra una tesi.

L’altra è che gli storici, se non finiscono a vendere panini da Burger King, possono fare qualcosa di interessante.

Al di là di tutto farei notare la buona varietà di soluzioni: con il sistema più avanzato e sfruttando uno scambio continuo di cavalli, possiamo portare la lettera alla nostra bella in poco meno di 5 giorni.

 

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Si va dalla consegna a piedi (30km/giorni) fino allo scambio di cavalli (250km/giorno) passando per la carovana veloce a 67km/giorno.

Non abbiamo molte notizie riguardo al sistema di consegna marino/fluviale. E’ tuttavia plausibile che la struttura fosse simile a quello via terra con tanto di stazioni a distanze fisse.

 

Se analizziamo la soluzione più veloce, quindi lo scambio di cavalli, scopriamo che non è poi così male. 250 km/giorno sono circa 10 km/h di media giornaliera senza mai dormire o 30 km/h in otto ore lavorative senza pausa caffè (ok non ci crede nessuno, stiamo pur sempre parlando di un servizio pubblico). Considerando che stiamo parlando di esseri viventi (buoni giusto per fare la bresaola, ok, ma pur sempre esseri viventi…) è una buona velocità.

Ora non ci rimane che aspettare altri 5 giorni per avere la risposta. Se tutto è andato bene ed il nostro corriere non è stato ucciso, derubato o seviziato, se non si è ingranato in qualche bettola finendo “in un fosso tutto bagnato che gli mancava un rene”, entro 10 giorni abbiamo pronto un appuntamento al quale presentarci ben profumati.

 

 

Conclusioni

Siamo giunti alla fine di questo viaggio tra le meraviglie postali dell’ Impero. Non ci è difficile, credo, capire le difficoltà logistiche nella gestione di un territorio immenso reso ancora più grande dalla lentezza nelle comunicazioni.

Quello che fino qui ho descritto come un trionfo, ovvero avere una risposta proveniente dalle periferie dell’Impero in soli 10 giorni, non è compatibile con l’amministrazione di un impero così vasto. E non c’è decentramento del potere che tenga, 10 giorni sono tanti e basta.

Quello che mancava era semplicemente la tecnologia.

Non equivochiamo, le poste romane erano fantastiche, l’impero era avanti secoli rispetto alle altre popolazioni e questo merita il nostro rispetto. Quello che mancava era semplicemente la tecnologia per comunicare più velocemente e se ci pensiamo mancherà ancora per molto tempo.

Riuscire a tenere vivo l’ Impero Romano per così tanto tempo è stato un vero capolavoro di organizzazione difficilmente ripetibile secondo me. E al tempo stesso risulta facile capire come sia potuto crollare, tutto quanto, in così poco tempo.

Pensiamo d’altra parte che la prima vera rivoluzione nelle comunicazioni a distanza è quella del telegrafo, datata 1800 circa.

 

The All-Red Line, The Victorian Internet

Rete telegrafica britannica. Più evoluta del loro attuale sistema di misura.

 

Fino ad allora la posta, con i cavalli, la faceva da padrone. Ai Romani va il merito indiscusso di avere tirato fuori il meglio dal servizio postale avvicinando per quanto più possibile due interlocutori di quei tempi.

C’è poi un discorso più ampio riguardante le distanze vere e proprie, distanze che erano davvero incolmabili per il cittadino medio. A noi potrà sembrare una cosa da poco ma al tempo dei Romani, in pratica, morivi dove nascevi.

Pensiamo a come questo abbia avuto un impatto negativo sulla cultura e sui mercati, ad esempio. La prima era fortemente limitata dal fatto di non incontrarsi mai con società differenti, i secondi erano penalizzati dalla difficoltà nello spostamento delle materie e dalla difficile diffusione del “sapere” tecnico.

E come tutti sappiamo leghisti e pentastellati a parte il libero scambio di idee, merci e persone crea benessere, progresso e tante altre belle cose come in parte ci racconta @nicholas in questo articolo:

 

 

Nonostante le difficoltà logistiche il commercio dei Romani era comunque molto sviluppato come testimonia questa scoperta : uno stampo per monete romane contraffatte trovato in India  #ridateceloinsiemeaimarò .  (Grazie @Nicholas)

 

Anche in questo caso, tuttavia, la tecnologia se la sarebbe presa con molta calma e solo con l’arrivo del treno a vapore (che ruggendo si lascia indietro distanze che sembrano infinite) saremmo arrivati al punto di rivedere al ribasso quei “dannati” 1000 km.

 

treno-a-vapore

A bomba contro l’ingiustizia

 

Paradossalmente oggi, con aerei supersonici, treni ad alta velocità e automobili per tutti abbiamo lo stesso problema se pensiamo al nostro pianeta rapportato allo spazio che ci circonda. Non conosciamo nulla nemmeno della nostra Galassia , siamo come il maniscalco di Ostia dei primi secoli dopo Cristo:

ad Ostia nasciamo e ad Ostia moriamo.

Quello che ci manca è ancora la tecnologia (e la possibilità di correre più veloci della luce, è vero, baffo maledetto!). Ma chi può dirlo, un domani tutto questo sarà possibile, forse.

Un giorno magari guideremo la Battlestar Galactica alla ricerca di un nuovo pianeta per salvare il nostro genere dal collasso del Sole.

O forse moriremo tutti con le chiappe bruciate.

Può sembrare uno scenario difficile ad oggi, è vero. Ma non così improbabile quanto radunare su di una nave stellare così tanta figa bionica.

Ma basta divagare: quest’articolo a tratti delirante vuole essere un tributo, oltre che agli antichi romani, alle grandi invenzioni dell’800: le telecomunicazioni ed il treno a vapore.

E alle tante persone che, grazie a queste tecnologie, hanno potuto salutare il parente lontano lontano o vedere per la prima volta il mare.

Già, vedere per la prima volta il mare: anche questo è progresso.

 

 

 

Info & note

  1. Alla fine l’Imperatore ha preso il 2 di picche.
  2. L’articolo potrebbe contenere inesattezze storiche. Ma meno de “Il Gladiatore” . Invito comunque gli storici in sala a segnalare eventuali incongruenze.
  3. Grazie a @nicholas e @lugg per i vari suggerimenti/correzioni.
  4. quattro.

 

 

In testa all’articolo e in cover oggi, l’illustrazione di Federico Gastaldi, trovate il suo portfolio e tutte le info del caso sul suo sito ufficiale, federicogastaldi.com