Reduce dalla maratona di Marvel’s Daredevil Season 2, ecco un po’ di impressioni – non proprio a caldo – su questa seconda stagione della serie diretta da Marc Jobst, con protagonisti Charlie Cox, Deborah Ann Voll, Elden Henson, Elodie Yung e Jon Bernthal.

Precisiamo immediatamente una cosa: la recensione è priva di spoiler, ma se volete approcciarvi alla serie senza essere condizionati da qualsiasi tipo di giudizio/analisi/parere, allora vi consiglio di posticipare la lettura alla fine della visione della serie. Se vi va di approfondire un po’ la psicologia dei personaggi vi consiglio di dare un’occhiata all’intervista che Itomi ha fatto ai protagonisti, eccola:

 

In questo periodo abbiamo parlato moltissimo del significato della parola eroe. Ne abbiamo avuto disparati esempi nel cinema, in tutte le sue forme, come per esempio l’eroe terra terra di Lo Chiamavano Jeeg Robot, all’antieroe più politicamente scorretto che ci sia con Deadpool.

La seconda stagione di Daredevil non vuole essere da meno e si interroga, lungo tutto il suo flusso di tredici episodi, proprio sul significato di questa parola e sulle sue varie interpretazioni, cercando di indagare il limite che ci può essere tra un eroe e un killer, ovvero qualcuno che ci libera dal male, dalla criminalità, ma lo fa uccidendo. Etica e morale sono i primi elementi a essere messi in discussione.

Le parole chiave di questa seconda stagione sono “giusto” e “sbagliato”.

Partendo da questa prima riflessione, possiamo dedurre che le parole chiave di questa seconda stagione, molto più matura e destinata a un pubblico ormai pronto per qualcosa di molto più profondo – superando già l’altissima qualità della precedente stagione -, sono “giusto” e “sbagliato”.

 

Daredevil

 

Elementi assai difficili da giudicare, in quanto caratterizzati da quella variabile che cambia da soggetto in soggetto. Implicitamente facciamo qualcosa quando ci sembra giusta e non la facciamo quando ci sembra sbagliata, ma come facciamo realmente a sapere quando qualcosa è davvero giusto o sbagliato? Uccidere per legittima difesa è giusto, ma l’omicidio è sbagliato in sé per sé. Come facciamo, quindi, a risolvere questo dilemma?

Le novità di questa seconda stagione non si “limitano” solo all’entrata in scena di The Punisher/Frank Castle ed Elektra, ma anche il cambio di showrunner, non più Steven S. DeKnight ma bensì Doug Petrie e Marco Ramirez, i quali cercano proprio di interrogarsi su questo tipo di problematica, dando più o meno una risposta attraverso la molta introspezione che ogni personaggio fa su se stesso.

Petrie e Ramirez hanno dato un taglio molto più orizzontale alla singola serie, preferendolo allo stampo quasi verticale e autoconclusivo di ogni singolo episodio della prima stagione.

Proprio per questo motivo, uno dei primi elementi riconoscibili e caratterizzanti di questa seconda stagione è la sua “lunghezza”.

Sebbene ogni episodio vanti di un ritmo ben scandito che indubbiamente invoglia a proseguire la visione, come se ci si trovasse di fronte a un pacco di patatine, al tempo stesso, dopo un tre/quattro episodi, risulta quasi necessaria una pausa per metabolizzare il tutto, proprio perché la narrazione, a volte, risulta particolarmente prolissa.

Quest’impressione è indubbiamente voluta per l’ingente quantità di carne messa a cuocere. Qualche spiegazione di più ce la si aspetta e anche qualche situazione portata al massimo dell’esasperazione, soprattutto negli episodi più centrali, quasi a voler bilanciare l’adrenalina suscitata dai primi e ultimi episodi. L’hype, in fondo, va anche un po’ smorzato o si rischia di rimanerci secchi. Ma andiamo per gradi.

 

 

Dove eravamo rimasti?

Rispetto alla stagione precedente, sono passati sei mesi. Matt Murdock (Charlie Cox), ovvero Daredevil, è finalmente un eroe a tutti gli effetti. La metamorfosi è completa, e il suo vestito – finalmente uno di gran classe – è una figata assurda.

Matt sa benissimo quello che vuol dire per lui quella maschera, indispensabile per proteggere New York, suo obiettivo primario. E nonostante c’è chi ancora non si fida del Diavolo di Hell’s Kitchen, la gente più comune, quella meno protetta, si sente finalmente vegliare da qualcuno durante le ore più oscure.

Ma Murdock protegge i più deboli anche grazie al suo studio legale, il quale ha avuto un maggior successo grazie al caso Fisk, sebbene aiutare gente povera voglia dire anche non ricevere molti soldini in tasca.

Fin qui le premesse sono le stesse della serie precedente.

Fin qui le premesse sono le stesse della serie precedente. Vengono inseriti anche alcuni elementi di congiunzione tra la prima stagione di Jessica Jones e il prossimo esordio di Luke Cage, contornato dalla comparsata brevissima di un personaggio. Ma chi? #nospoiler

Il regista, Marc Jobst, ci regala anche qualche prima scena d’azione con solo Daredevil, mostrandoci come la qualità della serie non sia scemata per nulla, anzi. Non solo possiamo godere di una fotografia simbolica e oscura, che a tratti ricorda quasi la trilogia del Batman di Christopher Nolan, ma soprattutto di una qualità tecnica che non si adagia sugli allori della prima serie – già grandiosi con quel piano sequenza da Oscar nel secondo episodio – ma decide di scommettere il tutto e per tutto, regalandoci delle sequenze d’azione che, soprattutto nel terzo episodio, fanno letteralmente venire la pelle d’oca.

 

Daredevil

 

Continue coreografie di combattimenti avvincenti, votati a tenere sempre molto alta attenzione e aspettative, per nulla tradite.

La serie, come già detto prima, cerca anche di interrogarsi su tematiche non facilissime, appunto come l’etica di un eroe e la linea limite tra giusto e sbagliato. In questo funzionale è la coralità che assume la serie, molto più della precedente stagione, non solo per quanto riguarda i personaggi “super” ma anche quelli più comuni, rappresentati da Foggy (Elden Henson) e Karen (Deborah Ann Voll).

Indubbiamente lo scontro tematico maggiore avviene tra la figura di Daredevil, vigilante dedito a fare piazza pulita della criminalità consegnandola però direttamente alla giustizia senza spargimenti di sangue, e la violenza molto più brutale che anima una delle new entry più attese di questa stagione, ovvero The Punisher.

 

 

The Punisher

Finalmente vediamo una rappresentazione come si deve di Frank Castle/The Punisher, interpretato da un eccezionale Jon Bernthal, già conosciuto al pubblico con il personaggio antipatico di Shane nelle prime due stagioni di The Walking Dead.

Un personaggio cazzuto come non se ne vedevano da troppo tempo.

Frank Castle non ha bisogno di troppe presentazioni. La sua prima entrata è già un programma illustrativo per questo personaggio controverso ed elettrizzante. Frank Castle sprizza potenza, e quel tanto di follia che ci piace, da tutti i pori. Un personaggio cazzuto come non se ne vedevano da troppo tempo.

Lo scontro, fisico e mentale, tra Daredevil e The Punisher è elettrizzante. La razionalità di uno è messa a durissima prova dall’istinto feroce dell’altro, e ciò si tramuta non solo in scazzottate ma anche in un vero e proprio confronto filosofico sul tetto di un palazzo new yorkese.

 

Daredevil

 

Il personaggio di Castle non solo influenzerà quello di Matt, ma moltissimo anche quello degli altri personaggi che gli sono intorno, soprattutto Karen che, un po’ come Matt, ricerca  testardamente quel briciolo di umanità anche nei confronti di un individuo giudicato ormai dalla società come un folle sicario.

Bernthal sta perfettamente in questo personaggio, dalle battute alle azioni. Il suo passaggio da follia a rancore, da rabbia a sofferenza, è impressionante e assolutamente convincente. The Punisher rappresenta tutto ciò che Daredevil non è o che, forse, Matt Murdock non ammette di essere. Un personaggio davvero incredibile che meriterebbe di essere approfondito in uno spin-off tutto suo.

 

 

Elektra

Se c’era qualcuno che si stava aspettando più di Frank Castle quella è sicuramente la sensualissima, ma pericolosissima, Elektra.

Elektra Natchios, interpretata dalla bellissima Elodie Yung, fa la sua comparsa a fine del terzo episodio. Ci basta un solo sguardo per fiutare l’odore di guai. Guai molto seducenti e, probabilmente, mortali.

In linea generale la biografia fumettistica di Elektra non è stata alternata di molto, appena qualcosina che probabilmente serviva più per ragioni di continuità tra le trame dei vari personaggi, ma nulla che non può essere tollerato.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un personaggio davvero riuscito alla perfezione.

La Yung da quel mix giusto di rabbia, follia omicida ed eleganza con quel pizzichino di antipatia, che fanno di Elektra una supereroina tra bene e male davvero fantastica.

 

Daredevil

 

Il compito di Elektra nella serie è duplice: da una parte sembra voler portare anche lei Matt a fare i conti con se stesso, dall’altro ha bisogno che sia Matt a farle fare i conti con se stessa, con il suo passato, con l’accettazione della sua vera natura. Ma quale natura?

Il burrascoso passato che lega i due personaggi.

Il burrascoso passato che lega i due personaggi è molto più che un mero abbellimento, ma risulta essere estremamente funzionale per le riflessioni interiori che si ritrova a fare Matt sulla sua natura da eroe, sui suoi obiettivi futuri e le sue motivazioni. Certo, inevitabilmente ci sono alcuni passaggi da tira e molla veramente forzati, ai limiti dell’isterismo alla Jessica Jones e Killgrave. Uno dei difetti che ho potuto riscontrare sia in Daredevil, ma anche in altri prodotti Marvel, è l’uso improprio delle love story buttate lì, come se dovessero rattoppare qualche buco.

E qui passiamo ad un paio di nope che possiamo trovare all’interno della serie. Più che nope – e qui parlo molto da un punto di vista personale – sono più dei peli nell’uovo che, in fondo, nell’insieme si possono anche sorvolare, ma è giusto soffermare l’attenzione anche su di loro.

 

 

Love story… no!

Come si diceva prima, uno degli aspetti più spigolosi dell’universo Cinematic Marvel sbarcato su Netflix è la linea romance. Lo abbiamo già visto in Jessica Jones, che per quanto la serie possa piacere o non piacere, gira e volta possiamo ridurre la trama a una vera e propria relazione tormentata tra due ex (lei super forte e lui super folle), che non sempre gioca a favore della serie.

Nella prima stagione di Daredevil si sono giostrati i sentimenti in modo piuttosto equilibrato, accennando un po’ la vita da playboy di Matthew e una lieve simpatia più affettuosa con la bella infermiera Claire (Rosario Dawson, che anche in questa stagione ci viene, purtroppo, mostrata a piccole dosi), oltre che all’inizio di una possibile linea romantica tra Karen e Foggy e la morbosa relazione tra Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) e Vanessa Marianna (Ayelet Zurer).

In questa seconda stagione si da, invece, molto peso alle relazioni, a volte dimenticando anche le premesse della prima stagione. Per esempio, ci si perde totalmente per strada quello che è stato un spunto tra Karen e Foggy, dando molto spago, invece, ai forti sentimenti di Karen per Matthew che, come per magia, sono goffamente ricambiati.

 

Daredevil

 

A questa tormentata relazione fatta di piccole e timide carezze e baci più passionali, tra una bugia e un combattimento, si aggiunge l’arrivo del turbolento ritorno di fiamma, ovvero Elektra.

Elektra non solo, in un primo momento, mette nuovamente tutto in dubbio, ma se Matthew se ne vuole tenere caldamente alla larga, successivamente sarebbe perfino disposto a mettere il vestito da vigilante al chiodo, pur di inseguire il suo amore.

A tutto questo si aggiunge anche quel pizzico di attrattiva che nasce tra Karen e Frank, anche in questo caso un’attrattiva piuttosto malata fatta da “lasciarsi e prendersi”. C’era davvero bisogno di tutta questa tiritera?

Si, non si vuole mettere in dubbio la centralità di Elektra nella vita di Matthew, ma insomma la si poteva fare anche meno sofferente e romantica tutta questa storia, e lasciare le tragedie ai libri. Anche perché, tra l’altro, tutta sta passione è detta, ma mai fatta davvero vedere. Personalmente non l’ho apprezzata, oggettivamente all’80% non era necessaria.

 

 

La Mano… questa sconosciuta!

La Mano è un’organizzazione criminale – più precisamente una setta ninja segreta – che fa la sua prima apparizione nel numero 174 di Daredevil, dalla stessa penna di Frank Miller.

Gli ideali nazionalisti della Mano mirano a un potere superiore sopra ogni altra cosa al mondo. L’organizzazione gira, infatti, attorno alla simbolica figura del demone primordiale La Bestia. Diversi personaggi, tra cui Wolverine, avranno purtroppo a che fare con questa setta di folli.

 

Daredevil

 

La Mano, tra l’altro, è famosa per le sue pratiche oscure, capaci addirittura di riportare i morti in vita come propri servitori, oltre a essere invischiata in tante altre belle faccende al limite tra l’illegale e il paranormale.

Della Mano, attraverso il personaggio di Nobu, anche se ancora non lo sappiamo, se ne ha un brevissimo accenno nella prima stagione. Prende sicuramente più forma in questa seconda stagione, ma ancora non le viene dato lo spazio necessario. La serie ce ne da un assaggio che sembra più derivato dall’esigenze di porre un ulteriore conflitto, mettendo in profondo bilico la volontà di Elektra, ma anche le decisioni finali di Matt.

Per dirla in parole povere, in questo caso La Mano puzza tanto di deus ex machina, quando gli autori avrebbero potuta gestirla con molto più spessore, senza far accontentare lo spettatore delle briciole.

 

 

Il Villain, questo sconosciuto.

Ammettiamolo, che questa seconda stagione ci sia piaciuta oppure no, ci siamo sentiti tutti un po’ orfani di Kingpin, ovvero Wilson Fisk. E sfido io chi non abbia avuto quel brividino di eccitazione e soddisfazione nel rivederlo finalmente trionfale, in tutta la sua ciccia da psicotico, sul piccolo schermo del computer/televisore/tablet/qualsiasicosaabbiate.

Eppure la soddisfazione dura ben poco, ovvero quel paio di episodi, più una veloce comparsata sul finale. Quindi, sotto questo punto di vista, questa stagione parte con un po’ di svantaggio.

Non si riesce a individuare un vero nemico perché, in realtà, un vero nemico non c’è. Se proprio ne volessimo individuare uno probabilmente sarebbe il proprio io interiore.

Del resto, da Foggy a Punisher, da Elektra a Karen, passando ovviamente per Matt, tutti devono fare i conti con se stessi, con l’immagine che hanno di sé e quella che, invece, danno a vedere. Questo confronto ne andrà a discapito di molti rapporti, e non parlo di quelli sentimentali.

 

Daredevil

 

All’inizio della serie, per chi non fosse un amante dei fumetti o comunque non abbia un minimo di cultura sul genere, si viene quasi portati a credere che The Punisher sia il nemico, ma bastano un paio di episodi per avere la certezza che così non è.

Il fuoco poi passa ad altre situazioni, alcune riguardanti Daredevil, altre Frank e altre ancora Elektra. Alcune di queste situazioni – perdonate questa vena generale ma voglio evitare di cadere nel free spoiler – si incrociano tra di loro, a volte risolvendosi, altre volte buttando quelle che indubbiamente saranno le basi della terza stagione; ma, gira e volta, non si ha davvero una figura di spicco entro la quale poter rappresentare la malvagità possente, ma intelligente, di Fisk. E il problema è proprio il confronto, spontaneo, che si va a creare con Fisk stesso.

Più che malvagi abbiamo a che fare con situazioni malvagie che, comunque, il loro lavoro di conflitto lo fanno, anche piuttosto bene, ma senza davvero lasciare il segno, assumendo giusto il ruolo di funzione per il quale sono state create.

A prescindere comunque da questo, Daredevil Season 2, sotto ogni punto di vita è una serie davvero riuscita, soprattutto godibile e ancora una volta mostra come la qualità di Netflix, e la fedeltà dei suoi clienti, venga ripagata.

 

 

Conclusioni

Tirando le somme possiamo dire che Daredevil non solo fa centro, ma riesce ad andare anche oltre, proponendo ai suoi spettatori non solo una serie sui supereroi ma quasi un lunghissimo film dove i generi, dall’action al legal, passando per il revenge movie, si mescolano tra di loro, creando un prodotto di altissimo livello.

Questa ventata Marvel nella lunga serialità ha preso la giustissima piega, dando soddisfazioni che il cinecomic – eccezion fatta per gli ultimi I Guardiani della Galassia, Antman e Deadpool – da un paio d’anni stenta a dare.

 

Daredevil

 

Daredevil si chiude lasciando molte porte aperte, ma senza irritare. Certo, l’hype c’è, ma in modo contenuto.

Probabilmente sarà il sapore un po’ agrodolce che hanno i personaggi a “salutarsi” tra di loro e a salutare i loro spettatori; saranno quei nodi venuti al pettine o quelli che si faranno sentire tra la prossima stagione e l’intero Universo Cinematic Marvel; o, semplicemente, le parole di Karen che si interrogano – riportandoci all’inizio di questo articolo – sul significato della parola eroe.

Sotto qualsiasi maschera, figurativa o meno, c’è il vero eroe.

In fondo, non siamo un po’ tutti quell’eroe che, a modo suo, combatte ogni giorno le battaglie e le sfide che gli propina la vita? Sotto qualsiasi maschera, figurativa o meno, c’è il vero eroe, quello che deve combattere con i propri demoni, quello che deve andare avanti, nonostante tutto e tutti, quello che sa di appartenere a un mondo non perché l’ha scelto lui, ma perché è stato scelto.

Sei un newyorkese. Sei un eroe. Questa è la tua Hell’s Kitchen. È la tua casa!