La storia va avanti, i popoli – a modo loro – evolvono e l’essere umano muta continuamente attraverso il progresso, la scoperta e il viaggio. Questa, in una sintesi semplicistica, è l’evoluzione. Eppure, nonostante i feroci e rivoluzionari cambiamenti apportati dalla modernità, esistono ancora ostacoli contro cui si va costantemente a sbattere il muso, oggi, come ieri. Uno tra questi è l’essere donna.
Nascere donna comporta, ancora oggi, una serie di svantaggi, tra cui quello più grande in assoluto che le viene affibbiato fin dalla nascita: essere riconosciuta come sesso debole. Nonostante i fenomeni di discriminazione contro la donna siano molto ridotti rispetto a quello che poteva avvenire qualche secolo fa – per non voler dire qualche decennio – purtroppo è impossibile ancora poter dire che questi tristi fenomeni di scarsa intelligenza si siano estinti.
Cosa comporta essere considerate come “sesso debole”?
La risposta è tanto semplice quanto tremendamente aberrante nella sua banalità, ossia incorrere in una serie di stereotipi contro i quali ci si andrà a scontrare nel corso della vita. E non parlo semplicemente per quelle frasi insinuatrici quando si prende un bel voto ad un esame, non per la nostra preparazione ma per il nostro abbigliamento, e nemmeno in quelle situazioni da far cadere le braccia come essere ostacolate sulla carriera perché ancora considerate inferiori rispetto agli uomini – quando è provato che una donna al vertice di un’azienda non solo è capacissima di gestire le sue responsabilità esattamente come farebbe la sua controparte, ma riesce a farlo facendo il lavoro che farebbero probabilmente tre uomini insieme – o perché alcuni considerano la donna perfetta nel ruolo di madre e casalinga, o anche ottimo trofeo da mostrare agli amici.
Questi esempi sono banali se, invece, li confrontiamo contro quel grande fenomeno che negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo, in cui troppe volte, nella stessa frase, compaiono le parole donna e vittima. Donna intensa come vittima proprio per il suo genere e, per questo motivo, tenuta a dare conto se decide di vestire in un determinato modo, se decide di viaggiare da sola, se decide di non essere madre o non essere moglie, ma mettere al primo posto la carriera. La vergognosa frase “è stata colpa sua” o peggio ancora “se l’è cercata” è qualcosa che dovrebbe essere inconcepibile anche solo da pensare e, invece, questo fenomeno è sempre più diffuso, rendendo una donna stuprata o, peggio ancora, uccisa, causa del suo stesso male, solo perché aveva una gonna al posto di un pantalone o priva di un accompagnatore durante un suo viaggio.
La discriminazione a cui la donna è sottoposta nel mondo ha raggiunto il culmine. Ciò la rende inferiore a livello economico, culturale e persino sociale. In una società così evoluta come la nostra, tale situazione è inaccettabile.
Del miliardo e 300 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà, il 70% è costituito da donne. Statistiche riguardanti l’Unione Europea confermano che il tasso di disoccupazione riguarda in gran parte le donne. Infatti sono meno ricercate e quindi emarginate da molti settori lavorativi. Ma il dato più scandaloso emerge dalle statistiche dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità):
la prima causa di morte nel mondo delle donne, tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio.
La criminologa Diana Russell, dopo aver studiato molti casi, ha pubblicamente dichiarato che il fattore che accomuna gran parte delle vittime è l’aver rifiutato il loro ruolo tradizionale di donne. Donne sicure, intraprendenti, studiose, colpevoli di aver scelto cosa fare della propria vita. Ciò che più sconcerta all’interno della nostra società, si è visto soprattutto con i più recenti fatti di cronaca, è l’essere arrivati quasi a giustificare questi omicidi colpevolizzando le vittime.
Ma dove, precisamente, abbiamo sbagliato?
Pochi giorni fa il caso internazionale sul quale l’attenzione pubblica si è soffermata, da cui l’universo femminile è rimasto profondamente ferito, è stato quelle delle due ragazze argentine, Maria Coni e Marina Menegazzo, uccise brutalmente da due uomini durante un loro viaggio in Ecuador.
A dar voce alle ventunenni trovate abbandonate in un sacco della spazzatura sulla spiaggia, è stata una studentessa paraguaiana, Guadalupe Acosta, scrivendo una lettera in prima persona.
La lettera inizia con queste parole:
Ieri mi hanno uccisa. Non mi sono fatta toccare e mi hanno sfondato il cranio.
Concludendo con:
Se al nostro posto ci fossero stati dei ragazzi sarebbero state spese solo parole di cordoglio. Ma essendo una donna sono stata condannata perché non sono rimasta a casa.
L’hashtag lanciato dall’Acosta è #viajosola, diventando immediatamente trend topic su twitter e spunto di riflessione per qualsiasi persona capace di guardare con occhi lucidi tutta la vicenda. Davvero possiamo arrivare a mettere in discussione l’innegabile diritto di libertà appartenente a qualunque essere umano, proprio perché tale?
La stessa parola “viaggio” rappresenta per la donna un elemento fondamentale, uno strumento di emancipazione che ancora oggi trova difficoltà nella sua affermazione. Erano i primi del novecento quando, per via della crisi di sovrapproduzione, la popolazione chiedeva una rappresentanza nel mondo lavorativo, in primis le donne. In questo contesto nacquero i primi partiti e per la prima volta, le donne fecero il loro ingresso in politica, organizzando i primi movimenti femministi, attivi nel rivendicare diritti negati alle donne, come quello di voto.
Nel 1928 in America, per opera delle suffragette, fu concesso il suffragio a tutte le donne maggiorenni, ma solo in seguito alla Prima Guerra Mondiale, si ebbero significative trasformazioni della sfera femminile anche in Europa. Un elevato numero di donne entrò a far parte del mercato lavorativo, occupando anche posti socialmente elevati.
La donna iniziò a viaggiare, a lasciare il suo nido, soprattutto in Europa, alla ricerca di una maggiore libertà di espressione e affermazione. Sulla scia delle forti migrazioni, si inizia a creare una nuova figura femminile, forte e indipendente. Una schiera di donne audaci e caparbie, capaci di conquistarsi la propria libertà attraverso l’intraprendenza e il viaggio ma anche pronte a gettare le basi per un mondo ricco di potenzialità, cultura e di originalità, la cui importanza si estende in tutte le discipline e ambiti del sapere a prescindere dal mero viaggio.
Il binomio donna – viaggio non è uno dei più trattati, né in storia e nemmeno negli ambiti letterari o cinematografici. Dobbiamo addentrarci affondo e cercare di ricostruire, prendendo pezzi sparsi qui e lì, questo piccolo percorso che ha accompagnato la donna sulla strada per la sua emancipazione.
In storia, troviamo un primo accenno a donne “viaggiatrici” nel XVIII secolo, durante il periodo borbonico iniziato con Enrico IV e finito con Luigi XVIII e Carlo X. In quel periodo le donne, generalmente, si spostavano per poter incontrare il loro futuro consorte. Ciò accadde anche per Maria Amalia di Sassonia e Maria Carolina d’Asburgo, futura moglie di Ferdinando IV, nonché figlio proprio di Maria Amalia e Carlo di Borbone.
In questo periodo venne redatto nel 1789 lo Statuto di San Leucio che fu la prima vera carta dei diritti a livello europeo a garantire le stesse opportunità, gli stessi pagamenti lavorativi e le stesse dignità a uomini e donne ancora prima della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, varata durante la Rivoluzione francese, la quale era però valida solo per gli uomini. Questo va a testimonianza non solo di quanto all’avanguardia sia stato il Regno di Napoli, ma anche della profonda cultura e intelligenza delle due regine, soprattutto per Maria Carolina d’Asburgo, rispettate nella loro figura di donna.
Il discorso della donna mobile in letteratura si afferma ben prima che la donna possa realizzare la sua indipendenza e autorità in quanto essere umano, precisamente nel XIV secolo con Boccaccio.
Per Boccaccio la donna è mobile, in quanto propone un modello di movimento in parallelo alla reclusione della donna in casa.
Non a caso l’opera più importante dell’autore, ossia il Decameron, è dedicato proprio alla figura femminile, in quanto questa sfoga tutta la sua rabbia e frustrazione proprio attraverso la lettura. E la centralità di questo tema lo ritroviamo nella novella principale della sesta giornata. Protagonista di tale racconto, posta in posizione centrale rispetto a tutti gli altri novantanove racconti, è Oretta la quale viene affiancata il giorno seguente da Alatiel, altra donna costretta a migrare in continuazione per sfuggire alle continue attenzioni del sesso opposto.
In questa novella il viaggio viene imposto, ma esplorando anche le altre opera di Boccaccio, tra cui il Filostrato e Filoco, il viaggio viene anche inteso come richiamo all’avventura o all’amore.
Scavando ancora di più nella storia della cultura letteraria possiamo trovare riferimenti ancora più lontani rispetto a Boccaccio, al viaggio femminile, direttamente nelle opere latine. In particolar modo autori come Ovidio e Stazio parlano del viaggio femminile attribuendogli una funzione di ricerca ed esplorazione.
Esempio sono le Metamorfosi di Ovidio che trattano del mito di Cerere e Proserpina. La prima intraprende un lunghissimo viaggio per poter ritrovare sua figlia scomparsa. Gli immani sforzi della donna vengono in parte premiati; infatti, le viene concesso di rivedere la figlia durante i mesi più produttivi dell’anno, ossia primavera ed estate.
Stazio, invece, in Tebaide ci presenta delle donne particolarmente emotive, ma capaci di sfruttare questa loro sensibilità per non fermarsi davanti a nulla e, quindi, superare, qualsiasi ostacolo.
Non da meno sono stati i greci, in particolar modo con la tragedia delle Supplici, prima opera di Eschilo. Le Supplici sono il primo componimento di una tetralogia – insieme di tre tragedia più un dramma satiresco – all’interno del quale compare il mito delle Danaidi, il quale ruota attorno al viaggio della sacerdotessa Io che, desiderata da Giove ma non accondiscendente ai suoi istinti sessuali, viaggia per l’intera Asia ed Europa. Giove maledirà la sacerdotessa, facendola infettare da un tafano, fino a riuscire finalmente ad averla per sé.
Nella tragedia, Eschilo parte dal viaggio delle Danaidi che compiono per sfuggire al loro destino, giocando con la stessa rappresentazione, la quale fa sì che la parola abbia una forte valenza – come del resto per tutti i componimenti antichi – e diventi immediatamente simbolo di forza ed emancipazione. Le Danaidi compiono un viaggio di salvezza, ma al tempo stesso hanno il coraggio di lanciarsi nel vuoto di un posto sconosciuto.
Con la storia del cristianesimo il viaggio assume la concezione di ricerca della “terra promessa”. Il viaggio intrapreso dal popolo ebraico non è capeggiato però solo da un uomo, ma anche da una donna. Infatti, perennemente al fianco di Abramo, figura emblematica in questo contesto, c’è Sara. Del resto, per quanto ancora si voglia credere, sebbene nell’ideologia cristiana la donna è sempre stata considerata principale responsabile del mantenimento della casa e dei figli, la sua figura è molto più importante di quanto, invece, non sia mai stato messo in evidenza.
Esempio supremo, a prescindere se si è credenti o se si vuole considerare il tutto come una storia alla Game of Thrones, è proprio Maria, la Madonna.
Il progresso della donna e con essa anche l’esplorazioni geografiche e sociali che vengono fatte a partire dalle migrazioni nel Nuovo Continente, in particolar modo tra il periodo che va dal 1520 al 1559, vedendo protagoniste molte donne alla ricerca di una nuova vita, continua fino ad oggi. Sebbene ci siano state alcune battute d’arresto, un esempio lo abbiamo col Fascismo, in cui si voleva la donna unicamente madre e moglie, dalla corporatura robusta e i fianchi larghi, le donne sono riuscite a conquistare passo dopo passo, esplorazione dopo esplorazione, una propria dimensione, un proprio ruolo all’interno della società.
La storia, la letteratura e il cinema, così come anche la musica, la scienza, vanta di nomi femminili che hanno cambiato totalmente le carte in tavola sulle condizioni del mondo. Se diamo uno sguardo al passato si continua a vedere come si è sempre voluto tenere lontano le donne da tutto ciò che era importante e decisivo, e non è troppo differente da ciò che succede oggi.
Si è ancora costrette a sopportare sguardi ostili o perplessi quando si decide di intraprendere qualcosa, come può essere un viaggio, un lavoro inconsueto, la scelta di non essere madri, che per molti non è “norma”. Si continua a chiedere ancora alla donna di essere semplicemente madre e moglie, eppure molte donne, comprese le madri e le moglie, hanno lasciato segni nella storia con pochi precedenti.
Centinaia di donne hanno dedicato la loro vita e il loro lavoro, in molti campi diversi, per ispirare e influenzare positivamente non solo la vita di altre donne, ma quella di tutti. Da
Giovanna d’Arco al Premio Nobel per la fisica (1903) e la chimica di Marie Curie (1911), da Amelia Earhart, prima donna pilota ad attraversare l’atlantico in solitaria, da Rita Levi Montalcini e Alda Merini, passando per l’attivista Rosa Parks e la coraggiosa e politica Evita Peron, fino ad arrivare a Samantha Cristoferetti, prima donna a essere entrata a far parte dell’Agenzia Spaziale Europea.
La donna ha sempre avuto, sin dall’antichità, un ruolo importante nella cultura, nella storia e nella letteratura e che il viaggio della donna non deve essere stimato come l’unico esempio valido di questa considerazione, ma come un piccolo tassello di una più numerosa serie di elementi che provano come il nostro mondo si muove anche grazie al contributo femminile.