Ho appena finito di vedere i primi due episodi della miniserie evento che riporta, dopo quasi quindici anni, gli agenti FBI più amati dai nerd ad indagare sulla verità.

Non era facile scommettere sul ritorno di X-Files in televisione. Per chi, come me, ha avuto la fortuna di vedere la serie trasmessa per la prima volta, X-Files rappresenta una vera e propria pietra miliare.

Molti sostengono, e probabilmente a ragione, che la migrazione dal concetto di telefilm a quello di serie TV sia stata marcata da E.R., medical drama che, dal punto di vista del realismo della regia fu un vero punto di svolta. Nulla da dire, quella fu davvero la prima di una nuova specie.

Ma X-Files era quell’area ibrida che indicava la mutazione in corso.

Le nove stagioni ed i due film originali sono piene di alti e bassi. Al di là degli episodi che fanno parte del canone della mitologia (il corpus di storie legate alla sparizione della sorella di Fox Mulder, alle teorie cospirazioniste e più in generale agli omini verdi) molti sono dei semplici fill-in.

Il concetto stesso di “mostro della settimana” su cui tanto ha scherzato Chris Carter parlando di questa nuova stagione, era un concetto un po’ vecchio, che faceva riferimento ad una serialità tipica degli anni ’80. Una serialità che sarebbe poi continuata nelle serie tv più generaliste (pensate alle prime stagioni di Smallville) ma che esulava dal concetto stesso di continuity su cui fondano le serie tv moderne.

 

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X-Files portava sullo schermo idee all’epoca innovative e lo faceva con un ostile ed un taglio che ancora adesso affascina.

Eppure X-Files portava sullo schermo idee all’epoca innovative e lo faceva con un ostile ed un taglio che ancora adesso affascina. Senza X-Files non ci sarebbe Lost (pensateci, la stessa storia dell’isola non è altro che un colossale X-file), non ci sarebbe di sicuro Fringe. E molto probabilmente staremmo ancora ad appassionarci dietro a storie di investigatori privati baffuti e cugini redneck a bordo di muscle cars cafone.

Le avventure di Fox Mulder e Dana Scully hanno segnato il passo dei tempi. Le teorie complottiste degne delle migliori edizioni del National Enquier si fondevano bene all’interno dell’ossatura della serie. Operazioni governative segrete, tecnologia aliene, negazione plausibie e teoria del complotto sono conetti ben radicati nell’immaginario occidentale e derivati probabilmente dalla cortina di ferro e la guerra fredda.

Il concetto stesso dell’invasione silenziosa era qualcosa di ben radicato nell’immaginario fantascientifico americano. Se pensiamo a tutti i racconti di Philip K. Dick o pellicole come l’invasione degli ultracorpi ci rendiamo conto che quel tipo di paranoia era già presente nell’aria, si palpava nella controcultura e che Chris Carter è solo riuscito a darle una verniciatura pop.

the-x-files-i-want-to-believe-printSe pensate che le action figure più vecchie che tengo in casa sono proprio due Mulder e Scully presi a Londra secoli fa nella sede originale del Forbidden Planet e che ancora adesso, che sono sposato e con figlie, conservo in camera da letto una copia del famigerato poster I Want To Believe, forse vi siete fatti un’idea di quanto la serie abbia avuto un impatto possente su di me.

Però, e si, c’è un però, il difetto principale delle nove stagioni fu una eccessiva ripetitività unita ad una malcelata tentazione di allungare il brodo a tutti i costi. Insomma, per farla breve, la serie aveva saltato lo squalo ben prima dello scoccare del finale di stagione 9.

Si aveva la percezione che non sapessero più cosa inventarsi, e qui, rientrano per bene i limiti di una televisione poco moderna (non credo sia un caso che la maggior parte della serie moderne al massimo sono composte da sei stagioni). Lo stesso altalenare tra l’irrefrenabile voglia di credere di Mulder e la ferrea razionalità di Scully alla lunga aveva stancato tutti.

Epocale, per fare un esempio, la scena del primo film in cui, proprio nel momento in cui un’astronave gigantesca decollava da un ghiacciaio, Scully fosse comodamente svenuta.

 

 

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Insomma, buone le idee, ma era ora di cedere il passo.

Insomma, buone le idee, ma era ora di cedere il passo. Se pensiamo al taglio moderno di serie come Fringe ci rendiamo conto che nel frattempo il pubblico era cresciuto e aveva un palato più raffinato. Eppure tutta la teoria complottista è in qualche modo sopravvissuta. Se pensiamo a fumetti come Planetary a tutta le leggende che circolano su eventi storici come l’11 settembre, è facile pensare che, una volta di più, la verità sia là fuori.

Per cui quando l’anno scorso fu annunciata questa nuova miniserie con il cast originale ero tutto sommato perplesso. Come avrebbe fatto un cast appesantito dagli anni ad assimilare la lezione della nuova serialità?

dopo un anno ho finalmente la risposta: benissimo!

I primi due episodi scivolano via molto bene. La regia è veloce anche se si tanto in tanto trasmette la sensazione di un salto narrativo. Volendo evitare lo scivolone del film del 2008 (una storia carina ma slegata dalla ‘mitologia’), il primo episodio parte in quarta con una storia che fa da prologo alla riapertura degli x-files.

Al contrario del fiacco ‘vedo non vedo’ della serie originale, dove tanto si intuiva ma non veniva mai veramente mostrato (complice di sicuro un budget molto più limitato), qui si gioca immediatamente la carta della spettacolarità.

 

 

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Incidenti alieni ed UFO vengono mostrati senza più veli.

Incidenti alieni ed UFO vengono mostrati senza più veli giocando sul fatto che la verità non è più l’esistenza di forme di vita aliene (su cui, come dice lo stesso Fox, ci si vuole credere), ma il fatto che il governo neghi, e che tutto sia parte di un meccanismo di controllo votato alla limitazione delle libertà personali ed alla creazione di un nuovo ordine.

Le teorie complottiste fanno spazio alla sociologia politica.

E per certi versi sembra che a fare da showrunner siano Naomi Klein e Grant Morrison. Ma sapete una cosa? funziona dannatamente bene. Il vecchio clima da paranoia si assapora che è un piacere. E la sensazione che ci sia molto altro da sapere persiste, ma non rimane frustrata da lungaggini.

Il secondo episodio, che potrebbe in realtà far pensare più al “mostro della settimana”  subisce solo qualche deviazione rispetto al cammino avviato nel prologo e si inserisce nel canone regalandoci un paio di sequenze visionarie con un taglio squisitamente moderno ed un paio di co-protagonisti che non sfigurerebbero in un film degli x-men. Il tutto senza uscire mai dal contesto principale.

Aggiungeteci poi che sia David Duchovny che Gillian Anderson hanno una forma strepitosa e non sembrano per nulla imbolsiti e stanchi dal dover reindossare i panni dei due agenti FBI. Condite tutto con la sigla originale che non fa nulla per cancellare il fatto che sono passati due decenne dalla prima messa in onda ma che, si tratta solo di un vantaggio per ottenere un cocktail esplosivo.

Probabilmente la lunghezza più contenuta ed il taglio moderno, renderanno questa miniserie più centrata sugli aspetti della mitologia. E, sa tanto mi dà tanto, questa è solo la prima volta che andremo a cercare là fuori la verità…