Ha compiuto pochi giorni fa 80 anni. Un regista controverso, caratterizzato da due fasi creative molto differenti. C’è chi lo adora, chi invece lo trova insopportabile. Comunque la si voglia mettere, Woody Allen è un’icona del cinema d’autore, e non solo. Sa essere attore e anche scrittore. Macchietta di se stesso e un po’ del mondo, senza mai tradire quel drammatico realismo che lo contraddistingue. Un maestro da copiare e al tempo stesso da evitare.
A meno di due settimane dal suo prossimo film, Irrational Man, non potevamo non dedicare il MustSee della settimana ad un film, di una decina d’anni fa, che ha segnato l’inizio della carriera più europea di Woody Allen: Match Point.
Primo della “trilogia londinese”, di cui fanno parte Scoop (2006) e Sogni e Delitti (2007), Match Point – presentato Fuori Concorso alla 58o Festival di Cannes – è tra i primi “film cartolina” che Woody Allen realizza in Europa. Successivamente, come ben si sa, il regista, attore e scrittore americano toccherà le meravigliose capitali della Spagna, Francia e anche Italia, ritornando a girare negli Stati Uniti nel 2013 con Blue Jasmine, film che ha fatto aggiudicare un Premio Oscar come Miglior Attrice Protagonista a Cate Blanchett.
Match Point è un film molto particolare, probabilmente tra i più significativi della carriera di Woody Allen. Una contaminazione di generi che mescola il thriller al dramma europeo, quel tanto che basta di visionario e la giusta dose di fatalità. Tutto questo perfettamente orchestrato in una sceneggiatura che non lascia spazio a sbavature. Cavalcando la scia di Crimini e Smifatti (1989), Allen firma una pellicola dove indiscussi protagonisti sono la moralità umana e la sua ingordigia, la scalata sociale e, soprattutto, la fortuna.
Il tennis è la chiave di volta di questa pellicola. Magistrale allegoria che chiude, con ironia drammatica, questa meravigliosa pellicola che annovera nel suo curriculum numerose nomination, tra cui Miglior Sceneggiatura Originale agli Oscar, Miglior Film, Sceneggiatura e Regia ai Golden Globe e la vincita del Donatello e Goya come Miglior Film Europeo.
Trama
Chris (Jonathan Rhys Meyer) è un giovane precario molto abile nel tennis che, come a volte accade, ha la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Istruttore di tennis in un club esclusivo, fa la conoscenza di Tom Hewett (Matthew Goode) e sua sorella Chloe (Emily Mortimer).
Tom è brillante, uno molto sveglio e concreto, che sa di poter avere tutto ciò che desidera quando lo desidera. Sua sorella Chloe è un tipo molto timido, un po’ svampita, con una grande passione per l’arte e l’opera lirica.
Chris, mosso inizialmente da un sentimento sincero, coglie la palla al balzo ai primi segni di interessamento di Chloe, e senza neanche avere il tempo di realizzare, si trova all’interno della strettissima rete di affari della famiglia Hewett con un anello al dito.
La vita per un ragazzo senza troppe aspettative come Chris non potrebbe andar meglio, se non fosse per quel piccolo particolare che sconvolgerà definitivamente il suo percorso: Nola (Scarlett Johansson). Nola è un’aspirante attrice, bellissima e sensuale, in perenne bilico tra depressione e nevrosi. Il suo stesso rapporto con Tom non è destinato a durare e, infatti, la famiglia Hewett ci metterà poco tempo per allontanare la ragazza.
La stessa scaltrezza non ha Chris, che rimane inevitabilmente incastrato nella violenta attrazione con la donna. Ma può la passione essere una valida ragione per perdere tutto? Il tempo farà luce sui veri sentimenti di Chris, ponendolo di fronte al fatto che Nola non può far parte del suo idillio di perfezione che è riuscito a ottenere.
Pressione. Bugie. Situazioni estreme. Questo paradigma metterà alle strette Chris, a tal punto da chiedersi se riuscirà a segnare il suo match point o se questa sarà la sua ultima partita.
Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.
L’uomo è la somma delle scelte che fa, dice il detto. Fin qua non ci piove. Chris fa delle scelte azzardate ed ora saggia il peso delle conseguenze; ma, così come può essere vittima degli eventi che lui stesso ha scatenato, può sempre reagire e sfidare la sorte, a discapito di chiunque intralci il suo cammino. Allora, spontaneo viene da chiedersi, quanto il destino influisce veramente sulla vita?
Il tema della fortuna, soprattutto da questo momento in poi, diventa più forte che mai. Ambiguo e sensuale, tramutato in seme della follia. Quella di Chris passa dall’essere una partita ad un’arrampicata sugli specchi, districandosi in due vite differenti; appunto, due campi da tennis. Chris è il primo giocatore, dall’altra parte c’è solo il fato. La pallina è un elemento concreto, che apparirà alla fine del film. Un oggetto che potrebbe essere insignificante, ma che poi otterrà un significato quanto mai fondamentale.
Elemento caratterizzante di Match Point, al quale potremmo sicuramente dare una valenza sia diegetica che extradiegetica, è la colonna sonora. Allen punta interamente sulla lirica, dal Trovatore al Macbeth, dalla Traviata a L’Elisir d’amore, per lo più interpretati dal tenore Enrico Caruso.
La musica funge da commento e narrazione delle sequenze, spesso leggendo in chiave ironica i sentimenti dei protagonisti; per esempio, sul finale, la reazione fredda e impassibile di Chris viene commentata con il brano Una furtiva lagrima tratta da L’Elisir D’amore, ponendo la natura tragica e addolorata della musica in netta contrapposizione con l’indifferenza innaturale del protagonista. Questa è la prima volta che Allen utilizza in questo modo la musica, tenendosi un po’ sulla falsa riga di Stanley Kubrick con Arancia Meccanica.
Woody Allen è maestro indiscusso di un vero e proprio gioco fatto di livelli su livelli. Ci porta all’interno di un conflittuale groviglio di nervi nella mente umana.
In fondo, il gioco è piuttosto semplice: prendete un uomo apparentemente equilibrato ma che non ha nulla, dategli tutto e immettetelo in un contesto di benessere ed equilibrio. Dopo ingarbugliate tutte le sue carte in tavola, sbattendolo in una situazione di estremo disagio. Spingetelo fino al limite e restate a osservare. La contorta, ma fragile, natura umana farà tutto il resto.
Match Point è, probabilmente, tra i film in cui il peggio della natura umana esce prepotentemente. Chris non è un carnefice, ma è solo la fortunata vittima di un gioco più grande di lui. Quanto siamo disposti a batterci per la nostra sopravvivenza? Inutile essere ipocriti, in contesti come questo l’ipocrisia serve a poco. Tutti, o la maggior parte, siamo disposti a spingerci oltre il limite pur di non perire alle regole di un universo molto più grande di noi.
Match Point lascia incantato lo spettatore, vittima di tutti gli eventi che scorrono sullo schermo, proprio come se si stesse assistendo ad una partita di tennis. Il fiato sospeso fino alla fine, fino all’ultimo momento in cui la pallina, cadendo da un lato o dall’altro, segnerà inevitabilmente le sorti dei giocatori.
Non sorprende la scelta di usare attori giovani, alcuni dei quali, all’epoca, non ancora divi affermati. Infatti, Match Point risulta essere un vero e proprio banco di prova su di un’opera molto contorta e sicuramente difficile. Potremmo dire che Woody Allen stesso gioca con il destino, ponendosi in bilico tra il successo e il fallimento. Match Point rientra nella prima categoria, ed è sicuramente uno di quei film che dopo una prima visione, difficilmente verrà dimenticato.