Se la prima parte vi ha incuriosito, era solo l’inizio. Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta delle rivoluzioni scientifiche che ci porteranno a vivere più a lungo. Stay foolish, live longer.
Nella prima parte abbiamo visto come le neuroprotesi e la stampa 3D di organi ci possano far superare i problemi che comporta l’essere fatti di carne e ossa. Passiamo ora ad esaminare ciò che la ricerca scientifica sta sperimentando a livello molecolare e soprattutto a livello del DNA. Il sequenziamento nei primi anni 2000 del genoma umano ha aperto la strada a diversi studi mirati alla sconfitta di malattie e all’allungamento della vita stessa, anche se la complessità della materia richiede ovviamente ancora parecchio tempo.
E pur si muove!
SCH9, RAS2 e la restrizione calorica
Molti studi concordano sul fatto che il digiuno possa avere effetti benefici sulla salute e sul prolungamento della vita stessa. In precedenza si riteneva che la restrizione calorica facesse bene per lo stesso motivo per cui una persona magra è meno incline a certi tipi di malattie rispetto ad una persona obesa, ma si è scoperto esserci molto di più.
Il Dott. Valter Longo, genovese classe ’67, già direttore del Longevity Institute della University of Soutern California di Los Angeles e direttore del Laboratorio di Longevità e Cancro all’IFOM di Milano, aveva scoperto che sopprimendo i geni SCH9 e RAS2, responsabili della crescita e della suddivisione delle cellule, quindi dell’invecchiamento delle stesse, si poteva aumentare la vita del lievito di birra usato nel test di oltre 10 volte, portandolo addirittura da 6 giorni a 10 settimane. Conducendo poi altri test su geni equivalenti trovati nel DNA delle cavie di laboratorio riscontrò con sorpresa un aumento della vita media dei topi compresa tra il 50% ed il 100%.
Purtroppo si scoprì che la soppressione dei geni incriminati, da sola, non era sufficiente:
doveva essere messo in atto anche un regime di restrizione calorica al limite del digiuno totale.
Questo regime dietetico favorisce infatti la produzione dell’enzima Rim 15, il quale attiva a sua volta determinate proteine in grado di controllare sia molecole antiossidanti che enzimi riparatori del DNA, regolando inoltre il corretto ripiegamento delle proteine. Senza Rim 15 venivano meno tutte le condizioni che nei test in laboratorio portavano ad un allungamento della vita.
Nell’uomo geni simili al SCH9 ed al RAS2 sono stati trovati nell’ormone della crescita IGF-1. Bassi livelli di questo ormone inviano al corpo l’informazione errata che c’è scarsità di cibo, quindi tutta l’energia viene conservata per rallentare l’invecchiamento in modo da avere più tempo per cercare da mangiare o per riprodursi. Molto ancestrale, ma siamo fatti così.
In uno studio recente Longo ha scoperto che cicli periodici di 4 giorni di dieta ipocalorica stretta per due volte al mese portano ad un aumento di cellule progenitrici e staminali in diversi organi dei topi anziani, cervello compreso. Queste cellule migliorano infatti la capacità rigenerativa neuronale, potenziano il sistema immunitario, riducono le malattie infiammatorie e rallentano la perdita di densità minerale ossea. I ricercatori sono convinti che i meccanismi scoperti nel lievito di birra e nei topi, che condividono il 90% del nostro patrimonio genetico, possano essere replicati con successo anche nell’uomo e diversi trial clinici sono in atto per verificarne i benefici.
Ma onestamente di fare 8 giorni di dieta al mese bevendo solo acqua proprio non mi va, quindi andiamo avanti alla ricerca di altre scoperte che richiedono meno sbattimento…
Potenziamento dei lisosomi
Prendiamo un bel personaggione tra i miei preferiti, il barbuto Aubrey de Grey (praticamente Hugh Jackman con la barba) che ha affermato senza mezzi termini:
la prima persona in grado di vivere mille anni potrebbe essere già nata
e se ve lo state per caso chiedendo… no, purtroppo non sono io. E nemmeno Hugh Jackman.
La sua ricerca si basa sull’assunto che nel nostro corpo le cellule, lo spazio tra di esse e perfino il DNA accumulino “spazzatura”, materiale inutile e dannoso. Le cellule devono costantemente smaltire gli elementi di scarto, e normalmente lo fanno bene, ma a volte si imbattono in dei tipi di scarto così strani che nessun sistema di smaltimento della cellula funziona. Questi scarti allora vengono mandati ai lisosomi, una sorta di “apparato digerente” all’interno della cellula in grado di distruggere molecole estranee. Ma se neanche qui può essere distrutto vi rimarrà per sempre.
Aubrey de Grey è convinto che se riuscissimo a creare farmaci in grado di eliminare qualsiasi tipo di “spazzatura” dalle nostre cellule, sconfiggeremmo l’entropia cellulare, il nostro organismo non muterebbe più e quindi, semplicemente, non invecchieremmo più. Cercando in natura un organismo in grado di “mangiare” questa spazzatura, le sue ricerche lo hanno portato nei cimiteri, alla ricerca dei microbi che si cibano delle cellule morte dei corpi in decomposizione.
Se si trovassero gli enzimi o i geni usati da questi organismi per svolgere questa funzione, potrebbero essere inseriti nelle nostre cellule per renderle in grado di smaltire autonomamente e con successo gli scarti che in precedenza rimanevano depositati nel nostro corpo.
Secondo lui, nel 2035 queste tecniche dovrebbero essere disponibili a tutti e nel 2050 questo tipo di ricerca potrebbe arrivare a permettere anche un ringiovanimento di ben 50 anni.
Noi siamo qui che aspettiamo. Mentre ci cresce la barba.
La sirtuina
La sirtuina (o proteina Sir2) è un enzima che pare essere in grado di rallentare l’invecchiamento. Fece molta notizia l’esperimento pubblicato nel 2014 sulla rivista Aging Cell dal noto genetista David Sinclair, in cui a dei topi (sempre loro!) venne soppressa geneticamente la funzionalità della nicotinammide (che inibisce la produzione di sirtuina del gene SIRT1) portando ad un aumento della loro vita di un 15%. Incrementando la produzione di sirtuina anche sull’uomo, quindi, con i dovuti calcoli ed approssimazioni si potrebbe teoricamente allungare la vita di oltre 10 anni.
Nel 2011 venne già pubblicato su Nature uno studio che dimostrava l’inefficacia di questo trattamento, confutando di fatto gli studi in corso di Sinclair ma riconoscendo comunque i benefici apportati dalla sirtuina alle funzionalità metaboliche.
Nel 2013 un altro studio del team di Sinclair ripropose la teoria della sirtuina, indicando anche il resveratrolo (presente nel vino rosso) come agente attivatore, continuando le sperimentazioni.
Abbiamo scoperto i geni che controllano come l’organismo combatte l’invecchiamento. – David Sinclair
Una maggiore attività del gene della sirtuina, è emerso negli studi effettuati, prolunga la durata di vita nei topi migliorando il coordinamento motorio, aumentando la densità ossea, riducendo i processi infiammatori e stabilizzando i livelli di glucosio nel sangue.
Secondo Sinclair, entro 5 anni la ricerca dovrebbe portare ai primi risultati sull’uomo.
Noi, come sopra, siamo qui ad aspettare. Bevendo nel frattempo del buon vino rosso.
Telomerasi
Con l’avanzare dell’età, le cellule del nostro corpo cominciano a degradare e non sono più in grado di replicarsi in modo efficace. Un fattore determinante nell’invecchiamento cellulare è un processo chiamato accorciamento dei telomeri. In pratica quando una cellula si divide, il genoma non viene replicato perfettamente e all’interno dei filamenti di DNA si creano dei “buchi” chiamati frammenti di Okazaki. Questi buchi, per complessi meccanismi di auto riparazione tramite RNA, portano alla riduzione del telomero, la cui funzione è proteggere l’estremità del cromosoma dal deterioramento o dalla fusione con i cromosomi vicini. Quando questo si accorcia troppo si interrompe la divisione, quindi la replicazione cellulare.
Per capire l’importanza di questo meccanismo basti pensare che Richard Cawthon, ricercatore dell’Università dello Utah, già in uno studio del 2003 scoprì che le persone con telomeri lunghi hanno un’aspettativa maggiore di vita rispetto a chi ha dei telomeri corti.
Uno studio della Stanford University School of Medicine, però, ha da poco trovato un modo per invertire questo processo degenerativo allungando i telomeri, grazie alla telomerasi.
La ricerca è stata pubblicata online sulla rivista The FASEB Journal a gennaio di quest’anno.
Abbiamo trovato un modo per allungare i telomeri umani di 1.000 nucleotidi, portando indietro l’orologio interno in queste cellule dell’equivalente di molti anni di vita umana – Dr. Helen M. Blau
Il procedimento prevede l’utilizzo di RNA modificato che trasmette istruzioni dai geni al “reparto produzione proteine” della cellula. Questo RNA modificato contiene l’enzima TERT, che mantiene sani i telomeri ed assicura che siano pronti per il processo riproduttivo.
Questo enzima si trova principalmente nelle cellule staminali.
Il team della Blau ha descritto che le cellule trattate con la procedura si comportavano come se fossero molto più giovani di quelle non trattate, moltiplicandosi molto più velocemente invece di contrarsi ed arrivare morire. Le cellule della pelle che avevano i telomeri allungati dalla procedura si sono moltiplicate fino a 40 volte di più rispetto alle cellule non trattate.
Con la telomerasi i telomeri ricevono uno “sprint” solo per un breve periodo di tempo, dopo il quale ritornano ad accorciarsi al dividersi delle cellule. Questo però è un bene perché evita la proliferazione infinita delle cellule, condizione spesso associata allo sviluppo di tumori.
Questa ricerca ha anche mostrato che le cellule possono essere trattate più volte, migliorandone la capacità di divisione. Poiché questa aumenta ad ogni trattamento basta un piccolo campione di cellule, ad esempio da una biopsia, per ottenerne un numero enorme.
Nei fibroblasti oltre un decennio di accorciamento dei telomeri è stato invertito in pochi giorni, il che suggerisce che una terapia potrebbe essere breve e poco frequente – Dr. John Ramunas
A noi, come al solito, non resta che aspettare. Bevendoci stavolta una bella tazza di Tert.
Genetica dell’invecchiamento
Perché un topo vive in media 2 anni mentre un pipistrello, che non è tanto più grande, può arrivare anche ai 16 anni? Sappiamo che il fattore di differenziazione è scritto nel loro DNA e quindi l’invecchiamento è determinato o influenzato da uno o più geni. Ma quanti sono effettivamente i geni su cui la ricerca si sta focalizzando, oltre i casi che abbiamo trattato in dettaglio nei paragrafi precedenti?
La prima mutazione scoperta in grado di aumentare la longevità in un animale fu quella del gene poi chiamato age-1 nella Caenorhabditis elegans (un verme lungo 1 mm) già nel lontano 1983. ll ricercatore Michael J. Klass della University of California, Berkeley, scoprì all’epoca che la durata di vita del vermiciattolo poteva essere alterata geneticamente, ma si convinse che questo effetto fosse principalmente dovuto alla restrizione calorica imposta durante gli esperimenti. Il genetista Thomas E. Johnson, dell’Institute for Behavorial Genetics della University of Colorado Boulder, dimostrò successivamente nel 1987 che l’estensione di vita (fino al 65%) era dovuta alla mutazione del gene piuttosto che a alla restrizione calorica. Battezzò quindi questo particolare gene age-1 ad indicare il primo scoperto tra tutti quelli che controllano l’invecchiamento.
Secondo la banca dati online di geni legati all’invecchiamento GenAge, esistono oltre 800 geni che estendono la durata della vita negli organismi usati di solito negli esperimenti, ossia:
- il vermiciattolo Caenorhabditis elegans del primo esperimento con 454 geni
- il Saccharomyces cerevisiae (lievito di birra) con 236 geni
- il moscerino della frutta Drosophila melanogaster con 79 geni
- il Mus musculus (il nostro caro topino di laboratorio) con 7 geni
Modificazioni genetiche in altre specie non hanno raggiunto risultati così eclatanti e quindi i ricercatori continuano a sperimentare cercando di trovare, soprattutto nell’uomo, geni con funzioni equivalenti a quelli finora scoperti su questi quattro organismi.
I ricercatori spesso si smentiscono tra di loro, con ricerche che portano a risultati opposti, ma sono molte le variabili in gioco. Ci vorranno ancora anni, ma un giorno anche noi saremo in grado di sfruttare i vantaggi di questa, seppur lenta, rivoluzione genetica.
Ma non è ancora finita, perché nella terza parte parleremo anche del nostro cervello.
Immagine di testa: Allegoria dell’Immortalità di Guido Romano