Nudi, Selvaggi, Feroci: I Cult del Cinema Cannibalico Italiano

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Cane non mangia cane, dicevano i saggi latini. Beh, invece uomo mangia uomo, dicono moltissimi registi, di culto e non.

Fin dalla notte dei tempi – e dall’alba del cinema – l’inspiegabile pulsione che porta gli esseri umani a gustare la carne dei propri simili ha sempre attratto in maniera malata la fantasia di stregoni, profeti, guru e artisti.

Ora che sta per sbarcare nelle sale italiane il travagliato The Green Inferno del ragazzaccio del nu-horror Eli Roth, ispirato pesantemente ai film italiani di genere, non posso che andare a ripercorrere assieme a te i passi fondamentali del cinema cult-trash d’italico ingegno.

Occhio che le immagini che seguono sono in gran parte #NSFW!

 

 

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Sei pronto con carta e penna (o Evernote, o Google Docs, o quello che ti pare…) per fare la lista della spesa e mettere sul tavolo le prelibatezze #italianfood di questo articolo?

E annamo!

Come non iniziare dal mito assoluto, il film che è anche la ragion d’essere di The Green Inferno di Roth. The Green Inferno è anche il vero e proprio titolo della seconda parte della pellicola del 1980 diretta da Ruggero Deodato, ovvero…

 

 

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Cannibal Holocaust

(1980)

Film che ha inventato il found footage, poi ripreso e fatto esplodere dall’horror sovrannaturale a cavallo tra i ’90 e i Duemila (e adesso avrebbe anche un po’ rotto).

Deodato dirige con polso e occhio morbosamente crudele: esecuzioni e uccisioni di animali vere e false si alternano, il documentario diventa fiction e la curiosità orrore.

 

 

Il destino dei quattro cinereporter d’assalto che vogliono filmare il cuore nero della giungla amazzonica ci cava gli occhi e ci ficca nelle orbite sangue, budella e frattaglie.

 

 

Cannibal Ferox

(1981)

Impossibile poi non citare Cannibal Ferox, che nel 1981 arriva da quel gran mestierante che è Umberto Lenzi.

(Questo trailer vale praticamente la visione di tutto il film, senza contare che è esattamente scalcinato come qualunque remake grindhouse non potrà mai essere)

 

 

Prosciuga la formula con una trama pretestuosa e ridotta all’osso ma scene gore d’altissimo impatto (tette & uncini, evirazione, cranio scoperchiato…)

 

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Il titolo Cannibal Ferox suona come “X” finale del cannibalico italiano, e in un certo senso lo è: Lenzi, tra l’altro, aveva dato il “la” al genere nel 1972 con…

 

Il Paese del Sesso Selvaggio

(1972)

Come si evince dal titolo puntava a titillare lo spettatore con altro ma aveva l’ambientazione della giungla tailandese, e soprattutto, una delle scene finali con uno scioccante clou cannibalico ai danni di una povera indigena.

 

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Come da tradizione, in Italia si parte dall’erotico per arrivare ben oltre…

 

 

Se gli animali trucidati nella pellicola furono uccisi per davvero (coccodrilli, serpenti, capre) il cinema di Lenzi arrivò addirittura a mangiare se stesso quando sequenze di Il Paese del Sesso etc furono innestate in quello che è il secondo step della “trilogia”, del 1980, ovvero..

 

 

Mangiati Vivi!

(1980)

Qui una ragazza vuole ritrovare la sorella, che ha seguito un guru ambientalista nelle foreste della Nuova Guinea, e la ritrova: sì, assieme a una tribù di antropofagi poco amichevoli.

Seguono efferatezze piuttosto rozze (anche sotto il profilo degli effetti) e gente che assiste al proprio corpo divorato dagli indigeni.

 

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Nonostante le tante morti e mutilazioni di essere umani, il film rimane impresso soprattutto per l’impressionante numero di animali morti e la sconvolgente ripresa di una piccola scimmietta ingoiata da un gigantesco rettile. Sigh.

 

 

Tra il 1972 del capostipite e il 1980 del capolavoro (Cannibal Holocaust, e chi altri?) sta il 1977 di…

 

Ultimo Mondo Cannibale

(1977)

Film che lasciava per la prima volta da parte l’esotico-avventuroso per mettere davvero al centro, fin dal titolo, i dettagli cannibalici.

Il regista è, manco a dirlo, Deodato: tre anni prima del suo film epocale mette in scena tutta quella compilation di crudeltà e dettagli splatter che vedremo tornare amplificati e perfezionati.

 

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Il protagonista si ritrova prigioniero di una tribù cannibale e ne passa di cotte e (soprattutto) di crude, trovando un’insospettabile alleata nell’indigena deliziosamente interpretata da una delle icone del genere , Me Me Lay.

 

 

Bellissima l’ambientazione in Kuala Lumpur.

 

La Montagna del Dio Cannibale

(1978)

Ma c’è un altro film, un vero e proprio UFO in questo viaggio gastronomico, che rappresenta un po’ il piatto raffinato con ingredienti poveri.

Ci credi se ti dico che Sergio Martino (sì quello di L’Allenatore nel Pallone con Lino Banfi) ha diretto la prima, storica, Bond girl Ursula Andress in un film chiamato “La Montagna del Dio Cannibale”?

 

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Devi, perché il film esce in Italia nel 1978 ed è praticamente un film di lusso, dalla confezione alla distribuzione.

 

 

Detto fra noi, che ci fossero davvero i cannibali o meno, di fronte al poster della super-milfona quarantenne Ursula che si staglia seminudo nella sua imponenza, ci importa poco…ma ci sono, e lei si vede pure costretta, a un certo punto, a mangiarsi il fratello.

 

 

Emanuelle e gli Ultimi Cannibali

(1977)

Ma che mondo sarebbe quello del cinema italiano dei tempi d’oro senza la vera e propria intersezione degli insiemi “erotico” e “cannibalico”?

Ed ecco allora, per i palati più disposti ai toni pepati, Emanuelle e Gli Ultimi Cannibali, dove nei panni (panni? quali panni? Diciamo nella pelle, và) dell’eroina c’è quel meraviglioso esemplare di donna che risponde al nome di Laura Gemser.

 

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Dietro la macchina da presa c’è il genio del settore, il prolifico e scatenato Joe D’amato (al secolo Aristide Massaccesi). Joe nel 1977 segue le orme di Ultimo Mondo Cannibale di Deodato e inserisce l’apocrifo personaggio creato da Emmanuelle Arsan – che non per nulla nei tanti film italiani ha una “m” in meno nel nome – nel contesto della giungla popolata da una tribù cannibale.

 

 

Stavolta non ci sono animali ammazzati ma non mancano dettagli di violenza efferata sul corpo dei protagonisti, mentre la nostra Emanuelle fa da testimone sgomenta delle atrocità.

Nel frattampo, però c’è spazio per amplessi amorosi pornosoft e soprattutto una parentesi saffica super patinata ma /e impressionante tra Laura Gemser e la co-protagonista Monica Zanchi. Slurp!

 

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Ultimi fuochi cannibali…

Ma non si soli “capolavori” vive l’uomo – in attesa di essere fagocitato da un suo simile, s’intende.

Ci sono dunque anche pellicole di minore impatto nella memoria cult-trash ma che testimoniano anche loro l’alba e il tramonto di un genere e di un modo di fare cinema in Italia.

Film dai nomi che sono tutti un programma, come Nudo e Selvaggio di Michele Massimo Tarantini (aka Michael E. Lemik) Schiave Bianche – Violenza in Amazzonia, firmato da Mario Gariazzo per l’occasione rinominatosi Roy Garrett.

 

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Questi due sono gli ultimi cannibalici italiani: il primo (Tarantini, specialista di commedie sexy, gira tutto in Brasile coi brasiliani) presenta – tra le varie violenze e uccisioni – una sola sequenza-shock, un cuore strappato dal petto e addentato da un indigeno d’Amazzonia, dove sono precipitati i personaggi.

 

 

Per il resto c’è un branco di piranha che si spolpa una gamba… da notare che nei paesi anglosassoni fu spacciato per Cannibal Ferox 2!

 

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Il secondo, “tratto da una storia vera” (boh), vede Gariazzo tentare l’ultimo guizzo di ultraviolenza italica al cinema, con le vicende che ruotano intorno a una ragazza resa orfana e sequestrata dai soliti cannibali selvaggi.

 

 

Trama stemperata purtroppo da una linea sentimentale fin troppo buonista e marcata.

Cinque anni di distanza da Cannibal Holocaust (di cui ‘sto film fu spacciato per il seguito in certi mercati!) si fanno sentire e il mondo è cambiato del tutto, soprattutto sotto il profilo della produzione, del pubblico e del livello di violenza mostrabile al cinema.

Ma comunque è un divertissement genuino.

Ballad in Blood - Trailer
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The Green Inferno, vuttana che fame!
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The Green Inferno - Trailer Ufficiale
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The Green Inferno - Trailer Ufficiale
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