Parliamo di un argomento sempre attuale: la figa le pensioni.
È un argomento spinoso e foriero di polemiche politiche e non, in parte a ragione, non essendo possibile accontentare tutti con le risorse a disposizione e dovendo quindi decidere come allocarle.
Quello che interessa in questo caso è la definizione di fatti e di calcoli matematici relativi all’argomento. Al massimo evidenzieremo dove possono esserci delle scelte politiche che però non verranno trattate: se vi interessano queste, la rete ne è piena altrove, potete rivolgervi lì (primo e ultimo avvertimento, anche e soprattutto per i commenti).
Premessa
Prima di tutto: molto di quello che viene detto in Italia (non solo sulle pensioni) sono opinioni, non fatti. Le opinioni sono legittime quando si basano sui fatti, perché ci sono modi diversi di vedere uno stesso fatto. Opinioni basate su altre opinioni invece indicano solo pochezza intellettuale come minimo: ci potrebbe essere anche disonestà dietro. Comunque siamo su LN non su un social network qualsiasi, quindi tralasciamo questa possibilità :troll:
Nel caso qualcuno avesse dei dubbi:
I fatti si distinguono dalle opinioni perché valgono allo stesso modo per tutti.
Ad esempio, la battaglia di Lepanto non può essere definita una opinione, perché per tutti é avvenuta il 7 ottobre 1571. L’opinione ci può essere sul perché é avvenuta in un certo modo, in assenza di fatti certi (es. scritti). Se trovassero uno scritto di Marcantonio Colonna riguardo la battaglia, alcune opinioni dovrebbero probabilmente cambiare.
Definizioni
Veniamo all’argomento in sé. Essenzialmente la pensione é una rendita posticipata, cioè la restituzione a rate di un capitale accumulato (e si spera reinvestito) nel tempo. In Italia quando si parla di pensioni si confondono vari concetti:
- di anzianità (sul lavoro), cioè legata ai contributi versati mentre si lavora;
- di vecchiaia, legata all’età anagrafica e (tendenzialmente) non ai contributi versati;
- di invalidità, cioè una assicurazione se e quando capitasse qualcosa di spiacevole.
Modellizzazione
Per poter fare dei conti vediamo un caso astratto molto semplificato: un mondo in cui tutti vivano 80 anni, lavorino da 20 a 60 (in totale 40 anni) e ricevano la pensione da 60 a 80. Niente malattie, niente incidenti, niente licenziamenti, niente inflazione, niente differenza tra pensioni di anzianità, vecchiaia e invalidità, niente costi di struttura: si possono considerare dopo e fare i conti nel caso migliore.
Assumiamo che per il proprio lavoro si ricevano 1.000 crediti all’anno lordi, con una soglia di povertà stabilita arbitrariamente a 200 crediti annui (1).
Ogni anno, oltre alle tasse, si versa il 10% del lordo (cioè 100) che viene accumulato per la pensione. Dopo 40 anni una persona accumula quindi 40 x 100 = 4.000 crediti, che restituiti in 20 anni fanno 200 crediti l’anno, cioè esattamente il limite della soglia di povertà.
Prime considerazioni
Per rimpolpare la pensione assumiamo che si riesca ad investire le quote anno per anno e rivalutarle dell’1% annuo in maniera costante: cioè i 100 crediti versati il primo anno diventano 101 nel secondo, poi 101 * (1,01) e così via (2). Un rapido calcolo fornisce un rendimento massimo di circa 50 (3), cioé questi 100 sono diventati 150 nel caso migliore.
Ovviamente i 100 versati il secondo anno verranno investiti solo per 39 anni, quindi renderanno un po’ meno, e quelli versati il 40esimo anno non verranno investiti. In media quindi il rendimento di tutti i versamenti è del 25%, sempre nel caso migliore.
Alla fine dei 40 anni di contributi avremo: 40 anni x 100 crediti x 1,25 rendimento = 5.000 crediti investiti e rivalutati, che vanno restituiti in 20 anni, cioè 250 crediti ogni anno. Sempre poco.
Prime conclusioni e nuovi aggiustamenti
Cominciamo quindi ad estrarre dei fatti interessanti:
Versando poco, si otterrà poco.
You don’t say?
Il risultato è sicuramente basso rispetto all’introito annuo di 1.000, e poco sopra la soglia di povertà di 200. Pero’ è tutto quello che una persona ha versato, e viene restituito in toto perché siamo in un caso ideale.
Poniamo che la pensione accettabile (sempre lorda) sia di 500, cioé la metà dell’introito da lavoro: è comunque il doppio di quanto spetterebbe al pensionato usando il versato rivalutato. Per arrivarci ci sono due strade:
- Si raddoppia il versamento annuo, cioè 200 crediti invece di 100. In questo caso, il problema è risolto: ognuno accumula di suo abbastanza da ricevere 500 ogni anno per 20 anni.
- Si usano i versamenti di chi attualmente lavora per pagare le pensioni attuali: in questo caso, un pensionato riceve 250 dai suoi versamenti accumulati e rivalutati, e altri 250 da versamenti altrui.
Poichè nell’ipotesi A il problema è risolto (you don’t say?), consideriamo l’ipotesi B: assumendo che tutti i lavoratori abbiano lo stesso introito che aveva il pensionato, cioé 1.000 crediti annui, serviranno quindi almeno 3 persone per pagarlo, che gli anticipino ciascuno 83 crediti (83 crediti x 3 = 249) dei loro versamenti.
Questo vuol dire che per 20 anni solo il 17% dei loro versamenti verrà capitalizzato, quindi le loro pensioni arriveranno a un rendimento più basso.
Ciascuno dei tre dovrà quindi a sua volta ricevere soldi da altri, che saranno più di tre – dovendo coprire non solo la differenza tra il versato e la pensione accettabile, ma anche quello che è stato usato per dare una pensione accettabile ad un altro.
È quindi un effetto valanga che peggiora la situazione ogni 20 anni.
Altre conclusioni
Altro fatto interessante: servono N persone in più per pagare una pensione accettabile che non arrivi dai propri versamenti. Si parte con N = 3 e poi si aumenta ogni 20 anni. (5)
Si noti come nel caso B si sia fatta l’ipotesi che i soldi da versare ai pensionati arrivino da altri versamenti pensionistici. Si può generalizzare al caso in cui questi soldi arrivino in altro modo, che in maniera molto generale significa tributi.
Si noti un fatto interessante: pagare chi è arrivato prima (in questo caso, in pensione) con i soldi di chi arriva dopo (in questo caso, chi sta lavorando) è il modello di funzionamento della schema Ponzi. Si lascia il giudizio (fattuale, mi raccomando) su come finisce questo modo di operare come facile esercizio.
Dettagli
In realtà quanto sopra già succede in Italia, dove oltre al 10% versato dal contribuente, c’è almeno un altro 20% versato dal datore di lavoro. Per il pensionato è cosa buona: con i conti dell’esempio si arriverebbe ad una pensione annua di 750 crediti annui. Il problema è che si tratta sempre di togliere risorse al presente: che non le sborsi l’ente pensionistico è un dettaglio.
Vuol dire che invece di togliere soldi da chi andrà in pensione dopo di me, potrei costringere chi mi sta pagando a non prendere un’altra persona adesso, perché dovrebbe finanziare anche la mia pensione (6). Quindi, in un certo senso, anche peggio, visto che in generale ci potrebbero essere meno persone a pagare ogni pensione.
Possiamo desumere quindi il fatto che
Pagare il proprio presente con il futuro altrui è una cattiva idea già nel breve periodo, figurarsi nel lungo.
Può sembrare controintuitivo, perché quando si fa un investimento ci si aspetta appunto di ricevere indietro l’investimento in futuro, e chi versa per la pensione “investe” in una rendita futura. Il punto chiave qui però è il “proprio presente” contrapposto al “futuro altrui”: finché i soldi investiti per la propria pensione sono solo ed esclusivamente i propri, il ragionamento regge. Prendendo i soldi da altri, no.
Altri dettagli
Introduciamo un (altro) fattore di realismo: consideriamo una certa quantità di invalidi. A loro spetterà una pensione di invalidità: semplifichiamo assumendo che non possano lavorare (e versare) in nessun modo.
Assumiamo che siano una persona ogni 10 (7), e prendano 450 crediti lordi all’anno per per 60 anni, dai 20 agli 80. 450 è ragionevolmente vicino alla pensione ottimale di 500 e probabilmente sufficiente per un invalido senza necessità particolari (8).
In questo caso è giocoforza usare soldi altrui: possiamo ritornare al caso B, ovvero prendere il 77% dei versamenti dei 9 lavoratori e darlo all’invalido (9), e far ricadere a valanga questo versamento sui lavoratori successivi.
Uno dei problemi che si aggiungono è che per questi soldi non ci saranno nemmeno rivalutazioni: si pigliano e si danno ad altri direttamente.
Rovesciamo la prospettiva: facciamo che i 9 lavoratori forniscano 50 crediti a testa aggiuntivi, ovvero il 5% del loro lordo annuo, su un fondo separato. In questo caso i lavoratori mantengono i loro versamenti pensionistici (e quindi il rendimento della loro pensione) al prezzo di un ulteriore versamento, che però garantisce anche loro da eventuali invalidità: se in un certo periodo tutti i 10 lavorassero, quei soldi si potrebbero investire per fornire poi una pensione a chi dovesse restare invalido. Se questi versamenti venissero presi anche dalle pensioni (che ricordiamo essere lorde) i versamenti aggiuntivi dei lavoratori sarebbero inferiori.
Ulteriori considerazioni
Si nota quindi che:
Separare le pensioni di anzianità e di invalidità aumenta i versamenti immediati, ma aumenta molto di più le garanzie sia attuali che future.
In soldoni, è il caso di dirlo: invece di usare 77 crediti solo ed esclusivamente per un altro, ogni lavoratore ne versa 50 e potrebbero finire anche a lui.
Questo modo di agire ha anche l’ulteriore vantaggio della chiarezza: si sa cosa si paga e per cosa deve venire usato. Si riducono quindi le possibilità di maneggiare indebitamente soldi che servono ad altri scopi. La stessa cosa si può dimostrare per le pensioni di vecchiaia, anche questo lasciato come facile esercizio al lettore.
Conclusioni definitive
Come chiusura, identifichiamo le scelte “politiche” che non si possono evitare di fare quando si parla di pensioni. Essenzialmente sono tre:
- Quanto si paga per singola rata.
- Quante rate occorre pagare.
- Quanto si ottiene globalmente da questi pagamenti.
Per questo tipo di scelte non ci possono essere decisioni ottimali: dipende da quanto si vuole dare e a chi. Il volere dare è legato a chi decide, e in ultima istanza a chi vota per scegliere chi decide.
Anche quanto si ottiene dai pagamenti è una decisione politica: la massa di crediti accantonati deve essere investita per un lungo periodo, e la scelta di un investimento è una decisione. È politica perché tra tutti gli investimenti va valutato il rischio.
Quello che è importante capire, come si è cercato di fare in questo articolo, è che non esistono pasti gratis: avere una pensione di un certo livello impone un accantonamento di un certo livello, per un certo periodo di tempo, e con un certo grado di rischio se le condizioni cambiano. Promettere di offrire di più a meno è come sempre uno specchietto per allocchidole.
Allo stesso modo, quando sentite dire da qualcuno “la pensione me la sono sudata”, occorrerà sempre fare la distinzione: quanto è stato versato è l’effettivo sudore proprio, il resto è sudore altrui, comunque la si voglia mettere.
È ragionevole che possa esserci del sudore altrui, perché quando le condizioni cambiano nel tempo gli enti previdenziali si adattano, ma le decisioni (che come detto vengono dai votanti) possono essere lente ad arrivare, e come si è visto più si aspetta peggiori sono le condizioni future. L’importante è esserne consci. E per esserlo, basta recuperare una busta paga o chiedere un foglio di versamenti INPS.
Note
(1) non è così lontano dalla realtà: assumendo circa 500 euro mensili di soglia di povertà e uno stipendio medio netto di 1.200 euro al mese con tredicesima, abbiamo una RAL (Retribuzione Annua Lorda) intorno ai 26.000 euro contro 6.000 euro di soglia di povertà annua, cioè una RAL 4,3 volte maggiore – mentre nell’esempio 1.000 crediti sono 5 volte la soglia di povertà.
(2) il rendimento dell’1% è un caso peggiore, visto che con investimenti di massa e sul lungo periodo come quelli pensionistici si riescono ad ottenere interessi maggiori e a muovere molti soldi senza la fretta tipica di altri mercati di capitali, quindi potendo scegliere tra le opzioni migliori. Introducendo questa rivalutazione inoltre includiamo anche il caso dell’inflazione, visto che un mercato come quello dei Titoli di Stato (TdS) in genere è allineato all’inflazione: i TdS tendono ad adeguare i loro interessi per invogliare gli acquirenti.
(3) Il calcolo si può velocizzare usando la formula V = C * ( 1 + ( r / f ) ) ^ ( N * f ) dove:
V è il valore finale, C il capitale, r il tasso di interesse, f la frequenza annua, N il numero di anni. Con i valori che abbiamo il risultato è V = 100 * ( ( 1 + ( 1 / 0,01 ) ) ^ ( 40 * 1 ) )= 100 * 1,01 ^ 40 = 1,49 circa.
(4) quattro
(5) potremmo distribuire l’effetto su più persone, riducendo l’effetto sul singolo: il problema è che servirebbero sempre più lavoratori per ogni pensionato.
(6) pagando 1.000 crediti annui lordi a persona e aggiungendono 200 per la sua pensione, diventano 1.200 a persona. Se ad esempio ogni anno si può spendere in totale 6.000 crediti per il personale invece di far lavorare 6 persone (6 x 1.000), se ne potranno assumere al massimo 5 (5 x 1.200). Per di più ci saranno 5 x 200 = 1.000 crediti che NON appaiono nel lordo di NESSUNA busta paga: questo dovrebbe far riflettere sulla pressione che si esercita sulle aziende italiane quando si assume qualcuno, a qualsiasi titolo. Ma è meglio non divagare.
(7) ci siamo messi in un caso peggiore: l’ISTAT distingue tra pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento, per percentuali molto inferiori rispetto alla popolazione totale. Ovviamente le percentuali salgono rispetto alla percentuale di popolazione lavoratrice.
(8) ovviamente necessità particolari aumentano i costi, ma ci si sposta sulla sanità e sui costi per la comunità, come sedie a rotelle, scivoli e supporti, ecc. In un modello così semplice, si possono trascurare.
(9) per dare 450 crediti all’anno per 60 anni a una persona occorre accumularne 450 x 60 = 27.000, cioè 3.000 per ciascuno dei 9 lavoratori, nell’arco di 40 anni (la loro vita lavorativa), cioè circa 77 crediti annui a testa, quando un lavoratore ne versa 100 all’anno per la pensione.