Nel 1915, Albert Einstein sviluppò e rese pubbliche le sue equazioni di campo, punta di diamante della teoria della relatività generale. Equazioni destinate a dare vita alla cosmologia come materia scientifica. Ecco, se cercate una ricorrenza nerd – di quelle serie – da festeggiare nel 2015, potete alzare i calici alla curvatura dello spaziotempo!

Queste equazioni hanno permesso di gettare basi scientifiche per i grandi quesiti che tutti prima o poi ci poniamo, mettendoli su un piano fisico: quando e come è nato l’Universo? Come è cambiato nel corso dei millenni? Qual è la sua forma esatta?

Hawking, da buon teorico, studia e pensa tutto ciò che può accadere nell’Universo.

Stephen Hawking, il grande e famoso astrofisico e cosmologo inglese divenuto icona pop, è sempre stato attratto dallo studio dell’Universo.

Einstein è uno dei suoi modelli di vita e di carriera accademica e, non a caso, il suo lavoro si basa proprio sulle fondamenta gettate dal suo illustre predecessore, a partire dalla teoria della relatività generale.

Hawking, da buon teorico, studia e pensa tutto ciò che può accadere nell’Universo: dai fenomeni più semplici (si fa per dire) a quelli più complessi e paradossali. Alcuni di loro sono ancora oggi materia di dibattito nella comunità scientifica.

 

 

Vediamo alcuni concetti specifici dell’attività del buon Stephen: spero di esporli nel modo migliore, basandomi sui suoi scritti e pur non essendo un fisico di chiara fama… LOL

“Ti presento la singolarità”

A Hawking dobbiamo lo sviluppo dell’affascinante concetto di singolarità, che prende le mosse proprio da quanto detto sulla relatività da parte di Einstein. Che cosa significa singolarità? Si intende un punto dello spaziotempo in cui il campo gravitazionale (materia ed energia) ha un valore che tende all’infinito.

Ma c’è di più: secondo una nota teoria dello scienziato inglese, l’Universo ha avuto origine proprio da una singolarità. Secondo questa teoria, il verificarsi delle condizioni di singolarità rendono la relatività generale non più valida.

Ma non è tutto: la singolarità è anche centro nevralgico di un altro grande oggetto di speculazione teorica elaborato a suo tempo da Einstein, ovvero i buchi neri, che sono stati – e ancora oggi sono – uno dei motivi a cui deve gran parte della sua fama Stephen Hawking. Sigla!

 

 

La teoria vuole che i buchi neri abbiano origine dal collasso gravitazionale che avviene ad una stella quando muore.

Dunque, vediamo di capire un po’ meglio che cosa sono questi famosi buchi neri. Sono zone dello spaziotempo il cui campo gravitazionale è così forte che non permette a nulla di uscire, neppure alla luce con la sua proverbiale velocità: insomma, qualunque cosa superi il cosiddetto orizzonte degli eventi del buco nero, non ne esce più.

La teoria vuole che i buchi neri abbiano origine dal collasso gravitazionale che avviene ad una stella quando muore, fenomeno che non si verifica spesso ma che non è neppure particolarmente raro: è opinione comune che esista, tanto per fare un esempio, un buco nero con una massa più grande di circa mille miliardi di volte quella del Sole, più o meno al centro della Via Lattea. Vi sentite un po’ più piccini, adesso, vero?

orizzonte-eventi

Inghiottendo la luce, è abbastanza facile capire perché vengano definiti “neri“; in modo altrettanto chiaro possiamo comprendere che non si possano vedere direttamente.

Dunque, come si fa a studiarli? Ci si gira letteralmente intorno, andando a vedere cosa succede nelle vicinanze del loro orizzonte degli eventi. Hawking ha dunque perseguito la strada della teoria per affrontare e studiare questi fenomeni, e in particolare per giustificarne l’esistenza sulla base delle leggi della fisica.

 

 

Il cosmologo inglese ha elaborato diverse previsioni, una delle quali consiste nell’idea che un buco nero possa evaporare: un concetto noto come radiazione di Hawking.

Come avviene il fattaccio? In maniera più semplice di quanto si creda: siccome nel vuoto viaggiano particelle e antiparticelle a coppie, che nascono e muoiono in un lampo assieme, può capitare che soltanto una delle due componenti vada a finire oltre l’orizzonte degli eventi e venga risucchiata, impedendo quindi il “naturale” corso delle cose (la distruzione finale della coppia).

Queste (anti)particelle finiscono per consumare – ovviamente in tempi mooolto lunghi – la massa del buco nero, che dopo qualche miliarduccio di anni può finire per – puf! – sparire dall’Universo. Non prima però di aver dato vita a un bel botto.

 

"Che non si dica che non so dare spettacolo, ragazzi"

“Che non si dica che non so dare spettacolo, ragazzi”

 

Ci sono poi i paradossi che derivano da simili ragionamenti. Uno dei queli deriva direttamente da una delle principali teorie di Hawking, la termodinamica dei buchi neri.

Dunque, se i buchi neri – non tutti, ma quasi – tendono ad evaporare alla fine della loro esistenza esplodendo, la materia che contengono con tutte le sue informazioni dove va a finire? Questo, in estrema sintesi e semplificazione, è il cosiddetto paradosso dell’informazione, su cui si è dibattuto e scritto molto. For the lulz, nel campo del dibattito sui paradossi, c’è il caso delle scommesse che Hawking ha fatto con altri fisici come Leonard Susskind, uno dei padri della teoria delle stringhe, dispute che hanno generato a loro volta non solo nuove speculazioni intellettuali e opere letterarie, ma anche altre vere e proprie ipotesi sull’Universo (vedi il principio olografico)

C’è poi, a questo proposito, da chiarire un punto particolarmente significativo: due delle più importanti teorie elaborate nell’epoca contemporanea, quella della relatività e quella della meccanica quantistica, sono praticamente incompatibili.

La sfida dei teorici come Hawking è stata quella di tentare di superare questo scoglio fisico attraverso l’elaborazione di teorie ulteriori come quella dei loop quantistici e delle stringhe. Anche se, data l’impossibilità di poter provare empiricamente l’una o l’altra, non possiamo sapere se ci sono dei criteri oggettivi per poterle ritenere esatte e infallibili.

E arriviamo a – rullo di tamburi – la Teoria del Tutto

Arriviamo alla bellissima espressione (anche se un po’ generica) che dà il titolo al film ispirato alla vita di Stephen Hawking: La Teoria del Tutto.

Una sorta di chimera inseguita da decenni dalla comunità scientifica, una teoria talmente generale da abbracciare ogni processo naturale, permettere di calcolarlo su basi verificate e prevedere l’evoluzione dell’Universo.

In parole ancora più chiare, si potrebbe capire, sulla base di ciò che già adesso sappiamo, il passato e il futuro di questo “tutto” che ci circonda ai livelli più alti e infiniti semplicemente attraverso la risoluzione di equazioni. Hawking, in particolare, si è sempre detto sicuro di una possibile concordia tra le varie teorie attualmente fondamentali anche se al momento quella che sembra andare più vicina a fornire risposte in questa direzione è la teoria delle stringhe.

 

 

Prima di concludere, una doverosa postilla sui buchi neri, dato che recentemente – agli inizi del 2014 – Stephen Hawking ha dato una “scossa” all’ambiente facendo un presunto dietrofront prontamente frainteso da quasi tutte le testate di informazione generaliste (con titoli del tipo: “Hawking ci ripensa, i buchi neri non esistono!!1!!1!” WTF?).

Siccome esistono due cose distinte che si chiamano piano fisico e piano matematico dei ragionamenti, meglio fare un po’ di chiarezza.

L’origine dal casino, manco a dirlo, è il benedetto orizzonte degli eventi che tutto inghiotte e niente lascia andare mai… ma davvero “mai”? Essendo un concetto matematico dello spazio-tempo, c’è un altro termine che gli si applica in fisica, “orizzonte apparente”: qualcosa che ha comunque una durata che prevede una fine, una proprietà indispensabile per imbastire calcoli e ragionamenti. Una distinzione più che altro lessicale che ha senso solo a livello accademico.

Quando Hawking ha detto una cosa del tipo “Senza orizzonte degli eventi non ci sono buchi neri, ovvero non esistono condizioni per la quali la luce rimanga intrappolata per sempre”, si riferiva all’impossibilità di stabilire quali e quanti buchi neri reali e/o apparenti (non è che si può andare lì a vedere se hanno o meno la capacità di trattenere all’infinito tutto quello che inghiottono, no?) esistano nel nostro Universo.