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Stephen Hawking: la vita, l’Universo e… la Teoria del Tutto

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Se fosse una favola, o magari un libro fantasy, il racconto della vita di Stephen Hawking potrebbe iniziare con qualcosa del tipo “C’era una profezia sulla nascita di un bambino speciale, che sarebbe venuto al mondo 300 anni dopo la morte del grande Galileo Galilei…

Proprio così. L’8 gennaio del 1942, a tre secoli esatti dal giorno della morte del famoso e coraggioso matematico, fisico e astronomo italiano, vide la luce nella città inglese di Oxford un’altra mente destinata a viaggiare tra le stelle ed espandere i confini della conoscenza umana.

Stephen Hawking è oggi un’icona, un personaggio accostabile ad Albert Einstein quanto a riconoscibilità.

Stephen Hawking è oggi un’icona, un personaggio accostabile ad Albert Einstein quanto a riconoscibilità oltre i limiti del “ristretto” mondo accademico-scientifico. Un individuo speciale, con una vita non per niente oggetto di libri e film e una mente incredibile, capace di spaziare dalla cattedra lucasiana di matematica che fu di Isaac Newton a Cambridge alla partecipazione a telefilm di fantascienza, dallo scrivere libri con audaci teorie sull’universo e i buchi neri a cantare i Monty Python senza problemi.

 

 

Questo grazie ad una personalità che lo ha reso capace di superare molteplici ostacoli, primo fra tutti quello della malattia che gli ha tolto il controllo sui muscoli del corpo, la voce e la capacità di essere autosufficiente: la malattia del motoneurone, ma si tratta di qualcosa che ancora oggi non si riesce a definire con esattezza, dato che la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) diagnosticata quando aveva 21 anni non “aderisce” alla condizione che vive e sta vivendo. Ed al suo essere ancora in vita mentre scrivo queste righe, nel 2015, a oltre 70 anni, felice e soddisfatto del film hollywoodiano basato sulla sua vita, La Teoria del Tutto.

La storia di Stephen Hawking può continuare con il più classico degli stereotipi, quello del bambino “intelligente ma che non si applica“. Ma, a differenza di me e (forse) di te, quando poi ha deciso di applicarsi… beh, è storia.
Possiamo consolarci pensando che possiamo inserire questo fatto tra gli aneddoti da raccontare ai nostri figli. Hawking da piccolo non era per niente un genio e anzi, forse distratto dall’osservazione del mondo circostante, a scuola prendeva voti piuttosto bassi.

Fin dai primi anni di scuola si era guadagnato il soprannome di “Einstein”

Probabilmente, da buoni genitori nerd, diremo ai nostri figli questo, invece del classico e giustificatorio “Beh, persino Einstein è stato bocciato in matematica!”.
Comunque, tranquillo: il giovane Stephen a 9 anni non era forse ancora il brillante scienziato che conosciamo, ma riuscì a rimediare in tutte le materie riportandosi nella media. Era bravissimo a smontare e studiare oggetti elettronici, un po’ meno a riassemblarli, e quanto ai numeri riusciva a stupire tutti con le sue capacità di elaborazione. Non per niente, fin dai primi anni di scuola si era guadagnato il soprannome di “Einstein”, pur non essendo il classico secchione.

E può stupirti sapere che, una volta entrato ad Oxford, accanto all’attività sui libri incessante e meticolosa affiancava quella di… canottaggio. Un classico sport per il prestigioso istituto inglese, un po’ meno “classico”, come modo per passare il tempo, per un tipo che non sembra tagliato esattamente per fare la differenza in mezzo ad altri nerboruti vogatori. E infatti, il posto di Hawking era nientemeno che al timone delle imbarcazioni: un’attività che lo fece integrare anche al di fuori dell’ambiente del “laboratorio”.

 

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Nel 1965 i medici che diagnosticano la sua malattia gli danno due anni di vita.

La storia della sua malattia è decisamente nota: a 21 anni, poco tempo dopo aver conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie e braccio destro in tutte le imprese, Jane Wilde, Stephen vede aggravarsi alcuni preoccupanti sintomi che si trascinava addosso, in modo strisciante, da qualche anno. Si muove in modo scoordinato, le sue mani tremano, spesso inciampa. Dietro le insistenze del padre, decide di sottoporsi ad analisi approfondite. I medici gli danno due anni di vita. Lui non si arrende, tutt’altro: sposa Jane, prosegue le sue ricerche, elabora teorie sull’evoluzione dell’Universo. Gli anni passano e lui non molla: perde l’uso delle gambe, delle braccia, di tutto il corpo, anche la voce. Trova, grazie all’interessamento e all’aiuto di parenti, amici e ammiratori di ogni settore professionale, sempre una soluzione e nuovi stimoli. Diventa padre di tre figli. Si trasforma in autore letterario di libri scientifici che riscuotono sorprendentemente un successo planetario. Diventa una delle personalità viventi più conosciute, apprezzate, premiate e stimate del mondo.

La sua vita è davvero degna di un romanzo (e film)

La sua vita, raccontata nel libro della moglie Jane che poi ha dato vita al film che ha fruttato l’Oscar all’attore che lo interpreta, Eddie Redmayne, sembra davvero un romanzo. Non c’è da stupirsi che La Teoria del Tutto si concentri più sul suo versante privato che su quello professionale: la stessa Jane ha dichiarato di essersi innamorata di Stephen e di averlo voluto sposare, dopo la scoperta della malattia, perché la sua personalità indipendente e forte e la sua ironia, unita a una grande voglia di vita, lo rendono unico.

Ma non sono state tutte rose e fiori: il lavoro di Hawking, gli impegni, la difficile routine quotidiana minarono il rapporto. Il professore ha sposato poi la sua infermiera, salvo poi divorziare anche da lei dopo 11 anni.

 

 

Lui stesso e i suoi colleghi di una vita hanno poi dichiarato, in varie sedi, che la malattia che lo ha costretto all’immobilità e gli ha reso poi difficile anche pronunciare una singola sillaba (la tracheotomia arrivò nel 1985, in seguito alle complicazioni di una polmonite) ha probabilmente contribuito alle sue capacità intellettive e immaginative. Incapace di muovere le mani e di camminare, Stephen ha dovuto concentrarsi solo sui suoi pensieri e sull’esplorazione dei confini dell’universo sviluppando un pensiero affilato come un rasoio: una maledizione che si è tramutata in un’opportunità, forse un assurdo scherzo di quel caos dell’Universo che tanto apprezza. Hawking non è un credente, com’è abbastanza logico.

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A 65 anni, si è pure concesso il lusso di farsi un viaggetto a gravità zero, liberandosi per la prima volta della sua leggendaria sedia tecnologica che gli permette di muoversi e comunicare. Con l’aereo della Zero Gravity Corp, che con una veloce discesa riesce a simulare l’assenza di gravità per circa 30 secondi, Hawking ha potuto vivere un’esperienza grandiosa e liberatoria: nell’occasione, ha dichiarato di supportare con convinzione i progetti di viaggio spaziale ai fini dell’esplorazione di mondi diversi, anche nell’ottica della sopravvivenza del genere umano. Che, si sa, non è molto bravo a prendersi cura del pianeta che gli ha dato la vita.

bof-hawkingQualche numero meno matematico, meno riferito all’espansione dell’Universo ma certamente più concreto, soprattutto per le tasche del suo autore, arriva nel 1988 dall’opera seminale “A brief history of time“, ovvero “Dal big bang ai buchi neri. Breve Storia del Tempo“. Un libro che, nella forma ostica del saggio che potrebbe spaventare molti lettori, è riuscito a seguire l’attitudine di Hawking di abbattere le barriere, e ha venduto la bellezza di circa 10 milioni di copie fino ad oggi, rimanendo nella classifica dei bestseller del New York Times per la bellezza di quattro anni.
Nelle prime righe ho citato non a caso tre autori che hanno segnato in qualche modo la vita di Stephen, e che lui stesso spesso nomina: in questa sua opera letteraria che ormai è consegnata alla storia ha deciso di rendere loro omaggio esplicitamente. La sua “trinità laica” è formata da Galileo Galilei, Isaac Newton e Albert Einstein: tre menti spettacolari che a suo dire rappresentano la punta di diamante nella rivoluzione dell’approccio scientifico, non solo sotto il profilo teorico ma anche divulgativo.

Qualche dettaglio sulla sua vita un po’ più strampalato?

Beh, ti piacerà sapere che per il suo sessantesimo compleanno si è “regalato” la partecipazione alla festa di una sosia di Marilyn Monroe (chissà se è uscita da una torta gigante cantando “happy birthday, Mr. Professor…”). Il nostro è infatti un grande appassionato della burrosa attrice cult di Hollywood e, per esteso, di belle donne. Qualche tabloid riporta anche che sarebbe stato visto più volte – beh, uno come lui mica passa inosservato – in qualche strip club di Londra e, dall’altra parte dell’oceano, della California. Insomma, essere un genio non vuol dire mica non apprezzare le tette?

E’ un fan di Doctor Who e di Star Trek, e c’è da notare che per quanto riguarda la saga creata da Gene Roddenberry mi sembra proprio che sia l’unica persona vivente ad aver interpretato se stesso all’interno di un episodio (per i non cultori: è “Descent“, ultimo episodio della stagione 6 di The Next Generation). Guarda caso, gioca a carte con Newton, Einstein e… Data. Chissà se Galileo aveva impegni, quella sera.

 

 

Per il resto, la sua figura è riconosciuta e riconoscibile anche e soprattutto attraverso l’opera di inclusione in prodotti tv, musicali e crossmediali che molti artisti gli hanno tributato: Matt Groening con i Simpson, con tanto di action figure in versione “gialla”, Big Bang Theory e le paturnie di Sheldon in un memorabile episodio, i Pink Floyd con il brano Keep Talking nell’album The Division Bell (recentemente ripresa anche nell’ultimo The Endless River) e gli Yes nella canzone “Real Love“.

Una delle battute più sapide scaturite dal suo notorio senso dell’umorismo risale al 2008 quando, invitato sul palco del cinquantesimo anniversario della NASA, ha parlato della possibilità dell’esistenza della vita aliena (che non esclude affatto, anzi). “Le forme di vita primitive sono molto comuni, quelle intelligenti molto rare. Qualcuno direbbe che devono ancora comparire sulla Terra”. Già, ma la sua stessa esistenza confuta questa battuta: e poi, finché avremo dalla nostra parte uno come Stephen Hawking, non abbiamo da temere troppo qualche “concorrenza” di intelligenze aliene. O almeno si spera, LOL.

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