Volenti o nolenti le case di sviluppo di videogiochi si sono da sempre dovute adattare ad un settore commerciale in continua evoluzione, vedendosi costrette ad offrire giochi a prezzi ridicolmente bassi, o ad addirittura regalarli, per potere contrastare fenomeni sempre più diffusi che ne vanno a minare l’ottimizzazione dei profitti.
Su tutte primeggia la pirateria, principalmente su PC, che è sempre più inarrestabile, che viene affrontata con modi innovativi ma inefficaci, nonostante potrebbero esserci meccanismi intelligenti per arginarla (ma ne parleremo in altra sede), e come se non bastasse a questa si accoda la piaga dei videogiochi usati, grande vantaggio a livello consumer ma completa perdita per la software house.
Ricordiamo che una software house, giustamente, ha come maggior interesse quello del guadagno, come ogni singola azienda nel mondo.
Quindi smettiamola subito di lamentarci se ogni scelta è votata a questo.
Per ovviare a questi problemi, o quanto meno al secondo, negli ultimi anni abbiamo avuto la nascita dei tanto detestati DLC, tramite cui vengono proposti contenuti aggiuntivi al gioco standard al fine di potere guadagnare maggiormente su chi compra il titolo brand new, sia di potere incamerare guadagni anche su chi compra il titolo usato. Non che questi giustifichi il meccanismo, sia ben chiaro, ma almeno lo mette sotto una luce leggermente diversa.
Poi, come se fosse il primo della classe, qualcuno si è inventato un’altra idea per guadagnare indipendentemente dall’usato, dal gioco regalato, e non solo, anche dall’acquisto del gioco stesso, unendo gioco fisico a gioco virtuale.
In principio era Skylanders
L’apripista per questo nuovo modo di intendere il videogioco non era nuovo al settore, anzi, era dai tempi della PSOne che razzolava nel mondo delle console, più precisamente dal 1998.
Stiamo parlando del piccolo drago dalle tinte viola Spyro.
Il draghetto, creato da Insomniac (quelli di Ratchet & Clank) ne ha viste parecchie in tutta la sua vita, a partire da 2 completi reboot della serie, compreso l’ultimo Skylanders, e ben 17 titoli (13 classici + 4 Skylanders) sviluppati per diverse piattaforme.
Alla software house “Toys for Bob” fu data nel 2009 l’opportunità di in infondere nuova linfa vitale ad un franchise Vivendi (a questi era stato venduto nel post-Insomniac) a scelta, e la loro scelta cadde proprio su “Spyro the Dragon”.
Il CEO di Toys for Bob, Paul Reiche III, sapeva che questa operazione non avrebbe avuto garanzie di successo, ma era determinato a provarci, cercando di dare una nuova direzione al franchise.
Nacque così il prototipo chiamato Spyro’s Kingdom che vedeva il gioco prendere una svolta matura e più oscura, con l’introduzione del sangue ed altri elementi non propriamente per bambini. Il team di sviluppo non ne era entusiasta, perché la direzione presa gli sembrava poco “Spyro”, e persero circa sei mesi ad esplorare altre possibili soluzioni.
l’illuminazione.
Poi arrivò l’illuminazione. Il gioco era per bambini, ma non gli stessi del 1998, ma i nuovi del 2009, che non avevano alcun tipo di conoscenza su Spyro o sui personaggi del suo universo, quindi perché non cambiare radicalmente tutto, introducendo nuovi personaggi e cambiando le meccaniche di gioco? Reiche stesso stava da parecchio tempo accarezzando l’idea di integrare la tecnologia con i giocattoli, e fu proprio a partire da questa idea che il team decise la nuova direzione da prendere.
L’idea è alquanto “semplice” per fare funzionare il gioco con i giocattoli, ogni base di uno Skylander contiene un chip RFID che comunica in modo wireless con un “portale” che comunica al gioco quale action figure è attualmente attiva.
La memoria, seppur limitata, del chip permette anche la memorizzazione di statistiche come l’oro accumulato, il livello e gli upgrade ottenuti durante il gioco.
Dato l’utilizzo degli RFID i giocattoli sono anche portabili da una piattaforma all’altra, mantenendo le loro statistiche, permettendo così ai giocatori di usare i loro personaggi anche in altre partite.
Non sta a me dire se questa sia una vera e propria gallina dalle uova d’oro, ma gli skylander vengono venduti a profusione,e a fronte di una spesa standard per il gioco + base (sui 50 euro con base e personaggi qui) si aggiunge un esborso di altrettanti euro per avere altri personaggi in aggiunta, anche se queste risultano le statuette a più buon mercato se paragonate alle altre (3 costano circa 24 euro).
- Skylanders Trap Team Starter Pack (amazon.it)
Il gioco in se per se non l’ho mai provato, quindi mi rimetto al vostro insindacabile giudizio per farmi un’idea.
Le mini-fig (passatemi il termine da lego addicted) sono curate e piacevoli, ma non propriamente da esposizione. Insomma, si vede bene che sono dei giocattoli, e va benissimo così, sia chiaro.
Disney Infinity
Siccome si sa “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano” l’idea lanciata con Spyro è piaciuta a più di una persona e quindi sono partite le variazioni sul tema, principalmente due, con due identità ben distinte fra loro e dal capostipite.
Chi non poteva stare con le mani in mano, anche in virtù della miriade di personaggi di cui oramai sono padroni e possessori è stata la Disney.
Grazie ad Avalanche Software nel 2010 Disney annunciò il titolo Disney Infinity, che si è da subito proposto come una alternativa a Skylanders, ma con specifici elementi che lo contraddistinguono, a partire dalle sue due modalità di gioco principali, ossia “Toy Box” e “Play Set”, che sono disponibili da subito con l’acquisto di un starter set (a poco più di 20 euro qui) insieme alla “infinity base” contenente tre slot per leggere le statuette.
In questo caso le statuette contengono sempre un chip RFID, che però non salva alcun tipo ti informazione.
Le due modalità di gioco principali sono radicalmente diverse fra loro; nella prima, denominata “Play Set”, oltre alle statuette dei personaggi è necessario possederne una specifica per il “mondo di gioco” tipicamente trasparente.
Tramite questa è possibile accedere a vere e proprie missioni, che però hanno dei vincoli specifici per i personaggi utilizzabili.
Ecco quindi che avremo il play-set dei Guardiani della Galassia, di Monsters University o di Toy Story, all’interno dei quali potranno essere utilizzate solo determinate statuette, e che offriranno una storia (parecchio scialba) da portare a termine.
Di tutt’altra pasta è invece la modalità Toy Box, che è come un Minecraft o Little Big Planet per i giocatori.
L’utente può infatti creare livelli ad hoc di diverso tipo, dai più semplici ai più elaborati, per poi fare interagire al loro interno contemporaneamente tutti i possibili giocattoli che si sono acquistati.
Ecco quindi che vederemo Aladdin fare team up con Iron Man o Rocket Raccon fare team-up con Wreck-It Ralph. Nel 2014 ne è stata lanciata, fra le altre cose, la versione 2.0 che permette di creare livelli su generi specifici di giochi, come tower defence, racing game e via discorrendo.
Sebbene le modalità di gioco possano alla lunga annoiare (almeno di non essere un bambino dai 6 ai 10 anni) quello che risalta e che fa urlare in modo forsennato il nerd in ognuno di noi in Disney Infinity sono le singole statuette (che costano sui 12 euro).
Pur non possedendo direttamente il gioco sono stato tentato più e più volte di acquistarne un paio, solo per metterle in bella mostra. Sono fatte in PVC, hanno un design che mi fa andare giù di testa e sono curatissime nei particolari. Insomma, sono dannatamente belle, e non sfigurerebbero esposte su di una mensola in bella vista.
Quindi Disney propone una idea innovativa, cercando di variare da Skylanders, con un approccio più orientato ai contenuti generati dagli utenti piuttosto che offrire pacchetti storia pre-determinati, eppure c’è anche un terzo approccio, forse più rischioso, ma che alla lunga potrebbe essere quello vincente.
- Disney Infinity 2 (amazon.it)
Nintendo Amiibo
La grande N, da sempre innovatrice per quanto riguarda tutto ciò che riguarda gadget, controller, hardware non poteva stare in un angolo a guardare, ma voleva anche lei la sua fetta di mercato.
La già citata “Toys for Bob” inizialmente aveva rilasciato Skylanders solo per Wii, per poi aprirsi a più piattaforme una volta che l’accordo di esclusività con Nintendo era sfumato a causa del rifiuto di quest’ultima. Non si sapeva bene il motivo per cui Nintendo avesse rifiutato una partnership così interessante, ma era certo che qualcosa bolliva nella pentola della casa di Kyoto.
In particolare l’idea che voleva essere proposta era quella di avere sì dei giocattoli dotati di NFC, ma di non relegarli ad un solo e specifico gioco.
Forte delle sue esclusive da sempre solo disponibili sulle loro piattaforme e del notevole numero di personaggi originali di cui detengono la licenza Nintendo decide quindi di sviluppare un proprio protocollo di comunicazione, denominato Amiibo, funzionante su WiiU e 3DS/new 3DS; il tutto viene presentato all’E3 2014, e la prima ondata di prodotti, poi chiamati semplicemente Amiibo essi stessi, invade gli scaffali dei negozi a Novembre 2014.
Neanche a dirlo il pubblico giapponese impazzisce e questi primi Amiibo vanno assolutamente a ruba, alcuni presentano persino dei difetti di fabbricazione, e vengono rivenduti su e-bay a cifre imbarazzanti (2500$ per la statuetta di Samus con due arm-cannon al posto di uno per dire).
Inizialmente le action-figure funzionano solo ed esclusivamente su WiiU, e il supporto per le console portatili arriva solamente a fine anno.
In Italia, dove Wii U non ha avuto lo stesso successo che ha avuto in Gappone, gli Amiibo non sono andati così tanto a ruba, tanto che si riescono a trovare nei negozi ancora quelli più rari della prima serie (ossia Villager, Math e Wii Fit Trainer) che in giappone e in USA sono davvero introvabili.
Lo scarso successo si può anche imputare al fatto che il loro utilizzo nei giochi Nintendo è davvero ancora troppo risicato, infatti sono davvero pochi i giochi che utilizzano gli Amiibo in modo interessante e questo principalmente per due motivi:
- Sono stati presentati in concomitanza con Smash Bros Wii U, tramite cui si possono utilizzare esattamente come gli Skylanders, quindi la pletora di personaggi disponibili in realtà sono presenti solo in quel gioco, perché difficilmente vedremo altri giochi con Sheik, Little Mac o Samus.
- Quei pochi che possono interagire anche con altri titoli per adesso non aggiungono un granché all’esperienza di gioco, ma se non altro il futuro sembra essere promettente (Mario Party, il nuovo Zelda su tutti).
Fortunatamente le statuette sono già un oggetto di culto, e sono davvero ben fatte e ben realizzate, anche queste cone una cura nei dettagli notevole.
Personalmente preferisco il character design di Disney infinity, ma anche queste sono un bel gioiellino da esporre senza vergogna sulle nostre mensole nerd, anche se il prezzo è di quelli più elevati visti fino ad ora, infatti si attestano attorno ai 15 euro (sempre qui).
- Nintendo Amiibo (amazon.it)
Concludendo
Per tirare le somme l’idea di Nintendo sembra quella più valida, ma attualmente, al di la del valore collezionistico intrinseco degli Amiibo, è quella che convince di meno probabilmente perché non essendo fatti per un titolo specifico, ancora non si è visto un gioco che li sfrutti in modo degno o innovativo.
Insomma, tre approcci diversi per la medesima idea, ma forse è ancora troppo presto per determinarne il migliore in senso assoluto.
Fatto sta che queste action figure, indipendentemente da quale prenda piede, rischiano di diventare l’ennesimo incauto acquisto da nerd che non potrà essere evitato.
E voi che ne pensate? Siete già addicted a qualcuna di queste?