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Come scrivere un libro dalla fine all’inizio

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Che si tratti di un post su Facebook, di un articolo sul giornale locale o del prossimo best-seller internazionale, capita a (quasi) tutti di dover scrivere qualcosa in modo coerente, efficace e interessante.

Magari può essere necessario farlo una sola volta nella vita, oppure può diventare la base di un lavoro non previsto. Non importa: l’unica cosa che conta, è farlo nel modo giusto. Le parole scritte sopravvivono molto più a lungo di quanto si creda: meglio non lasciare ai “posteri digitali” il peggio di noi…

Non sono di certo un luminare, e non posso nemmeno dire con certezza di saper scrivere bene. Ho imparato quello che so praticando. Posso però provare a dire la mia.

Ecco qui la mia personale checklist del novello scrittore contemporaneo:

 

 

Inizia dalla fine

Chiunque abbia mai provato a scrivere sa cosa vuol dire “iniziare”. La pagina bianca, solo il titolo che campeggia solitario… il file Word che pesa 3kb dentro la sua povera cartella semi deserta.

Nel mio piccolo, ho sempre risolto iniziando dalla fine.

Iniziare una storia è difficilissimo, anche se si ha ben chiaro cosa si desidera fare. Nel mio piccolo, ho sempre risolto iniziando dalla fine.

Mettiamo il caso che io abbia l’idea giusta per una storia. Un abbozzo di plot, insomma. Un tal personaggio con una certa personalità; un difficile obiettivo che immagino lui debba completare. Manca ancora tutta la trama vera e propria, ma ho momenti che mi interessano e che vorrei descrivere. Cosa faccio?

Personalmente, passo giorni a immaginare ogni minima scena dell’epilogo, ogni discorso e l’ambiente in cui si svolge. Voglio emozionarmi e voglio che accadano gli eventi proprio come desidero. Voglio che la mia storia, ancora senza un capo, abbia almeno una coda molto figa.

Apro il mio foglio vuoto di word, e scrivo la fine della mia storia.

Solo io e la fine.

Quando riesco a scrivere una fine senza il suo inizio, creo un legame fortissimo con l’opera. Nel momento in cui affronto l’inizio, so dove puntare. So dove devo andare a parare, e so esattamente cosa spero che accada, e il tono generale dell’opera.

Personalmente, iniziare in questo modo è molto più semplice. Mi obbliga a colmare il vuoto bianco che mi separa da quelle due o tre paginette dense di eventi, di facce e di drammi che ancora non hanno un contesto.

Provate, se vi trovate in difficoltà a far iniziare una storia.

 

 

Scrivere non è una passione

Tanti, tantissimi dicono che scrivere è una passione che cova dentro l’anima; un’arte che aspetta solo di sbocciare; che sentivano il bisogno di scrivere sin da bambini, e TAAC, ecco sfornata una magnifica serie di 8 libri.

Non è vero, o almeno, è vero solo per l’1% degli scrittori. Spero per voi che ci ricadiate, ma qualcosa mi dice che non sarà così.

È possibile avere una buona idea in testa, questo è innegabile. Molte persone senza volerlo possiedono già tutti gli elementi per una buona storia, semplicemente perché hanno avuto una vita interessante. Ma questo non vuol dire che sia fattibile usarla per imbastire un testo.

Quello che serve è soltanto una cosa: la dedizione più assoluta.

Non si può pensare di scrivere soltanto quando si è nel giusto “mood”. Nemmeno di poterlo fare solo nel weekend, quando si ha più tempo, oppure in determinati periodi dell’anno (durante le vacanze, ad esempio).

Quando si vuole scrivere un libro, o più d’uno, è necessario scrivere sempre.

Quando si hanno le palle girate.

Quando il tempo per farlo in realtà non c’è, e va creato.

Quando c’è la partita, oppure quando inizia la propria serie televisiva preferita.

Quando in realtà si doveva vedere la fidanzata.

Bisogna. Scrivere. sempre.

Il motivo è semplice: ciò che scriverai, farà cagare. O almeno, farà schifo gran parte del materiale. Si salverà qualche bella pensata e un paio di frasi ad effetto, o magari un intreccio ben riuscito. Ma il resto dell’opera sarà illeggibile per chiunque, compreso per te.

Non si può partire con l’idea in testa di dover scrivere TOT pagine di libro, o TOT libri. Questo perché in corso d’opera tutto cambia. L’inizio potrebbe farti ribrezzo dopo un anno, oppure potresti renderti conto che un punto nella trama fa acqua da tutte le parti. E allora bisogna ricominciare. Una volta… due volte…

Ho riscritto il mio primo libro sei volte. Il secondo tre volte. Il terzo e il quarto non ve lo dirò mai.

Ho impiegato più di dieci anni per chiudere interamente la storia che desideravo. E non parlo di anni vuoti o scarsamente utilizzati. Mi sono laureato, ho suonato in mezza Europa, ho fatto il portuale e i turni in fabbrica. Ho scritto di notte, a pranzo, durante le ferie o in convalescenza, in ogni momento disponibile. Anche quando la voglia era zero, e avrei preferito di gran lunga fare altro.

Chiunque ambisca a scrivere una storia deve dedicare tutto il suo tempo ad essa, sacrificando tutto ciò che potrebbe rubare margine alla scrittura. È accettabile soltanto mantenere un lavoro. Già una relazione sentimentale è impegnativa, e senza la giusta persona a fianco, è difficile da mantenere in piedi.

Può essere un periodo breve, ma questo dipende solo da quanto si è esigenti.

Se si pensa di avere l’idea perfetta e già le parole magicamente in testa, o si rientra nell’1%, oppure è una pia illusione. Una propria creazione funziona sempre quando si è da soli a valutarla, e la si valuta nell’esatto istante in cui è conclusa. Ma dopo un po’ di tempo, e qualche critica, si scoprirà l’amara verità: ciò che avrete scritto anche solo due anni prima, non suonerà più fresco e convincente, perché non avrete ancora raggiunto un vostro personale “top”.

Prima di creare qualcosa che piaccia almeno a voi per lunghi anni, è necessario smontare, ricomporre, cestinare, rifare tante volte.

 

 

Non innamorarti

Il primo errore che ho fatto quando ho iniziato a scrivere, è stato pensare che a qualcuno fregasse qualcosa di quello che avevo da dire.

Il primo errore che ho fatto quando ho iniziato a scrivere, è stato pensare che a qualcuno fregasse qualcosa di quello che avevo da dire.

È un ragionamento molto umano e molto sbagliato. Si ha sempre l’idea che chi ci circonda debba per forza capire tutte le nostre sottigliezze, la profondità dei nostri pensieri.

Non è vero, e non è colpa di nessuno. Una volta iniziato il percorso accidentato di scrivere un libro, è importante sapere come maneggiare la carica emotiva che si genera nel processo creativo.

È saggio parlarne il meno possibile; è ancora più saggio non raccontare la storia finché non si ha la certezza assoluta di essere arrivati a un punto in cui tale storia non sarà più rimaneggiata.

Ma così facendo, come si può migliorare?

Non condividendo con nessuno la propria opera, è anche impossibile ricevere feedback di qualsiasi tipo. Verissimo. Proprio per questo è importante “scegliere la squadra giusta”. Ognuno di noi dispone di tanti amici e parenti, ma solo pochissime fra queste possono essere persone utili per il lavoro di scrittore: devono essere persone sincere, a cui fa piacere dare una mano e che sappiano discernere una buona storia, dalla tipica storia che piace solo a chi la crea.

Provate a fare mente locale e scoprirete di avere, se siete fortunati, al massimo un paio di persone simili nella rubrica del vostro cellulare.

Ecco: con loro potete condividere quello che state facendo. Fategli leggere la prima stesura (non poche pagine, sempre qualcosa di strutturato). Chiedetegli dei commenti a caldo, e pretendete onestà su ogni passaggio. Interrogateli per scoprire se hanno colto tutti i possibili collegamenti, e le sfaccettature che avete nascosto nel testo.

Ma non pretendete da loro risposte che vi facciano piacere: è molto probabile che resterete delusi dalle loro considerazioni, soprattutto se siete alle prime armi e se l’opera in questione è ancora calda e nuova anche per voi. Preparatevi a dover cancellare gran parte degli eventi, a eliminare personaggi che amavate o intrecci che vi esaltavano.

La natura ci ha dotato di un fortissimo ego. Tutto ciò che noi facciamo, è fatto meglio ed è più interessante di quello che fanno gli altri. Solo noi sappiamo lavorare, mentre i colleghi non sanno fare un cazzo. Solo noi sappiamo guidare anche quando siamo ubriachi, sono gli altri che non dovrebbero nemmeno tentare. Se ci fossimo stati noi sul quel corner, sicuramente l’avremmo messa dentro.

Avanti così…

Uno scrittore deve abituarsi a sentirsi una merda.

E da tale merda, con la pazienza del contadino, è possibile far nascere fragole squisite. Nessuna fragola è mai nata dalla panna montata.

 

 

Gratis è bello

Bene, hai finito la tua prima opera. Sai di voler scrivere altri tre libri che completano la storia, ma per ora ti basta questo, e brami di vederlo in tutte le librerie.

Temo tu sia partito con il piede sbagliato.

Al giorno d’oggi è estremamente difficile finire “in tutte le librerie”. Questo perché l’editoria è in crisi nerissima da anni, i lettori sono in calo, le opere scritte sono in crescita, il mercato è saturo, etc.

Inoltre, l’Italia è all’ultimissimo posto nell’universo per coraggio verso nuovi autori emergenti: capita a qualcuno, per carità. Ma come dicevo prima, se si vuol puntare a essere l’1% si sta già compiendo un madornale errore.

Cosa si può fare allora?

Ci sono varie possibilità: io posso solo parlare di quella che ho scelto.

Esiste la possibilità di autopubblicarsi.

Esiste la possibilità di autopubblicarsi. Funziona, se fatto nel modo corretto. Però bisogna diventare velocemente “imprenditori di se stessi”. È necessario padroneggiare i social network, masticare marketing e non aver paura di investire. Bisogna imparare a curare un proprio sito, se non a farlo da zero. Non è sufficiente parlarne un po’ in giro, scrivere di aver creato un’opera sulla propria bacheca e aspettare che qualcosa accada.

Immaginate il pubblico potenziale del vostro libro come un flusso di persone dentro un gigantesco centro commerciale. Ci sono centinaia di vetrine sfavillanti, offerte, musica a tutto volume dagli altoparlanti e un ambiente studiato apposta per far comprare ogni cosa anche il più povero stronzo su questa terra.

Poi ci siete voi, da soli con il vostro banchetto di legno.

Per farvi sentire, dovete superare tutte le altre sirene e raggiungere il flusso.

Ci sono modi più “casinari” e altri più raffinati: per oggi, mi limiterò a descriverne solo uno, anche se sarebbe necessario metterne in campo diversi.

Il primo modo in questione è: diffondere gratis la propria opera.

Uno dirà: perché farlo allora? Come conciliare il termine “gratis” con il concetto “voglio fare lo scrittore nella vita”?

Semplice: si concilierà quando scriverete la vostra seconda opera.

La prima esigenza per uno scrittore emergente è quella di creare una base di lettori. Non dev’essere piccola; diciamo che non contano i due-trecento conoscenti facilmente raggiungibili. Dev’essere diffusa più o meno equamente nel proprio paese, nel nostro caso, l’Italia, e deve essere composta da lettori il più possibile omogenei come età, sesso e tipologia. Se sappiamo che il nostro libro potrebbe piacere alle donne giovani, è questo il pubblico che ci interessa: dovremo disporre di giovani donne in grande quantità sparse in tutta Italia, che ci amino e che parlino di noi con le amiche.

Wow, eh?

Il modo più veloce è pubblicare gratis la propria prima opera. Dev’essere curata come se fosse a pagamento, in tutto e per tutto, per cui è necessario essere disposti a investire. Ci sono varie voci di spesa da tenere in considerazione: sta poi allo scrittore-imprenditore decidere cosa sia in grado di pagare oppure no, o su cosa possa risparmiare e come. Ma c’è sempre da pagare un prezzo per qualcosa. Se non si è disposti a farlo, meglio cambiare idea e attendere di entrare nell’1%.

Quando poi parlo di opera gratis, non intendo uno specchietto per le allodole: una serie di capitoli, oppure un’opera non conclusa. Dev’essere la stessa, identica opera che avreste venduto a caro prezzo, e invece la regalate. Sembra una pazzia ma funziona.

Almeno, con me sta funzionando.

Quali canali utilizzare? Dove far uscire questo benedetto libro? Ci sono modi e modi per rendere gratis (e facilmente accessibile) un’opera: approfondiremo l’argomento alla prossima puntata.

 

 

Se non vuoi cadere, salta più in alto

Bene, hai il tuo libro editato e pronto. Hai contatti con una Start-up che può pubblicarlo, hai delle idee. Ottimo. Ora il problema passa al mercato.

Ahi, l’Italia.

Il mercato italiano è piccolo, sebbene abbia il suo peso come quantità di volumi. Non siamo certamente fra i mercati più vasti, ma ci difendiamo (a fatica). Abbiamo però un mercato orientato quasi esclusivamente al cartaceo, mentre a noi interessano prevalentemente i vantaggi del digitale.

È inevitabile che il digitale diventi, a livello globale, il futuro dell’editoria. Ci sono mille motivi validi, ed è sufficiente uno solo di essi per averne la certezza: il digitale è green. Niente alberi da tagliare. Niente inquinamento a spostare bancali di carta. Un’occasione ecologista troppo gustosa.

Uno scrittore dev’essere pronto a entrare in più mercati possibili con la propria opera, puntando ai vantaggi del digitale e cercando i paesi più avanzati in tal senso. In questo modo è possibile ottenere risultati davvero soddisfacenti.

È necessario quindi far tradurre la propria opera, e tentare.

Qui si apre un mondo: sarà l’occasione di una spiegazione a parte.

 

Fabio Scalini, autore di Mordraud.

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