La nostra intelligenza dipende solo dai neuroni o ci sono altre cellule che posson esserne corresponsabili? Un modo per scoprirlo è creare dei topi cui parte del cervello sia composto da cellule umane e vedere come si comportano.
Quando si parla di cervello, o di intelligenza, si pensa ai neuroni. Ma queste cellule non sono le uniche a mandar avanti la baracca: ci sono anche le glia, che assieme ai colleghi più famosi costituiscono il sistema nervoso centrale. Mentre i neuroni trasmettono l’informazione, il variegato ensemble delle cellule gliali bada a tutto il resto: chi si occupa di fornire nutrienti, chi di mantenere pulito lo spazio intracellulare, chi di fornire sostegno strutturale, chi di proteggere i neuroni da corpi estranei, e chi di migliorarne la conduttività. Negli ultimi anni, però, si è scoperto che un tipo di queste cellule, gli astrociti, svolge un ruolo ancora più importante.
Le nostre capacità cognitive dipendono dal lavoro dei neuroni, ma sono gli astrociti a determinare quanto bene questi funzionino
Sinapsi tripartite
Di come i neuroni si parlino tramite le sinapsi ne ho già scritto (qui), ma in realtà si dovrebbero considerare queste ultime composte da tre, e non due, elementi: i due neuroni e l’astrocita. Queste cellule presentano una notevole arborizzazione, ed ogni ramo raggiunge una sinapsi, avvolgendola.
Avviluppando l’interfaccia tra dendrite ed assone, queste glia posson regolare il pH e l’equilibrio omeostatico dell’ambiente, oltre che dialogare con i due neuroni vicini, disponendo sia di recettori di membrana che della possibilità di rilasciare neurotrasmettitori od altre molecole neurologicamente attive, regolandone la connettività, il funzionamento, la crescita od il decadimento.
Studiandone la fisiologia e l’espressione genica si è scoperto inoltre che, al pari dei neuroni, queste possono essere suddivise in varie popolazioni, con proprietà differenti a seconda delle aree cerebrali in cui si trovino ad agire.
Le straordinarie capacità di processamento cognitive umane sono il risultato di vari mutamenti avvenuti nelle cellule del suo sistema nervoso centrale nel corso della sua storia evolutiva, e vista la rilevanza degli astrociti, non stupisce che una delle particolarità del cervello adulto umano risieda nella complessità di questa componente.
Infatti il numero e la taglia di queste cellule varia da specie a specie ed aumenta con la massa cerebrale e le abilità cognitive di queste: ad esempio, il cervello umano contiene molti più astrociti, più grandi, di più tipi e circa 100 volte più ramificati di quello di un topo.
Questo significa che gli astrociti umani possono coordinare il segnale neurale in una area maggiore ed in molto più efficiente che quelli di altre specie: l’idea che quindi queste cellule svolgano un ruolo importante nelle funzioni cognitive non pare un’idea peregrina.
Visto quanto sono importanti nell’attività neuronale, cosa se mettessimo degli astrociti umani nel cervello di un topo?
Cervelli ibridi
Le equipe di S. A. Goldman e M. Nedergaard (University of Rochester Medical Center, Rochester, NY) hanno deciso di verificare se la complessità strutturale e le proprietà funzionali degli astrociti umani possano influenzare l’attività di un sistema altrimenti stabile che ne sia privo.
A tale scopo hanno iniettato nel cervello di topi neonati cellule umane progenitrici di glia (cellule che diventeranno glia, e quindi in parte astrociti) ottenendo così dei topi chimera, cioè composti da cellule geneticamente distinte. Monitorandone lo sviluppo, i ricercatori hanno osservato un progressivo diffondersi di astrociti umani in numerose strutture cerebrali.
Le cellule trapiantate si sono integrate rapidamente nell’organismo ospite, e mostrano alcuni comportamenti fisiologici che le distinguono dalle controparti murine.
Come conseguenza, le sinapsi che vengono gestite dagli astrociti umani presentano una maggiore attività ed eccitabilità, ed anche un aumentato LTP (Long Term Potentiation), cioè un aumento a lungo termine della trasmissione del segnale tra due neuroni, un fenomeno che soggiace alla plasticità sinaptica necessaria per apprendere e memorizzare.
Queste differenze dipendono dalla origine umana degli astrociti, cioè dalle differenti composizione genetica ed espressione proteica rispetto a quelli dell’ospite: interagendo con una di queste molecole caratteristiche, ed inibendola tramite la somministrazione di talidomide, i ricercatori sono riusciti ad abbassare l’attività delle cellule umane a livello di quelle murine.
Ma a questi mutamenti sinaptici corrisponde un aumento dell’intelligenza?
Test Cognitivi
Il passo successivo è stato quindi verificare se ci fosse stato un reale miglioramento delle capacità cognitive nei topi sperimentali. In primo luogo i ricercatori hanno utilizzato due tipi di condizionamento alla paura: quello auditivo (auditory fear conditioning, AFC), dove i soggetti imparano ad associare un determinato suono ad una lieve scossa, e quello contestuale (contextual fear conditioning, CFC), dove è invece un contesto ad esservi associato.
In entrambi i casi i topi trapiantati imparano molto più velocemente dei loro controlli, ed anzi, posti in un nuovo ambiente dopo il CFC, lo riconoscon più facilmente come nuovo, e passan più tempo ad esplorarlo.
Quindi è stato impiegato il labirinto di Barnes (Barnes maze), in cui i topi debbono imparare quale, tra i numerosi buchi su di un piano, permetta loro di ripararsi dalla luce e nascondersi: come previsto, anche qui le chimere compiono meno errori ed impiegano meno tempo nel trovare l’uscita, dimostrando miglior orientamento e memoria spaziale.
Infine i soggetti sono stati sottoposti all’Object-Location Memory Task (OLT), un test che verifica l’abilità dell’animale di discriminare se un oggetto familiare sia stato spostato altrove.
I topi chimera mostrano un maggiore interesse all’oggetto spostato, cioè riconoscono che qualcosa è cambiato,
rispetto ai controlli in condizioni normali, ma sotto l’effetto del talidomide questa differenza viene persa.
Questi test esplorano le capacità apprenditive, mnestiche e discriminatorie, perlopiù legate agli aspetti emotivi (AFC e CFC) o spaziali (CFC, Barnes maze ed OLT). Le strutture cerebrali coinvolte sono diverse (principalmente amigdala nel primo caso ed ippocampo nel secondo), confermando la vasta diffusione degli astrociti trapiantati osservata analizzando i tessuti.
Nei topi chimera gli astrociti umani migliorano sia la memoria emozionale che quella spaziale
Conclusioni
Con questo studio, gli scienziati di Rochester hanno provato che la maggiore complessità degli astrociti umani conferisce anche maggiore prestazione alla rete neurale.
Testando i topi in differenti compiti di apprendimento e memoria, gli autori hanno dimostrato che la superiorità cognitiva degli uomini rispetto agli altri animali (o almeno rispetto ai roditori) è in parte dovuta alle differenze nelle loro glia.
Questo studio risponde ad una domanda, ma fornisce anche un metodo per affrontarne, e crearne, altre.
Questo lavoro apre però anche una nuova prospettiva per lo studio di molti fenomeni sia cognitivi che fisiologici ancora da chiarire: la creazione di topi chimera per glia umane è un esempio di come le cellule progenitrici (e quindi anche le staminali, ad esse simili) possano essere usate per studiare fenomeni prima impossibili da osservare.
Le coltivazioni in vitro di neuroni ed astrociti infatti sono estremamente delicate e dalla vita molto breve: la possibilità di far crescere, maturare e manipolare queste cellule, registrandone non solo gli aspetti molecolari e cellulari, ma anche quelli eventualmente cognitivi, in un ambiente fisiologicamente rilevante e per lungo tempo offre nuove possibilità di ricerca.
Questo procedimento potrebbe inoltre essere utilizzato anche per studiare alcuni meccanismi patologici trapiantando cellule prelevate dai pazienti nelle cavie, riducendo la naturale differenza fisiologica tra i modelli animali e noi.
- Do Your Glial Cells Make You Clever? – Franklyn and Bussey, 2013 (ncbi.nlm.nih.gov)
- Forebrain Engraftment by Human Glial Progenitor Cells Enhances Synaptic Plasticity and Learning in Adult Mice – Han et al., 2013 (ncbi.nlm.nih.gov)