Capitolo 7

L

Questa volta, fu tutto più semplice. L’aver scelto una ragazza che viveva all’interno del campus aveva ridotto i problemi riguardo al parcheggio e all’eventuale presenza di altre persone. I residence infatti, erano abbastanza isolati, e non ospitavano molti studenti.

L’unico ostacolo, fu procurarsi le chiavi della stanza della sua vittima. Il giorno prima, dopo le lezioni, chiese gentilmente al portinaio di controllare i computer nell’aula 215. Nel frattempo prese il passepartout e lo sostituì con un’altra tessera identica, ma non attivata. Per evitare ogni sospetto sostituì le chiavi di ogni portinaio, potendo così sostenere si trattasse di un guasto del programma nel caso qualcuno si fosse accorto di una chiave non funzionante.

Scese la notte. Mentre fissava l’orologio vedeva i secondi passare. Lo scattare delle lancette scandiva il ritmo del suo cuore. Aveva aspettato con ansia questo momento. Finalmente compiva un altro passo verso il suo futuro. Erano le quattro e diciassette minuti e cinquantasei secondi quando uscì dall’auto posteggiata due vie dietro l’ateneo. Chiuse la portiera e alzò il colletto del cappotto a coprire il collo. Il freddo della notte colpiva gli occhi, sentiva sulle guance il calore del sangue, come dopo una sberla. Entrò dal cancello secondario e si avviò verso il residence. Mentre percorreva il ciottolato passò davanti all’anfiteatro all’aperto costruito nel centro del cortile posteriore. Ogni suo passo riecheggiava nella notte, come un attore, si fermò di fronte ai gradoni e si inchinò, per il suo pubblico.

Eccola lì. Davanti a lui, Maria stava dormendo nel suo letto. La stanza era abbastanza grande per una persona, e abbastanza piccola per due. Arredata con mobili da hotel, non lasciava molto spazio alle emozioni. Il letto però, sembrava comodo.

Si avvicinò alla sua preda, sentì il suo respiro tranquillo. Come una bambina dormiva attorcigliata alle lenzuola. Con un sorriso estrasse la boccetta di cloroformio dalla tasca del cappotto. Prese un bel respiro e svitò il tappo della boccetta. Gli occhi gli lacrimarono quasi istantaneamente per i fumi, si sforzò di non piangere e avvicinò l’ampolla alle narici della sua giovane vittima. Dopo nove secondi decise che i fumi avevano fatto effetto e cominciò a svestire la ragazza. Non poteva di certo esporla in pigiama. Le infilò un paio di jeans, una maglietta bianca e sopra un maglione di cotone nero. Ai piedi, due All Stars bianche.

Estrasse dal cappotto una siringa, contenente il veleno appositamente preparato da lui nel suo seminterrato. Aveva sempre amato la botanica, e conosceva perfettamente come creare un veleno chimicamente invisibile a partire da tre banali piante domestiche.

Rifece il letto, piegò il pigiama della ragazza sul cuscino ed uscì dalla stanza. Il suo nuovo trofeo pesava molto meno del primo, ed era obbiettivamente più bello. Scese le scale e uscì dal residence per entrare nell’edifico di fianco. Prese l’ascensore e si diresse al secondo piano. Sovrappensiero, si ritrovò a canticchiare la canzoncina emessa dalle casse nella cabina, si guardò allo specchio, si piacque, sorrise. Il corpo sulle sue spalle giaceva immobile come un sacco a pelo, i capelli della ragazza arrivavano ad un palmo da terra, un lungo sipario biondo, a coprire un volto morto.

Aprì la porta e sistemò il secondo testimone.

 

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