Capitolo 1.
M
Era finalmente il momento. Aveva calcolato tutto, ogni minima sfumatura, ogni più piccolo particolare era stato previsto, ma nonostante questo, un brivido di eccitamento gli sconvolse la spina dorsale.
Con la mano destra si rassicurò della presenza della boccetta nella tasca interna del cappotto. Proprio sul cuore. Questa ironia lo fece sorridere, nell’anima. Il suo volto non tradiva alcuna emozione. La pelle al contatto con la fredda sera milanese si era arrossata e mille aghi di gelo inneggiavano alla sua opera. Era una buona serata per morire, decise.
La sua vittima era seduta sul muretto davanti a casa. Dopo sette minuti e trentadue secondi salutò i genitori e ripose il cellulare nella tasca dei blue jeans. Indossava una scontata camicia di flanella a quadri rossi e verdi coperta da uno scontato cappotto grigio di lana lungo fino a metà coscia; ai piedi, due grosse Timberland beige lo ancoravano al terreno.
Dai cespugli dove si era accovacciato riusciva a vedere le piccole nuvole di vapore create dal respiro della sua preda. Riusciva a sentire i suoi polmoni dilatarsi nella cassa toracica a tempo con quei ridicoli segnali di fumo. Si alzò, con calma ripulì il cappotto nero lungo e le scarpe nere di lacca dai piccoli residui di terriccio dovuti al suo recente appostamento.
Uscì dal cespuglio e arrivò sul marciapiede. Dodici metri lo separavano dal tanto agognato premio. Controllò una seconda volta che non ci fosse nessuno e si avviò verso il ragazzo.
Ad ogni passo sentiva il cuore sempre più calmo, ogni respiro ne attenuava il battito, attorno a sé ogni cosa sembrava rallentare. Il suo bottino stava per rientrare in casa, le chiavi cercavano nella penombra di quella sera la serratura della porta. Il suo braccio sinistro gli si serrò intorno al collo, strangolandolo.
La mano destra gli coprì il volto con la garza accuratamente imbevuta nel cloroformio e cominciò a premere cercando di ostruire le vie respiratorie.
Dopo nove secondi di strenua lotta sentì i muscoli del suo trofeo cominciare a sciogliersi, sentì i nervi e le articolazioni rilassarsi fino a crollare. Avvicinò l’orecchio alle labbra immobili del ragazzo e sentì compiaciuto che respirava ancora.
Caricarlo in macchina fu la parte più dura, ma si era dotato di un’auto capiente ed era riuscito a parcheggiarla nel posto dove giorni prima aveva sistemato un finto cartello di sosta vietata. Trovava alquanto divertente l’aver dovuto calcolare così a fondo dove parcheggiare l’auto. D’altronde abitava a Milano.
Dopo tredici minuti e ventuno secondi raggiunse la sua meta. Estrasse dalla giacca una siringa piena di un liquido verdastro, la sua personalissima emulsione di oli. Aprì la bocca alla vittima, sollevò la lingua e iniettò il suo nettare alla base della stessa.
Aprì il cancello automatico e posteggiò l’auto nel cortile posteriore. Scaricò il corpo e si avviò verso il cortile principale. Una volta arrivato, adagiò il cadavere nella piscinetta di destra, prestando attenzione a non bagnarsi. Sistemò il corpo esattamente al centro e si alzò in piedi.
Ammirò orgoglioso la sua opera e inspirò nuovamente la dolce aria della sera. Vide il suo trofeo riflesso nei trentaquattro vetri della facciata principale e decise di avere svolto un ottimo lavoro. Chiuse gli occhi, sistemò il cappotto e si avviò verso l’auto.
[…] #FuoriCorso