Lo scontro profetizzato in Jurassic Park III da Steven Spielberg e Joe Johnston tra Tirannosauro e Spinosauro sembra essersi concretizzato, almeno sulla carta, proprio in questi giorni.
Il motivo per cui questa (improbabile) sfida sta prendendo vita, è dovuto principalmente alle recenti scoperte di un team internazionale di studiosi, tra cui i paleontologi italiani Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco (Museo di Storia Naturale di Milano), che hanno firmato l’articolo “Semiaquatic Adaptations in a Giant Predatory Dinosaur”, pubblicato su Science lo scorso giovedì 11 settembre 2014.
In questo articolo, basato sullo studio di un nuovo esemplare e al riesame di vecchi reperti, non solo vengono colmate lacune su dimensioni (15 metri di lunghezza) e struttura ossea, ma Spinosaurus aegyptiacus è stato riconosciuto come il più grande dinosauro predatore mai vissuto sulla Terra, da cui tutte le sfide e i confronti con il famoso Tyrannosaurus rex.
Al di là dei confronti sulla presunta ferocia o le dimensioni, la rilevanza scientifica della pubblicazione è davvero notevole, soprattutto perchè conferma una caratteristica di Spinosaurus finora non del tutto certa, e unica tra tutti i dinosauri predatori conosciuti: la vita semiacquatica, resa possibile da una serie di adattamenti morfologici sopravvenuti 95 milioni di anni fa.
Tutto ciò è avvenuto grazie all’analisi di un nuovo scheletro scoperto nel Sahara, un cranio parziale conservato al Museo di Storia Naturale di Milano e altri resti custoditi in collezioni museali di tutto il mondo, oltre ai documenti storici e alle immagini del primo Spinosaurus scoperto in Egitto più di 100 anni fa.
Vita semiacquatica
I principali adattamenti alla vita semiacquatica descritti dagli autori della ricerca sono molteplici. Per esempio colpisce il fatto che le narici siano molto piccole e molto arretrate sulla struttura del cranio, circa a metà della lunghezza totale, per riuscire a respirare anche quando buona parte del muso era immerso in acqua.
Sono stati evidenziati inoltre, grazie all’utilizzo combinato di tecniche di tomografia computerizzata e modellazione tridimensionale, una fitta rete di fori neurovascolari all’estremità del muso.
Fori simili si trovano sulla testa di rettili acquatici moderni come alligatori e coccodrilli e contengono recettori di pressione che permettono a questi animali di percepire i movimenti delle prede anche in acque poco limpide e melmose.
Per analogia, è lecito pensare quindi che queste strutture avessero una funzione simile anche in Spinosaurus.
A differenza di molti altri predatori terrestri, Spinosaurus non ha denti sottili e appuntiti, ma affusolati e dalla forma conica, in grado di costituire un letale meccanismo di incastro tra le due arcate, a cui nemmeno una preda scivolosa come un pesce poteva sfuggire. Per quanto riguarda la struttura ossea, le recenti scoperte sono state davvero sensazionali: un bacino piccolo con zampe corte e muscolose sono un’ulteriore conferma dell’adattamento acquatico. Strutture simili sono state riscontrate infatti in molti cetacei primitivi che, proprio come Spinosaurus, dopo un periodo di vita sulla terraferma, sono tornati verso il mare.
Le ossa inoltre sono particolarmente dense, prive delle tipiche cavità midollari che caratterizzano i dinosauri predatori (e la maggior parte degli gli uccelli moderni).
Sempre comparando l’anatomia di Spinosaurus con specie recenti, è possibile evidenziare infatti un adattamento simile nei pinguini, le cui ossa dense aiutano il nuoto e l’immersione in acqua.
Le ossa delle zampe posteriori inoltre avevano artigli grandi e piatti, con piedi simili ad alcuni uccelli limicoli che si muovono su superfici fangose.
Probabilmente lo Spinosaurus aveva i piedi palmati, utilissimi per nuotare.
Anche le vertebre della coda indicano un forte adattamento alla vita acquatica, infatti sono articolate tra loro in modo lasco: ciò permetteva a questo grande predatore acquatico di flettere la coda lateralmente con un moto ondulatorio, come fanno i pesci ossei moderni per la propulsione.
La ricerca e la mostra
Di fondamentale importanza per la comprensione di tutte queste informazioni, è stato il contributo della National Geographic Society, che grazie ai fondi stanziati per questo progetto ha reso possibile ai ricercatori del Fossil-Lab dell’Università di Chicago una ricostruzione tridimensionale digitalizzata dello scheletro, poi stampata mediante l’utilizzo di stampante 3D.
L’azienda veneta Geomodel ha poi provveduto alla ricostruzione di un modello tridimensionale completo e anatomicamente accurato di uno Spinosaurus adulto, usando come riferimento per la taglia proprio il cranio conservato al Museo di Storia Naturale di Milano.
“Spinosaurus: Lost Giant of the Cretaceous” è il nome della mostra che vede la National Geographic Society come main sponsor, appena partita da Washington e che nel corso di questi mesi girerà per Stati Uniti e Canada, portando nei diversi musei sia la ricostruzione della Geomodel che lo scheletro stampato sui modelli della Fossil-Lab.
Durante la conferenza stampa del 18 settembre presso il Museo di Storia Naturale di Milano, è stato però confermato anche un tour europeo per il prossimo anno, che vedrà il modello a grandezza naturale arrivare nel capoluogo lombardo in occasione di EXPO 2015 e potrebbe trovare posto a Palazzo Dugnani, storica sede del Museo di Storia Naturale, rimessa a nuovo per l’occasione.
L’intero lavoro sullo Spinosaurus rappresenta un perfetto esempio di ricerca multidisciplinare e di collaborazione internazionale, dove paleontologi, geologi, biologi, artisti, modellisti, radiologi, istologi e altri professionisti ancora hanno collaborato per la realizzazione di questo studio.
Considerando tutta l’attenzione che i media internazionali stanno dando all’evento, sembrerebbe proprio che l’investimento di National Geographic si stia rivelando molto producente, sia a livello economico grazie alla mostra itinerante, che a livello di mera comunicazione di un importante progetto di ricerca scientifica.