Come ragionare bene, ovvero: una guida semiseria al buon discorso.
Prima di ricominciare, un sentito grazie per la calorosa risposta positiva al mio primo post su Lega Nerd. Spero di non venir meno alla vostra fiducia o alle vostre aspettative.
Alcuni di voi hanno prontamente notato alcune “incongruenze” nella spiegazione. Considerate questa serie di articoli come un “livello base” in cui si spiega tutto in maniera generale.
Nel corso degli episodi chiariremo poco a poco tutti gli aspetti più oscuri… almeno spero. Buona lettura e buon divertimento. Come con il post precedente, vi aspetto nella sezione commenti.
GBD02 – “Dell’autorità e dei sentimenti”
Non dire stupidaggini! Lo sanno tutti che la dieta vegan fa solo che bene! Lo dice Salvor Hardin nel libro La dieta vegan…
Chi fa esperimenti sugli animali è un mostro! Con quale coraggio fanno una cosa del genere su quei poveri animali indifesi! Ma ce l’hanno un cuore? Ci pensano alla loro sofferenza? Assassini!
Il bello del pensiero umano è che immagazzina un sacco di nozioni su altrettanti argomenti.
Lo vediamo tutti i giorni: iniziamo al mattino parlando di quanto sia buono il caffé e alla sera terminiamo discutendo sugli argomenti proposti dal telegiornale; nel corso della giornata avremo spaziato dalla politica al calcio, dall’arte alla medicina passando per la musica e l’economia. Sebbene non ne sfioriamo che la punta, l’iceberg degli argomenti che potremmo trattare è ben più grande ed è nascosto solo dall’oceano della memoria.
Com’è prevedibile, non tutti sono ferrati in materia. È più probabile che uno “ne sappia una più dell’altro”, ed è ancor più probabile che nessuno dei due abbia la più pallida idea dell’argomento trattato. A volte accade, quindi, che si commettano due errori logici per manifestare una presunta superiorità sull’altro. Il primo si richiama all’autorità espressa da qualcuno con le stesse idee dell’interlocutore, mettendo alle strette chi non ha neppure le basi per negarla. Il secondo annulla il ragionamento per fare leva su qualcosa di più inconscio e, per questo, meno controllabile: le emozioni umane.
L’appello all’autorità, detto anche argomento per autorità, parte da un presupposto implicito: un’opinione espressa da un “elemento autorevole” in merito a un dato argomento, sul quale vi ha scritto un libro o tenuto un corso a riguardo, è certamente corretta.
Chi commette quest’errore non comprende che un libro, un corso o una conferenza sono virtualmente alla portata di tutti. È ovvio che una conferenza sulla teoria delle stringhe tenuta da un gruppo di astrofisici abbia uno spessore diverso da quella tenuta sulla sperimentazione da uno stuolo di amanti degli animali. L’importante è aprire un dibattito con le conoscenze che si possiedono in materia, ma ancor più necessario è accettare le correzioni da parte di chi ne sa davvero di più.
Se tutto ciò che si trova scritto su libro fosse vero, per assurdo tutti coloro che proporranno altre teorie avrebbero torto. A titolo d’esempio, si è scritto parecchio (e si scriverà ancora in futuro) sul caso JFK. Sull’onda dell’omicidio sono stati versati litri di inchiostro per mostrare “inconfutabilmente” (state odiando questa parola, vero?) che il presidente Kennedy sia stato assassinato, a piacere: dai servizi segreti, dalle banche, dalle industrie farmaceutiche, dalle lobby animaliste, dalla massoneria, dal Priorato di Sion, dalla necessità dell’America di trovare un nemico da odiare… la lista è lunga, ma rende l’idea.
Se dovessimo dare retta a un tale di nome Guido Mista, che ha scritto un libro nel quale si prova che l’omicidio Kennedy è stato ordinato dalla mafia italiana, inevitabilmente daremo torto a chi segue Arturo Denti, che ha invece dimostrato come l’assassinio fosse stato ordinato dalla lobby degli asciugamani.
Sono ragionamenti buoni. Assurdi, certo, ma buoni finché restano teorie. È al momento della “prova del nove” che tutto deve reggere.
Questo accade soprattutto nell’ambito delle pseudoscienze. Solo perché qualcuno ha scritto un libro su un argomento non vuol dire che abbia necessariamente ragione, o che sia davvero ferrato in quella materia.
Se qualcuno starnazza che non abbiamo bisogno di altri rimedi per curarsi se non di acqua e zucchero, sta dicendo una boiata colossale. Questo perché esistono prove certe che dimostrano l’invalidità della tesi. Perché fosse ampiamente dimostrata la sua invalidità, ci sono voluti lunghi e numerosi esperimenti riusciti.
Ecco il motivo per cui non bisogna quasi mai negare il parere di un esperto – a parte quando si nutrono dubbi comprovati su di lui.
Nessuno si chiede quanto possa essere esperto in merito chi propone queste teorie. Nessuno si chiede se queste cose sono state pubblicate perché l’argomento era ancora caldo. L’appiattimento mentale nei confronti delle tesi porta a un assottigliamento della nostra capacità di pensare.
Sapete chi gode di questa condizione? Gli sciamani, i cartomanti e i maghi. Quelli che fanno soldi sulla vostra creduloneria. Siccome il Libro dei Libri riporta un caso di convulsioni, per molto tempi si è creduto che i preti avessero la miglior soluzione. Ci è voluto Freud perché si potesse distinguere tra esorcismo e mere nevrosi.
Ve lo dico senza remore: questa fallacia offende voi e a chi la rivolgete. In primis, date dell’ignorante al vostro interlocutore – un insulto bieco e indegno del buon ragionatore. Voi, d’altro canto, siete convinti di avere così tanta ragione da avere le idee supportate da un possibile cialtrone. E sapete di meritare meglio di così. Sapete di meritare più della semplice autorità in merito.
Ai fini di questa guida, diamo uno spessore di differenza fra autorità e autorevolezza. L’autorità si descrive nell’aspetto dogmatico: non si può discutere né dev’essere messa in discussione, non accetta consigli né correzioni, non si sottopone a un vero confronto equilibrato aperto alla rettifica.
L’autorevolezza, invece, è ciò che si guadagna con anni di rispetto, di affermazioni esatte corroborate da veri esperti, i quali studiano e lavorano su questi argomenti da decenni. Non è una cosa che si acquista scrivendo libri su libri, né partecipando a migliaia di corsi: è ammettere con umiltà che, un giorno, possa esistere una vera tesi che metta a soqquadro quella precedente. E che, se anche accadesse, non si verrà ricordati a torto. Si godrà del privilegio del pioniere, di colui che ha aperto la via a una discussione ragionata e che ha apportato dei veri benefici al discorso.
Già che ci siete, fate attenzione a non cadere nell’errore opposto: “Se l’ha detto X, che ha sbagliato su quell’argomento, dev’essere per forza una cavolata”. Anche quello è un errore logico e ve lo accennerò nella prossima puntata.
Converrete con me se dicessi che il peggior insulto a un buon discorso è appunto negare qualsiasi ragionamento. Soprattutto quando, al suo posto, si preferiscono le emozioni umane.
Provare sentimenti fa parte della natura umana. Tutti piangono, ridono, si arrabbiano, si eccitano; c’è chi odia, chi ama, chi si muove per orgoglio e chi per senso altruistico. L’errore sta nel voler mettere le emozioni al centro del ragionamento.
Questo appello ai sentimenti è la più fastidiosa fra le fallacie logiche.
Esempi lampanti li offrono, ogni giorno, gli animalisti oltranzisti – non solo loro, aggiungerei.
Con buona pace di chi crede nei diritti degli animali e solo a titolo d’esempio, bisogna ammetterlo: la tesi per cui “la sperimentazione animale non è valida” perché “gli animali soffrono” non è esattamente la più congeniale. Allegare la foto di un animale “sofferente” al termine di un testo nel quale si sostiene che anche gli animali provano sentimenti è, altresì, controproducente.
Ficchiamocelo in testa: l’empatia è puramente umana. Se pensiamo che qualcuno stia piangendo è perché noi crediamo che lo stia facendo. Siamo noi a dare un significato a un insieme di smorfie. E talvolta anche chi lo fa sbaglia, e vi spiego perché.
Questo discorso vi sembrerà duro e crudele, ma vi chiedo di escludere per un po’ ogni pregiudizio.
Le emozioni sono un intralcio e un accessorio. Un intralcio, perché rabbuia la vostra capacità di ragionare appieno sugli argomenti proposti. Vi rende ciechi di fronte a evidenti errori.
L’elucubrazione ha bisogno di aria, di campo libero per esprimersi nel migliore dei modi. Vi lancio una sfida: riuscireste a mantenere alta la concentrazione, se vostra madre vi interrompesse ogni due minuti, se il vicino di casa sbraitasse, se alcuni operai per ore picchiassero l’asfalto col martello pneumatico? E se la TV fosse sintonizzata in loop sugli ultimi istanti di David Tennant nella seconda parte di The End of Time? Non credo proprio.
Per questo si parla di “mente aperta” – una mente che trova, accoglie e accetta senza pregiudizi o false percezioni. Zero distrazioni, insomma.
Se l’argomento è solido e ben strutturato, può raggiungere e convincere migliaia di persone con le proprie gambe. Se queste persone sentano toccate nel profondo del cuore è un altro discorso.
Le emozioni accadono. Sono un accessorio, lo ribadisco, ma non è detto che debbano esserci sempre. C’è chi trova la matematica affascinante, e ha i brividi ascoltando i discorsi dei fisici. Ma le formule, le teorie espresse, non sono “emozionanti” nel senso più stretto del termine: sono i discorsi a suscitare emozioni in chi vi si appassiona. Anche se non vi fossero, il ragionamento filerebbe comunque perché basato su qualcosa di solido. Non c’è bisogno di far leva sui sentimenti: basta l’argomento.
Il compito del ragionamento, se ancora non fosse abbastanza chiaro, non è la ricerca di una frase a effetto o dell’arguto aforisma à la Wilde. Chi si concentra su questo, e solo su questo, considera l’estetica del discorso, il bell’apparire. La sola emozione, purtroppo, comporta una vuotezza di argomenti e, per esteso, di ragionamento.
Una bella stangona con due grossi meloni potrebbe anche dirmi che il cielo è nero, ma se guardo in alto e scopro che è blu, poco me ne cala della sua taglia di seno.
Una sciocchezza resta una sciocchezza.
Perciò, cari lettori, diffidate da chi manipola il discorso per portarlo su un piano emotivo. Se una persona vuole farvi “ragionare” con un’emozione, non vi sta affatto aiutando nel ragionamento. Non vi sta neppure prendendo in giro.
Vi sta addomesticando al suo volere, come farebbe un padrone.
Capita, se si possiede un cane: il nostro fedele compagno defeca od orina dove meno vorreste che lo facesse. Quando ciò accade, alcuni spingono il muso dell’animale sull’espulso e urlano “Cattivo! Non si fa!”.
Il cane, come gran parte del mondo animale, non ha un cervello evoluto quanto il nostro; nel periodo di addomesticamento, chi ha un animale da compagnia lo educa così per insegnarli una bella lezione. La grande differenza, fra le numerose, tra l’essere umano e quello animale sta proprio nella possibilità di imparare ragionando sugli errori. Gli animali apprendono attraverso i dogmi del padrone: per essi, la sua rabbia è motivo di correzione, ma può darsi che non sappiano che cosa significhi veramente.
Chi vi pone di fronte alle emozioni sta facendo esattamente come con il cane e il suo espulso. Vi vuole schiavi del suo modo di pensare, ligi all’ordine con la fedeltà che contraddistingue i canidi. Vi desidera bestie al guinzaglio pronte all’indignazione a comando – non certo esseri umani.
E questo è l’insulto peggiore che possiate fare al vostro interlocutore, nonché alla buona virtù del ragionare!
Come ragionare bene, ovvero: una guida semiseria al buon discorso
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