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I Giganti dell’Isola di Lord Howe

Lord Howe Islands (1)

Proprio come molte altre storie, questa inizia con una nave che solca l’oceano.

Siamo nel 1788 ed un ufficiale navale britannico di nome Ball sta navigando, insieme alla sua ciurma, in un quadrante non troppo esplorato dell’Oceano Pacifico a largo della costa orientale dell’Australia.

Le condizioni di visibilità sono perfette, l’aria limpida favorisce una visibilità eccezionale e grazie a questo fattore, dal ponte della fregata, il capitano Ball scorge in lontananza una lama di roccia che si staglia tra cielo e mare talmente imponente ed acuminata che suscita curiosità in lui.

Ball controlla le mappe e si accorge che quello sperone di roccia non risulta su nessun carteggio.

Fu così che quel coltello di pietra che squarcia acqua e nuvole non lo aveva ancora scoperto nessun europeo e dunque, il suddetto capitano, pensò bene di battezzarla Ball’s Pyramid, la piramide di Ball.
Balls Pyramids Australia 8

Per chi, come me, non abbia ancora avuto la fortuna di visitare questo luogo la piramide di Ball è una roccia vulcanica di appena sette milioni di anni, alta 562 metri e larga 300 ed è anche lo scenario di questa storia.

Tranquilli, non voglio parlarvi di uno scoglio australiano, ma del suo segreto.

La piramide di ball è una dei luoghi più ambiti dagli scalatori di tutto il mondo. L’occasione di poter scalare pareti così ripide a picco sull’oceano è considerata un’esperienza unica e impegnativa.

Un paio di questi impavidi scalatori, qualche anno fa, scalando una delle pareti della piramide hanno trovato qualcosa di improbabile nascosto sotto un cespuglio a 70 metri dal livello del mare.

Come quel qualcosa sia arrivato lì, è ancora un mistero.

Vi racconto un’altra storia.

A venti chilometri di distanza dallo sperone di cui vi ho appena parlato c’è L’Isola di Lord Howe, sulla quale c’era un insetto famoso per le sue straordinarie dimensioni, una bestiola che si mimetizza fingendosi un pezzo di legno.

La versione che si poteva trovare sull’isola di Howe era così imponente – grande quanto una mano – che gli europei la cominciarono a chiamare aragosta degli alberi per via delle sue dimensioni e del suo esoscheletro duro e somigliante a quello di un crostaceo.

Era un insetto lungo in media 12 cm e il più pesante insetto stecco non volante del mondo. I pescatori locali lo usavano spesso come esca per i loro ami.

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Poi un giorno, nel 1918, una nave rifornimenti chiamata S. S. Makambo, in arrivo dall’Inghilterra, si incaglia malamente in prossimità delle coste dell’isola di Howe rovesciando sulla spiaggia non solo i passeggeri superstiti ma anche un’allegra congrega di ratti neri 100% british che ci misero poco a scoprire e a preferire gli insetti giganti di cui l’isola era ricca al loro menù abituale di rifiuti e grano ammuffito.

Due anni dopo questi ratti erano riusciti ad invadere tutta l’isola, l’ambiente non particolarmente ostile alla loro specie aveva dato loro modo di proliferare a dismisura e ciò fu la causa della scomparsa della nostra cara aragosta di terra.

Spariti.

Dopo il 1920 non ci fu un singolo avvistamento e l’insetto stecco di Lord Howe, il Dryococelus australis, fu considerato ufficialmente estinto.

Passano 40 anni e il bacarozzo è solo un ricordo lontano che ha già il sapore di leggenda, i nonni hanno iniziato a raccontare ai nipoti storie del tipo: “Ai miei tempi gli scarafaggi erano grossi come una banana e non per questo ci lamentavamo.” e i ratti sono ritornati ad una dieta prevalentemente a base di rifiuti.

È il 1960 quando un paio di scalatori, di ritorno dalla piramide di Ball, giurano di aver visto delle carcasse di insetti stecco, proprio quell’insetto stecco famoso, che avevano l’aria di essere molto recenti.

La notizia fu accolta tiepidamente: e pochi avevano voglia di verificare, dato che la specie è notturna e in pochi hanno voglia di andare di notte a caccia di insetti su uno sperone di roccia in mezzo al mare.

Solo nel 2001 due scienziati australiani, David Priddel e Nicholas Carlile e i loro fedeli assistenti decidono di andare a dare un’occhiata alla piramide di Ball.

Dall’acqua si scorgevano rari fazzoletti di vegetazione che avrebbero potuto assicurare la sopravvivenza delle aragoste nere. Il gruppetto si mette a cercare scalando e raggiungendo altezze considerevoli ma non trovando niente di interessante.

Sull’isola è impossibile passare la notte e sul fare della sera Priddel e co. sono già sulla via del ritorno quando sotto un cespuglio arroccato su un macigno scorgono delle fatte che sembrano proprio appartenere a qualche grosso insetto.

Where the hell is this poop
coming from?

Ha esclamato probabilmente uno di loro, con un’enfasi che raramente si concede a un simile oggetto. La risposta era celata nella notte, bisognava tornare armati di torce e ammennicoli vari e vedere se quel qualcosa decideva di fare un altro bisognino all’aperto. Carlile con un ranger locale decisero di avventurarsi e di tornare a controllare quel cespuglio une delle notti seguenti.

Fu grande la sorpresa quando essi trovarono lo stesso cespuglio gremito di insettoni giganti, 24 in tutto, neri e lucenti. Erano vivi e, agli occhi dello scienziato, enormi. Guardandoli, ha detto Carlile:

È stato come aver fatto un balzo indietro nell’era giurassica, quando gli insetti dominavano il mondo.

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Erano veri, autentici Dryococelus australis ed una ricerca eseguita durante i due anni successivi ha confermato che quel gruppetto di 24 era l’unico rimasto.

Vivono lì e, per quanto ne sappiamo noi, da nessuna altra parte.

Rimangono molte domande, la prima fra tutti è come sono riusciti ad arrivare ad una brulla roccia in mezzo al mare e come hanno fatto a sopravvivere in uno spazio così ristretto e ostile per così tanto tempo. Forse qualche pescatore li ha portati fino là… Domande alle quali solo la fantasia può dare una risposta.

La cosa importante è sapere che questi animaletti sono ancora vivi e che ci sono degli biologi che stanno cercando di salvarli. L’impresa però non è facile. Sembra infatti che il motivo per cui gli insetti stecco di Howe siano così rari risieda nel fatto che è difficile per loro sopravvivere in luoghi diversi dall’isola. Ma con molta cura ed un po’ di fortuna lo Zoo di Melbourne è riuscito ad aiutare due esemplari a proliferare e a portare avanti delle nidiate.

La questione più spinosa che i biologi stanno affrontando è la re-immissione della specie nel suo habitat naturale originale: l’isola di Lord Howe, sulla quale ancora si trovano i discendenti dei ratti che li avevano sterminati.

Il problema potrebbe essere risolto con una massiccia disinfestazione e sicuramente gli abitanti dell’isola ne sarebbero contenti, ma quanti di loro sarebbero altrettanto entusiasti di vedere strisciare nel cortile insetti giganti a sei zampe?

Quindi il museo di Melbourne si è lanciato in una campagna di sensibilizzazione per rendere questi insetti più “carini” agli occhi degli abitanti di Howe.

E poi, che succede?

La storia è semplice: 80 anni fa una manica di ratti schifosi ha quasi sterminato una colonia di scarafaggi giganti su un’isola lontanissima dalla maggior parte di noi, un gruppo di ricercatori hanno rischiato la vita per mantenere questi insetti vivi, adesso tutto dipende dagli abitanti dell’isola di Howe, altrimenti ogni sforzo sarà inutile e il Dryococelus australis sarà presto estinto, per davvero.

Se fossero stati cuccioli di beagle il problema non sarebbe sussistito, ma sono pur sempre degli insetti che essendo così unici ed eccezionalmente grandi sono comunque riusciti a far parlare di loro… voglio dire, chissà quante altre specie moschine o vermetti (biologi non me ne vogliate per la grossolana semplificazione) hanno avuto lo stesso triste destino, ma non hanno dato nell’occhio e sono passati alla storia senza nemmeno essere notati.

Io spero che tutto vada per il meglio e che il Dryococelus australis possa tornare a prosperare nel suo habitat naturale, con tutto quello che ha passato se lo merita.

 

 

 

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