Il vero compito

Ancora pochi minuti e la campanella avrebbe dato il via ai dieci minuti più difficili di tutta la mia vita.

Dopo due ore il mio tema d’italiano contava solo poche righe ma poco importava; fin dalle 7.00 di mattina la mia mente era interamente concentrata a cercare parole giuste da pronunciare, movimenti giusti da compiere, atteggiamenti efficaci che nascondano la mia paura e la mia agitazione, e portare a termine il tema di italiano in modo quanto meno sufficiente non rientrava di certo tra le priorità del giorno.

Mentre cercavo qualche distrazione cercando di terminare almeno l’introduzione del mio saggio breve, il suono stridulo della campanella che segnava l’inizio della ricreazione mi fa trasalire: quel suono, da sempre portatore di buone notizie per lo studente, in quel momento mi appariva crudo e freddo, era la voce di un comandate, che insensibile alle mie preoccupazioni, mi spingeva con un sonoro calcio fuori dalla classe verso quello che era il mio vero compito.

Butto la penna sul banco pieno di citazioni di canzoni, film o poesie che in qualche modo mi ricordano lei, il mio vero compito. Mi alzo seguendo la volontà del mio istinto più che della mia mente, ancora troppo occupata a formulare la frase perfetta per esordire, e mi dirigo fuori dalla classe con il mio fido compagno Greg, che per quei dieci minuti sarebbe stato il mio sostenitore in quella folle impresa.

Un solo corridoio di pochi metri mi separava dalla sua classe, ma il mio istinto mi accompagnò solo a metà corridoio, poi mi abbandonò facendomi diventare preda delle emozioni e dell’ansia.

Non ce la faccio Greg, torniamo in classe, lo farò domani – dico a Greg con voce bassa, vergognandomi della mia codardia.

Lui non mi risponde, semplicemente mi dà una spintono; ora mi trovo a pochi passi dalla sua classe.

Come in quel passo della Gerusalemme Liberata, dove Tancredi raccolse su di sé tutte le forze possibili per battezzare Clorinda prima che lei morisse, allo stesso modo raccolgo tutto il coraggio che mi ritrovavo quel sabato mattina e mi avvicino alla porta della sua classe, compiaciuto per aver formulato un paragone letterario così ardito. Ma la soddisfazione presto lascia il posto alla meraviglia: mi affaccio appena con il capo, alla soglia della porta e noto che lei c’è ed è seduta al centro della classe semivuota, intenta a scrivere qualcosa.

Come se fossi stato preso in pieno da una scossa elettrica, ritiro precipitosamente la testa indietro e guardo Greg che era al mio fianco a braccia conserte, chiedendo con lo sguardo un po’ di coraggio in più.

Stranamente, mi basta un suo cenno per trovare il fegato di buttarmi finalmente nella mia impresa: mi rivolgo ad una ragazza che era dentro la classe, a pochi passi da me

Scusami, puoi chiamarmi quella ragazza con i capelli rossi che sta scrivendo? – In realtà conoscevo benissimo il suo nome.

“Ricordo il tuo nome perfettamente, ce l’ho stampato in testa fin da quando t’ho veduto, t’amavo già da prima, prima ancora d’averti conosciuto”: un’altra frase scritta a caratteri cubitali sul mio banco mi tornava in mente. Quante volte avevo sognato questa ragazza, ascoltando queste parole, ed ora sto per parlarle.

Sono appoggiato sul muro di fronte alla porta in una posizione che tenta miseramente di coprire il mio imbarazzo e la mia inquietudine mentre il mio cervello si è arreso, mi dice di inventarmi qualcosa al momento perché in tre ore non è riuscito a formulare nessuna frase ad effetto che non sia o troppo banale o troppo eccentrica. Al contrario il mio cuore non ne vuole sapere di rallentare.

Poi eccola lei, la mia Venere, il mio sogno proibito, il mio scopo. Solo in quel momento ho capito cosa probabilmente aveva provato Dante nel vedere per la prima volta Beatrice. Un altro ardito paragone letterario, devo smetterla di studiare letteratura!

La mia Beatrice, che in realtà si chiamava Diletta, esce dalla classe, le si può leggere lo stupore e la sorpresa per quello che sta succedendo nei suoi occhi, nei suoi grandi occhi verdi.

Si avvicina a me con passo incerto ed io mi avvicino a lei, cercando di non metterla troppo in soggezione anche se in realtà, con quel incarnato chiaro, quei capelli rossi, e sopratutto quei grandi occhi verdi era lei a mettermi inconsapevolmente in imbarazzo.

– Ciao, sono Lorenzo, ti ho vista ed è da un po’ di tempo che volevo conoscerti – esordisco con voce tremante ed un sorriso forzato che cerca invano di nascondere l’impaccio che invece traspariva da ogni singolo gesto.

Rimane per un paio di secondi a guardarmi con aria confusa e piacevolmente sconvolta. I secondi più lunghi della mia vita: temo che da un momento all’altro mi tiri uno schiaffo o che mi prenda in giro o che fugga via imbarazzata; invece semplicemente mi stringe la mano, imbarazzata e piacevolmente colpita da questo gesto audace.

Ce l’ho fatta! Da qui in poi, comunque andrà a finire sarà stata una vittoria e un’esperienza da raccontare ai miei amici durante i lunghi pomeriggi estivi, quando l’argomento calcio sarà esaurito.

I calzini
I calzini