Sedeva sul divano, aveva il computer appoggiato sulle gambe, ascoltava musica e meditava sul da farsi.
Le ipotesi che la sua capoccia aveva generato erano tre:
poteva iniziare a studiare in vista della mole di esami che stava per travolgerlo.
Dedicarsi a qualche progetto costruttivo, ma inutile, come i tanti racconti che aveva iniziato a scrivere o le canzoni studiate a metà che non aveva mai imparato bene a suonare.
Oppure poteva rimanere a crogiolarsi in quell’indecisione, in quell’apatia che troppo spesso l’avevano portato al fallimento.
Mentre era lì a cercare di scegliere una via, ma di fatto scegliendo la terza, pensò bene di rullarsi una sigaretta giusto per fare qualcosa.
Si sporse così dal divano per prendere tabacco e relativa attrezzatura da fumatore, tirando il filo delle cuffie e sfilando lo spinotto dall’attacco jack del portatile.
– Merda! – disse – devo risolvere questo problema –
Purtroppo qualche mese prima, era inciampato nel cavo delle cuffie devastando il jack, che ormai faceva contatto per miracolo
Ruotandolo e spostando la posizione del portatile cercò di ripristinare la precedente situazione che lo vedeva rilassato nell’ascolto di un live dei Pink Floyd.
Riuscito nell’intento, osservando il fumo che sputava in approssimativi anelli che salivano verso il soffitto, si mise a riflettere su quella stanza.
Chiuse gli occhi.
Quanti cambiamenti si erano succeduti per quelle pareti?
Quante volte era stata rimbiancata?
Quante era stato cambiato l’arredamento?
La casa dello studente in cui risiedeva era vecchia, risaliva almeno al primo dopoguerra, secondo le sue stime, probabilmente anche a prima.
Stando a ciò che aveva sentito era stata un albergo e prima ancora, un bordello.
Stranamente in quel momento la sala era deserta, di solito era sempre affollata dagli altri studenti, tutti alla ricerca di compagnia, di contatto umano.
Qualche rara eccezione preferiva rimanere isolata in camera.
Si alzò e andò alla finestra per ammirare il “panorama” che la posizione soprelevata del 2° piano gli metteva di fronte.
Pioveva.
Lui non sentiva il bisogno di compagnia, ma in mezzo alla gente si sentiva a proprio agio.
Era l’ennesima volta che tornava a cercare di comprendere quella situazione di ibrido, quella commistione di socialità e asocialità che lo caratterizzava.
Come sempre, stava giungendo alle solite conclusioni: il suo benessere non derivava dalla compagnia altrui, bensì dal suo sentirsi superiore.
Si circondava di persone dall’intelletto comune o mediocre per soddisfare il suo bisogno di prevaricazione.
Tolti pochi amici con cui poteva parlare liberamente, si sentiva oppresso nel confrontarsi seriamente con qualcuno.
Tendeva, il più possibile, ad evitare dibattiti con chi poteva tenergli testa.
A quanto pareva, l’apatia era entrata a far parte del suo essere.
E pensare che una volta non era così…
Ancora ricordava di quando era un ragazzino speranzoso e sognatore, pieno di voglia di fare, appena 4/5 anni prima.
Cosa era successo nel frattempo?
Perché era diventato così pigro e svogliato?
Il cinismo, la crescita, l’avevano reso così?
Il guaio dell’avere una mente come la sua – pensò – era che si matura in fretta, e si perde interesse per tante cose.
Come fin troppo spesso scherzosamente asseriva, era vecchio.
O almeno si sentiva tale, il che era un serio guaio visto che non era arrivato nemmeno ai vent’anni.
Gli venne in mente la sindrome di Cotard, di cui lei gli aveva parlato tempo prima.
Sei vivo, ma sei convinto di essere morto;
Vista l’inerzia con cui andava avanti, poteva tranquillamente avere la sindrome di Cotard al contrario.
Sei morto, ma sei convinto di essere ancora vivo.
Rabbiosamente lanciò la sigaretta dalla finestra
Tornò a sedersi, e riprese il computer per sfogare la sua frustrazione su una bianca pagina digitale.
Quel bianco lo spaventava.
Era l’espressione delle molteplici possibilità della vita, delle strade che aveva a disposizione, che poteva percorrere.
Da eterno indeciso, non riusciva mai a prendere una decisione e ad attenersi a essa fino in fondo, preferendo rimanere in uno stato di sospensione e di immobilità.
Prese coraggio e scrisse queste parole:
La volontà, questa sconosciuta…
Il cammino mai iniziato sta giungendo al termine
Il destino mai pensato è quello da cui hai origine
Ritagliata addosso ti è la vita non scelta
La prematura fine non è ancora giunta
L’apatia regna sovrana
Lei è la mia sola dama
Il viandante rimembra dei sogni degli antichi
Dell’antico suo avo che nella fucina degli dei
Forgiava luci per gli dei
Lui in un’altro mondo ormai è caduto
Del tempo e dello spazio i segreti ha perduto
Le stelle dell’elfo aveva strappato dalla corona
L’oscuro sire giaceva riverso
E ora?
Il dopo mai narrato,
Il declino gli è toccato!
Oh viandante sfuggente, la sorte non sfidare
Se la vita ti è cara, la via non disdegnare
Nella fosca boscaglia non ti devi addentrare
O il fio con la vita potresti dover pagare
Il tristo destino tuo è quello di vagare
Solo e sconsolato, amaro ti è il sognare
La cupa notte su di te ormai incombe
Rapido scegli, quale di queste tombe?
A questo punto si fermò, e rilesse quanto aveva scritto.
Gli piacevano i riferimenti tolkeniani che inseriva nelle sue facezie, ma si vergognava come un cane a farle vedere a qualcun’altro.
Ci metteva troppo di sé, si scopriva troppo per dare in mano queste informazioni a qualcun’altro, fossero anche i suoi più cari amici. Perciò le lasciava giacere nel suo hard disk.
Si accasciò sul divano e guardò in alto.
Una lampadina si accese nella sua testa, nel vedere il led del router che lampeggiava.
Internet!
Dove gli uomini sono uomini, le donne sono uomini, e le bambine di 5 anni sono agenti della CIA.
Internet!
Dove nessuno ti conosce e nessuno ti giudica, o meglio, anche se ti giudicano, chissene, tanto chi li conosce?
Forse poteva funzionare.
Forse poteva esprimersi senza paura di essere giudicato.
O forse era meglio di no.
E se qualcuno che conosceva l’avesse letto?
L’avrebbero sfottuto fino alla fine dei suoi giorni.
Si disse “lasciamo stare, son solo stronzate”
Fanculo.
Aprì il browser e iniziò a scrivere.