Sono da poco uscito da una sala di cinema dove è stato proiettato il nuovo film su Superman, e voglio darvi le mie impressioni.

Qualche premessa: L’uomo d’acciaio (titolo originale Man of Steel) è un reboot della serie sul celeberrimo supereroe americano che la Warner Bros in ultima analisi ha preferito a un sequel di Superman Returns.

Quest’ultimo è stato un tentativo, non troppo acclamato, di riscrivere Superman I e Superman II, prime due pellicole della serie di quattro film prodotta fra gli anni ’70 e ’80.

La scelta di ripartire dalle origini è comprensibile.

La scelta di ripartire dalle origini è comprensibile, se consideriamo che il titolo precedente non aveva riscosso troppo successo e aveva trattato con sveltezza (forse troppa) la nascita e l’infanzia del giovane Clark. La quasi totalità del pubblico non ha memoria di precedenti su grande schermo circa i natali di Kal-El e le dinamiche che lo hanno condotto sulla Terra.

Ricominciare in grande una serie garantisce inoltre di incassare su temi già trattati, il recente esempio di Spiderman è paradigmatico in tal senso.
In questo articolo scriverò partendo dal presupposto che lo spoiler per Superman non esiste, toccando tematiche che reputo di pubblico dominio. Se quindi non conoscete le sorti dei padri (naturale e adottivo) di Superman, siete avvisati.

L’uomo d’acciaio
Il film è per un buon 70% grafica computerizzata, ed è davvero ben fatta.

Parto subito col dire che il film è per un buon 70% grafica computerizzata, ed è davvero ben fatta: ottimo impatto degli effetti speciali. Punto positivo anche la fotografia, che da il suo meglio nel momento in cui Kal-El prende piena coscienza delle sue capacità.

Le musiche mi sono sembrate adeguate, anche se non mi hanno impressionato (complice il volume troppo alto nella sala dove l’ho visto, penso mi abbia compromesso l’udito).

Alla fin fine sappiamo che, da queste mega-produzioni americane, sulla fase realizzativa possiamo aspettarci il meglio. Il discorso quindi si svolge principalmente intorno alle scelte.

La sceneggiatura è stata scritta da David S. Goyer, che aveva già collaborato con Christopher Nolan (produttore esecutivo) ne Il cavaliere oscuro. Il regista Zack Snyder sembra aver interpretato correttamente l’indirizzo delle pellicole DC Comics, diverso da quello più spettacolare e divertente della Marvel: come nella recente trilogia del Cavaliere Oscuro, si predilige una realistica rielaborazione del fumetto in chiave moderna e tinte fosche.

Apprezzabile la scelta di focalizzarsi, come ho già detto, sugli albori della vita dell’uomo d’acciaio: la spensierata versione teen drama proposta da Smalville non può davvero essere l’unica.

L’uomo d’acciaio

Già dalle prime scene, in cui ci viene dato un interessante affresco di Krypton (seppur nel momento della rovina), le piccole spalle del neonato Kal-El vengono caricate del pesantissimo fardello della continuità della razza, un tema che è ricorrente nel film.

A mettere in atto la rocambolesca evacuazione del piccolo in fasce, sono i genitori Lara Lor-Van e lo stimato scienziato Jor-El interpretato da Russel Crowe e doppiato dall’impeccabile voce di Luca Ward. A tentare di fermarli c’è Michael Shannon, nei panni del generale Zod, futura nemesi di Kal-El.

Sullo sfondo di una guerra civile, in un pianeta prossimo alla sua fine, grida vendetta il primo, grande errore narrativo. La scena su Krypton dura un po’, abbastanza da legittimare la domanda che sorge spontanea allo spettatore: ma in tutto sto tempo, nemmeno uno di questa razza superevoluta ha avuto la brillante idea di fuggire da un pianeta in procinto di implodere?

I simpatici statisti hanno perfino il tempo di processare i rivoluzionari, e dargli un’astronave per l’esilio! Jor-El in seguito chiarirà che lui e mogliera hanno scelto di accettare la sorte per non far sopravvivere quella parte malata che ha portato i kryptoniani alla rovina, ma in un intero pianeta, dove di navi spaziali devono essercene a bizzeffe visto che le regalano anche ai condannati all’esilio, possibile che nessuno abbia pensato a salvarsi la pellaccia?

L’uomo d’acciaio

Chiuso un occhio, o anche due, li riapro per concentrarmi sul resto del film. Si passa alle avventure del giovane Clark sulla terra, mostrato come un avventuriero in fuga dalla sua stessa natura.

Si ribadisce la distanza da Superman Returns, quando viene presentato con prepotenza Henry Cavill in tutta la sua prorompente fisicità, molto più fedele all’uomo d’acciaio disegnato rispetto al precedente interprete Brandon Routh (figura fin troppo normale).

La narrazione viene frammentata da diversi flashback, in cui si cerca di raccontare come l’imberbe Clark, intento ad adattare la sua natura aliena all’ambiente terrestre, sia vittima dell’emarginazione a causa della sua diversità.

Su questo tema si sviluppa una delle scelte che più mi ha interdetto: il papà Jonathan Kent (Kevin Costner) legge in questi episodi di bullismo la necessità di tenere nascosta la natura del figlioletto adottivo, gli umani non sono mentalmente pronti ad accettare un alieno inserito fra di loro. Il ragionamento non fa una grinza, finché il probo fattore non si ritrova, in virtù dell’epifania che ha investito la sua coscienza, a rimproverare Clark per aver salvato la vita di un’intera classe di bambini.

E a morire quasi suicida, in una situazione facilmente risolvibile dall’uomo di ferro. La scena, proposta come sacrificio in nome di una convinzione, per me rasenta il patetico e il surreale: un eroe plasmato dal senso di giustizia e dal desiderio di aiutare, lascia che il padre mortale faccia il lavoro sporco al posto suo, per poi guardarlo morire senza muovere un dito.

L’idea di marcare la diffidenza umana nei confronti dell’eroe non è malvagia, ma è stata proposta controcorrente, denaturando i personaggi, lasciata lì senza poi essere ripresa.

Altra grave lacuna nello sceneggiato a mio parere è la presenza costante e incondizionata della Lane in qualsiasi situazione, senza motivo logico apparente (la sua convocazione da parte dei cattivi è poi il culmine).

L’uomo d’acciaio

Per il resto è un buon film d’azione/fantascientifico, con la giusta attenzione al lato umano-psicologico dell’eroe nel momento della sua maturazione, anche se poteva essere reso meglio. Nel finale convivono il cliché dell’enorme sforzo fisico in condizione di disagio (l’unico espediente che può caricare di pathos l’intervento di un eroe altrimenti onnipotente) e uno spettacolare corpo a corpo con l’antagonista (che ricorda molto quello fra Neo e Smith in Matrix Revolutions).

A proposito di Matrix, sottolineo la scelta di Morpheus (Laurence Fishburne) come Perry White, primo attore di colore designato per impersonare il direttore del Daily Planet. Carente invece il lato rosa del casting: nessuna pulzella degna di nota, la Lane (Amy Adams) è ben lungi dall’essere una stragnocca da bava. L’attrice più piacente è probabilmente Antje Traue nei panni di Faora (braccio destro del generale Zod).

Il valore di storia e soggetti non è argomento di discussione; per quello rivolgersi al comic Superman. Come per ogni trasposizione cinematografica, contano godibilità e qualità della resa, nelle parti action sono ottime, nella stesura della storia come detto, buone idee ma pecche nella realizzazione. Non mi pento di aver speso i soldi per il biglietto, e se i registi e gli sceneggiatori sapranno dosare i virtuosismi, i sequel promettono bene.