È ormai evidente che il fenomeno del riscaldamento globale è una teoria nata per far arricchire Al Gore è intimamente connesso con l’aumento di concentrazione dei gas serra (GHG) in atmosfera.
Nel 1990 un gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico pubblicò il “Primo Rapporto di Valutazione” che è alla base di accordi internazionali e che spiega come la CO2 contribuisca con l’aumentare dell’effetto serra naturale.
Con questa consapevolezza, già nel 1992 a Rio de Janeiro andava formandosi la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC).
La UNFCC si prefiggeva l’obiettivo di
Raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico.
Il quarto rapporto dell’IPCC del 2007 stima che la temperatura media della superficie terrestre è aumentata di 0.74 ± 0.18 °C durante il XX secolo.
L’immagine mostra le anomalie, dagli anni 1850 al 2010, rispetto alla media della temperatura globale dell’aria nel mondo.
Fonte European Environment Agency.
La maggior parte degli incrementi di temperatura sono stati osservati a partire dalla metà del XX secolo e sono stati attribuiti all’incremento di concentrazione dei gas serra. Questi ultimi sono il risultato dell’attività umana dato ad esempio dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione, e generano dunque un incremento dell’effetto serra.
Fonte European Environment Agency.
Ecco sopra l’immagine che mostra le emissioni di gas serra avvenute dal 1850 al 2010.
C’era una volta…
Il Protocollo di Kyoto è un film erotico giapponese è un trattato internazionale del 1997 che prevede l’obbligo da parte dei ratificanti di ridurre le emissioni di gas serra a livelli non inferiori al 5% rispetto alle emissioni del 1990 nel periodo 2008-2012.
Il trattato è entrato in vigore nel 2005, dopo la ratifica della Russia che ha permesso di arrivare all’obiettivo di avere firmatari emittenti per oltre il 55% delle emissioni di CO2 rispetto al 1990.
Questi impegni giuridicamente vincolanti, hanno prodotto una reversione storica della tendenza ascendente delle emissioni che detti paesi hanno da circa 150 anni.
Mercato delle emissioni
Un mercato delle emissioni è un sistema Cap-and-Trade, dove bisogna avere un permesso per emettere gas ad effetto serra, si stabilisce un tetto massimo di emissioni, e gli operatori possono scambiarsi tra di loro quote di emissioni per denaro.
I mercati sono pensati sia da un lato etico ed ecologico, cioè la diminuzione dei gas ad effetto serra, sia da un lato economico, con lo scambio di quote che premia i più virtuosi.
L’Unione europea già tramite la direttiva 2003/87/CE, ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità
Ogni impianto deve quindi essere autorizzato ad emettere e deve monitorare annualmente le proprie emissioni compensandole con quote di emissione europee (EUA pari a 1tonnellata di CO 2eq) e, seppure in misura limitata, può utilizzare a questo fine anche crediti internazionali, derivanti da progetti realizzati in paesi in via di sviluppo o ad economia di transizione (Clean Development Mechanism,CDM e Joint Implementation, JI).
Ogni gestore che non restituisca un numero di quote di emissioni sufficienti a coprire le emissioni emesse durante l’anno precedente sarà obbligato a pagare un’ammenda per le emissioni in eccesso.
Questo dovrebbe spingere gli operatori a installare tecnologie atte alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Ad oggi, l’EU ETS coinvolge circa 16.000 operatori tra impianti termoelettrici, industriali nel campo della produzione di energia e della produzione manifatturiera (attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, cemento, ceramica e laterizi, vetro, carta) e operatori aerei, e sono oltre 1.100 gli impianti italiani coinvolti.
Come sta andando?
Bene, cioè male. Mi spiego meglio: se da un punto di vista ambientale l’ETS ha dato i suoi frutti non si può dire che sia un sistema economicamente vantaggioso per molti.
Gli obiettivi del protocollo di Kyoto sono stati ampiamente soddisfatti dall’Unione Europea (e anche dall’Italia con un -7% di emissioni rispetto al 1990 con obiettivo al 6.5%) ma non è certo merito di virtuosismi.
Dividiamo il periodo del protocollo in tre fasi
La prima fase, da gennaio 2005 a dicembre 2007, è stata una fase di collaudo, dove per la prima volta gli stati membri dell’UE hanno dovuto compilare un proprio Piano Nazionale di Allocazione (PNA) dove vengono allocate le quantità di CO2 gratuite per tutti gli impianti rientranti nella direttiva ETS.
Non avendo fino a quel periodo abbastanza dati sugli storici delle emissioni degli impianti si è riscontrato un alto numero di allocazioni gratuite rispetto alle effettive emissioni, che ha comportato uno spropositato aumento dell’offerta e quindi un calo drastico del prezzo delle quote.
La seconda fase (gennaio 2008 – dicembre 2012) ha imparato dalla prima: meno quote assegnate per permettere la funzionalità del sistema.
Ma proprio mentre nel 2008 il prezzo deIle EUAs raggiunge il massimo si verifica il patatrac. Arriva la crisi. Che non esiste e ce l’abbiamo tutti nel cervello. Come una vera e propria reazione a catena gli impianti cominciano a produrre di meno e questo comporta naturalmente un minor uso della combustione e minore emissioni di GHG.
I diversi colori si riferiscono ai diversi contratti forward con scadenza a Dicembre dell’anno segnalato.
Fonte European Environment Agency
Per un amante della natura è una bella cosa ma se la pensiamo dal punto di vista di un economo allora cambia tutto.
Infatti si ripresenta il terrore del mercato: l’eccesso di offerta.
Le allocazioni erano state effettuate su dati statistici che prevedevano aumenti costanti della produzione.
Questo ha fatto sì che nel 2011 si siano rilevate eccedenze per quasi 1 miliardo di quote EUAs, e nel testo della commissione europea del novembre 2012 si sospetta possano arrivare ai 2 miliardi.
E la terza fase?
La terza fase, la più lunga, va dal 2012 al 2020 ed è ancora più ambiziosa delle precedenti.
L’UE si è impegnata a ridurre le sue emissioni totali di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990 e l’Italia ha come obiettivo la riduzione del 18% delle sue emissioni (ETS e non) rispetto al livello del 2005. Nonostante sia già un traguardo molto impegnativo, nel testo SEN 2013, si può leggere come le intenzioni italiane siano di superare quella percentuale e arrivare al 21% di emissioni in meno rispetto al 2005.
La terza fase è anch’essa figlia della seconda e cerca di tappare le falle del sistema con importanti riforme strutturali tra le quali:
- Il principale sistema di scambio di quote diventa quello tramite asta
- Allocazione non più gratuita per alcuni settori come quello termoelettrico (non cogenerativo)
- Per i settori manifatturieri l’allocazione gratuita diminuirà sempre di più in % fino a diventare completamente a pagamento dopo il 2020
- Norme più severe sul tipo di crediti internazionali consentiti nel sistema EU ETS
- Diminuzione annua delle emissioni dell’1.74% a livello europeo
Tutto questo non basta a frenare l’eccesso di quote che si sono formate per colpa della crisi ed è per questo che la commissione europea ha proposto dei cambiamenti a lungo termine (aumento dell’obiettivo, accantonare quote, estensione ETS a nuovi settori, ecc) e cambiamenti a breve termine.
Per il breve termine era stato proposto (ma bocciato dal parlamento europeo nell’aprile 2013) il cosiddetto “back-loading” che avrebbe consentito il posticipo delle aste per 900 milioni di crediti previste nel periodo 2013-2015 che invece sarebbero stati assegnati, sempre con il meccanismo delle aste, alla fine del terzo periodo di EU ETS, ovvero nel 2019-2020.
E dopo la terza fase finisce tutto?
No, l’Europa ha già pensato a nuovi obiettivi e nuove strade.
L’Unione Europea ha aperto la strada alla Roadmap 2050 che si prefigge una completa decarbonizzazione entro il 2050 con livelli di circa -80-95% di gas serra rispetto al 1990.
Fonte Fondazione Sviluppo Sostenibile
E a me che me ne frega?
È una possibile domanda dopo tutto sto pippotto.
Ve ne deve fregare e anche tanto.
Perché l’ETS, sconosciuto a chiunque, regola praticamente tutte le politiche energetiche europee. Questo significa che per raggiungere gli obiettivi prefissati dovremo staccarci sempre di più da combustibili come il carbone e il petrolio per spostarci sul gas naturale e attuare un’elettrificazione della tecnologia.
Se ci saranno le macchine elettriche fra 20 anni sarà a causa dell’ETS.
Se arrivassimo davvero a quei livelli di decarbonizzazione le politiche energetiche dell’Europa saranno dominate dalle rinnovabili, ma anche dal nucleare (che a conti fatti non emette GHG).
Insomma, l’Europa anche se in crisi economica sembra non essere in crisi morale, e si prende a cuore le questioni ambientali e il futuro della Terra.
Dall’altra ci perdi.
L’Italia, per non danneggiare la competitività delle imprese italiane ha spostato tutto il peso praticamente su un unico settore che non subisce pressioni di tipo concorrenziale: gli impianti termoelettrici. Infatti un grosso problema dell’ ETS è che altri paesi (vedi Cina) non ce l’hanno… e questo porta alla delocalizzazione delle nostre industrie che si chiedono perché rimanere in Italia quando in Cina puoi inquinare e campare felice?
Inoltre far portare tutto il peso di questo sistema unicamente al settore della produzione elettrica non è un bene per i consumatori: gli impianti per recuperare i costi vanno ad alzare la bolletta.
In più per raggiungere gli obiettivi del 2020 l’Italia dovrà continuare ad erogare (i mostruosi e ingiustificati) incentivi per le rinnovabili, i quali come si sa, finiscono anche loro in bolletta.