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Riciclare la “plastica”: perchè è (quasi) impossibile

Riciclare la “plastica”: perchè è (quasi) impossibile

Mai come ora si fa un gran parlare di riciclo, raccolta differenziata, rispetto per l’ambiente, pace amore e fantasia. Ma quanto di tutto ciò è reale e quanto è solo buonismo spiccio? I mattoncini Lego che ho appena comperato derivano dalle biro di un onesto cittadino scandinavo? La bottiglia che ho sul tavolo la devo anche all’imballaggio del televisore del mio coinquilino? Tanto è tutta plastica… O no?

Parlando con amici e conoscenti, ho sentito che alcuni (troppi) di loro propendono per un timido “sì” come risposta alla domanda precedente.

Dato che “se non c’è su LN, non esiste”, da semplice laureando in ingegneria dei materiali provo comunque a fare un poco di chiarezza sull’argomento, per molti aspetti spinoso e sottovalutato.

Quanto di tutto ciò è realmente fattibile?

Sono stati spesi fiumi e fiumi di parole e di frasi fatte in questo periodo di campagna elettorale e si son sentiti da tutte le parti slogan del tipo “basta discariche”, “basta inceneritori”, “il riciclo è il futuro”. Sono tutte belle posizioni, tutte condivisibili, ma quanto di tutto ciò è realmente fattibile?

 

 

La “plastica”… Cos’è?

Per riuscire a capire meglio come funzionano le filiere della produzione e del riciclo delle materie plastiche occorre prima capire a grandi linee di cosa stiamo parlando, quindi facciamo una piccola premessa un po’ tecnica ma che risulta essere indispensabile per capire il maggior problema del riciclo.

Innanzitutto il termine “plastica” è un termine generico al massimo, è come identificare un pezzo d’acciaio col termine “metallo”, non mi aiuta. Al di là del fatto che il termine corretto sarebbe “materiali polimerici”, esistono miriadi di plastiche diverse con proprietà diversissime, passando da quelle più economiche che a 40° sembrano già yogurt arrivando a materiali che costano centinaia di euri al chilo che resistono a temperature prossime ai 400° e in ambienti assurdamente aggressivi.

Tuttavia tutti i materiali polimerici hanno in comune una semplice caratteristica: sono composti da polimeri. You Don’t Say??

Ebbene sì, a differenza di gran parte degli altri materiali strutturali, le plastiche sono composte da intrecci complessi di lunghe molecole, più o meno lineari e flessibili, formate da copie di uno stesso “gruppo” molecolare agganciate le une alle altre da vari tipi di legami.

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Quindi immaginate ogni oggetto in plastica come un gomitolo di “spaghetti” (le catene) tutti aggrovigliati fra di loro, tenuti assieme sia dagli intrecci fisici (catene che si annodano e attorcigliano) sia da punti di contatto chimici, che possono essere molto deboli o molto forti, come vedremo fra un attimo.

Con questa immagine in testa possiamo enunciare uno dei concetti fondamentali di tutto sto pistolotto (anche se molto semplificato, le variabili in gioco sono molte di più) :

un materiale polimerico è tanto più rigido e resistente tanto più le catene che lo compongono sono lunghe o “irregolari”, cioè presentano altre ramificazioni oltre a quella principale.

L’analogia più efficace è ancora quella culinaria: se immaginiamo di mettere in un piatto un etto di spaghetti interi senza olio e in un altro piatto un etto di spaghetti spezzettati con un una bella mestolata di sugo, in quale dei due vi aspettate maggiore compattezza?

Quindi catene più semplici e corte daranno vita a plastiche meno resistenti rispetto a catene più lunghe e più articolate nella loro struttura.

Un indice molto usato per valutare la lunghezza e la complessità di un polimero è il suo peso molecolare, seguendo il principio che (in media) più una catena è lunga, più atomi conterrà, risultando quindi più pesante.

 

 

 

Sono tutte uguali?

C’è un’ultima differenza che è importante notare prima di arrivare a parlare di riciclo vero e proprio, dato che è necessario distinguere fra:

  • Polimeri non reticolati – in sostanza quelli descritti finora, senza legami forti fra le varie catene
  • Polimeri reticolati – ovvero materiali in cui tutte le catene sono “saldate” le une alle altre, come se fossero un’unica grande rete ripiegata

Questi ultimi comprendono ciò che comunemente noi chiamiamo “gomme”, ad esempio la gomma con cui sono realizzati gli pneumatici delle nostre auto, e i vari tipi di resine in commercio.

La differenza può sembrare banale, ma in realtà porta come conseguenza che le gomme non fondono, cioè tendono a rammollire sempre di più con la temperatura, ma mantengono sempre una loro coerenza interna, senza mai arrivare allo stato di liquido viscoso, fino alla loro carbonizzazione. Non possono quindi essere “rifuse”.

Tenendo conto che in tutti i processi di produzione di manufatti in plastica è previsto il passaggio dallo stato solido, generalmente in granuli, a quello di fuso, ciò significa che non possono essere riformate una seconda volta, ovvero non possono essere riciclate nel vero senso del termine: uno pneumatico usato non potrà più ritornare ad essere un nuovo pneumatico.

 

 

 

Come si ricicla

Senza entrare in dettagli troppo tecnici, che sarebbero decisamente fuori dalla mia portata, essenzialmente il processo di riciclo di un materiale segue questi step:

  • Raccolta, pulizia e separazione – la parte più difficile e delicata, idealmente dovrebbe isolare ciascun tipo di plastica da sporco e etichette varie.
  • Macinazione – per riottenere il materiale in granuli necessario per il processing con i macchinari già a disposizione
  • Eventuale addittivazione – vengono aggiunti additivi vari come i coloranti e altri modificanti di processo
  • Rifusione e produzione nuovi manufatti – con le tecnologie adeguate (stampaggio a iniezione, soffiaggio etc..)

Potenzialmente è possibile trattare tutti i polimeri non reticolati in questo modo, ma per motivazioni prettamente economiche e logistiche a livello industriale ci si concentra sulle categorie più diffuse, che sono regolate ed identificate dall’ormai famoso simbolo con le tre freccette con all’interno un numero:

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  1. PET – bottiglie e contenitori vari, alcuni componenti elettrici (multiple ecc..)
  2. PE-HD – flaconi e contenitori, oggetti vari (giocattoli ecc…)
  3. PVC – alcuni contenitori e oggetti per l’edilizia (infissi, tubazioni, ecc…)
  4. PE-LD – borse e film per imballaggi
  5. PP – contenitori vari
  6. PS – una delle più diffuse, impieghi vastissimi

 

 

 

Problemi

Fin qui sembra tutto facile, basta raccogliere bene e poi l’industria farà il resto, ciclando quasi all’infinito i rifiuti, come accade per vetro e alluminio. E allora perchè quello delle plastiche rimane un problema così spinoso?

Le motivazioni sono essenzialmente tre, strettamente interconnesse fra di loro:

 

Logistica

La motivazione più “semplice” da risolvere, ovvero quella legata al problema della raccolta e della differenziazione fra i vari tipi di plastica. Come è intuibile non è possibile mischiare i vari tipi di materiale, se voglio una bottiglia in PET devo partire dal PET, non posso avere tracce di altre sostanze, oppure la mia bottiglia farà schifo.

Il problema è più sentito di quanto si pensi, dato che spesso è legato anche a motivi di progetto. Ad esempio fino a poco tempo fa (e per molte marche anche tuttora) le bottiglie in PET avevano il tappo e l’anello di sicurezza realizzati in PE. Come potrete immaginare è pura follia pensare di rimuovere tutti gli anelli dal collo delle bottiglie in un impianto di riciclaggio.

 

Tecnologica

Qui ritorna in gioco il concetto di peso molecolare, dato che il processo di riciclo prevede un passaggio di macinazione del rottame. Macinando i rifiuti vado a spezzare meccanicamente gran parte delle catene, riducendo drasticamente il loro peso molecolare! E vi ricordate il nostro piatto di spaghetti tagliati?

In tutti i casi il polimero riciclato ha prestazioni meccaniche molto inferiori rispetto al polimero vergine.

Ciò limita in maniera molto pesante le possibili applicazioni: chi fra di noi sarebbe contento di avere un vassoio che si rompe al minimo colpo? O di utilizzare una biro da mezzo chilo per evitare che si spezzi alla prima parola? Per non parlare di tutti quei settori in cui la rottura non è tollerata, basti pensare all’ automotive.

Esistono sì dei processi e degli additivi che permettono di ridurre sensibilmente in fenomeno, ma sono processi lunghi e molto costosi.

Va inoltre ricordato che una plastica per essere riciclata deve essere per lo più priva di additivi ed inquinanti, quindi al di là dei coloranti, è necessario scartare dal già esiguo numero di plastiche riciclabili anche la grande famiglia dei compositi (fibre di vetro/carbonio che sono più comuni di quanto si pensi), scarti di ospedali ecc…

 

Economica

La motivazione forse più invalidante di tutte:

Produrre un manufatto in plastica riciclata costa svariate volte di più che produrlo utilizzando materiale vergine

Nonostante tutto è questo il vero nocciolo della questione: un qualsiasi produttore (se non incentivato) si guarderà bene dallo spendere risorse e denaro nel tentativo di trovare un processo che permetta di avere un prodotto equivalente utilizzando materiale riciclato, spendendo molto di più.

 

 

 

Alternative

Esistono anche polimeri cosiddetti “biodegradabili“, che permetterebbero di risolvere il problema alla radice, ma allo stato attuale rimangono per lo più una “foglia di fico”, dato che costano più del doppio (i più economici sono attorno alla decina di euri al chilo, contro i 4/5 euri del PET più costoso) , sono molto poco performanti (chi non ha insultato pesantemente varie divinità al rompersi del sacchetto della spesa) e alcuni pure maleodoranti.

Da considerare anche uno dei più pratici impieghi delle plastiche e gomme ormai giunte a fine vita: ovvero la macinazione e l’impasto per la realizzazione di pannelli isolanti o come additivi in vari altri processi produttivi (asfalto ad esempio), ma anche qui si tratta comunque di palliativi, incapaci di far fronte alla spropositata quantità di rifiuti plastici che continua ad essere prodotta.

 

 

 

Conclusioni

In sostanza i nostri giorni sono radicalmente cambiati grazie alle incredibili proprietà di materiali leggeri, formabili, poco costosi e relativamente resistenti come lo sono le plastiche.

Ma come tutte le cose belle presentano un rovescio della medaglia che è stato fin troppo a lungo ignorato e che continua ad essere snobbato da gran parte dei “non addetti”.

Non ha alcun senso parlare di raccolta differenziata come soluzione “finale” del problema rifiuti, dato che, come ho tentato di far vedere, il problema è molto più complesso ed è inutile nascondersi dietro ai soli buoni propositi.

Riciclare efficacemente è (praticamente) impossibile.

Bisogna cercare di agire di conseguenza, cercando di limitare gli abusi di packaging, oppure semplicemente cercando (sia noi sia i progettisti) di allungare il più possibile la vita utile dei nostri oggetti quotidiani. La differenziata può essere un aiuto, ma bisogna convincersi che la posta in gioco è ben più alta!

Spero che questo mio infimo articolo vi abbia magari dato qualche risposta o, ancora meglio, vi abbia suscitato qualche nuova curiosità sul grande e (a parer mio) bellissimo mondo dei materiali e di tutti i problemi ad esso connessi. Sono stato volutamente molto generico, in caso ci siano dubbi farò del mio meglio per dare qualche risposta!

 

Tutto ciò che ho “raccontato” deriva per la maggior parte dalle nozioni e dall’esperienza accumulata in cinque anni grazie a vari corsi e chiacchierate con professori in facoltà, i testi di riferimento sono vari, ne inserisco un paio per chi volesse approfondire:

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