[image]https://leganerd.com/wp-content/uploads/LEGANERD_048211.jpg[/image]

Nella radiosa giornata del 25 giugno, Giovanni fu svegliato dall’odiosa suoneria “Coming Home”, che la malvagia multinazionale Nokia usa per influenzare negativamente le nostre menti già dal mattino. Non sufficienti le oscure congiure dei potenti a rovinargli la giornata, scendendo a far colazione si esibì in una musicale combinazione di imprecazioni e mugolii: da una parte, infatti, ricordatosi di dover far in fretta per non tardare all’esame di maturità, non poté concedersi la tradizionale ora di sonno dopo la sveglia; dall’altra, dimenticatosi gli occhiali sul comodino, riscoprì l’efficacia delle terminazioni nervose dell’ alluce, testandole sui vari mobili.

Non era mai stato una persona facile alla tensione: gli ostacoli, anziché fonti di disperazione, apparivano noiose seccature da risolvere per poter ottenere qualcosa di gradito; l’esame, a sua volta, non costituiva una minaccia per la sua tranquillità o la sua autostima: i voti, in fondo, sono un valore dato ad un certo lavoro, un giudizio limitato dall’hic et nunc. C’è chi ne ottiene di migliori esprimendo ciò che vuole il destinatario, anziché rivelare il proprio essere, e chi ha rendimenti inferiori perché non ha ancora trovato la giusta via di espressione. Una visione piuttosto menefreghista, quasi stoica, un’ostinata considerazione costruttiva delle critiche. In breve, era un paraculo. Nemmeno queste convinzioni, purtroppo, gli furono sufficienti a togliere un po’ d’agitazione la mattina della terza prova.

Arrivato non del tutto indenne alla cucina, si approssimò con circospezione al vano dei biscotti: era sua responsabilità assicurarsi che nessuno li consumasse per spuntini notturni, rovinandosi così la linea. Prendeva il compito molto sul serio: era già andato ad accertarsi che non ne mancassero sia a mezzanotte che alle due. Nonostante il suo impegno, misteriosamente, risalite le scale ne restavano puntualmente meno di quando le avesse scese.

Si gustò le poche, contate Gocciole che la sua dieta gli imponeva: viste le calorie, era proibitivo mangiarne più di un paio… Considerato soprattutto che la fame nervosa lo costringeva ad immergere la mano altre due volte dentro il sacchetto, ed altrettante lo fece per consolarsi preventivamente dell’esito delle prove. Conclusa la magra colazione con due tazze di latte, si accorse di aver inspiegabilmente fatto tardi: colpa delle scale, fanno sempre perdere tempo quando si ha fretta.

Presa da un istinto animale, la sua mente combatté l’abbiocco con l’adrenalina, catalogando l’intera componente vestiaria dell’armadio per poter selezionare quanto prima il più adatto abbigliamento. Il punto di partenza fu costituito dalle Converse nere su cui ebbe la sventura di inciampare: jeans e camicia avrebbero formato una combinazione sobria nella propria eleganza.

Debellato il contatto del pigiama con l’epidermide, volse il pensiero alla scelta dei calzettoni: gli agglomerati tessili così denominati, infatti, nonostante la cura con cui la sera prima ci si assicuri della loro presenza, traslano dimensione alla chiusura dei cassetti, per non tornare fino a dopo il momento del bisogno.

Agguantatane una coppia, sfidò la fretta per controllarne in colore. Data la stanchezza, la giallognola luce della lampada rendeva ancora più difficile il compito di quanto non mancasse d’aiutare l’assenza degli occhiali. Era l’unico paio di calzini non caratterizzato da scritte esplicitamente fasulle come NKE o da temi ricamati a quadri; nella semioscurità iniziale erano parsi grigi, ma ad un’ispezione più approfondita si erano rivelati quasi blu.

Non potendosi permettere di perdere tempo a sforzare la vista, alzò la persiana e andò a prendere gli occhiali, inforcandoli con nervosismo, conscio della perdita di tempo che quella banale difficoltà rappresentava. A quel punto si sedette sul letto, con i calzini poggiati sulle gambe ancora nude, cercando di discernere la tonalità dell’indumento. Per quanto si sforzasse, tuttavia, non riusciva a capire se fossero blu, viola o grigi: come se fosse regredito ad uno stato idiota simile al fanciullino pascoliano, e, trovatosi per la prima volta di fronte a quel colore, non fosse in grado di identificarlo. Restò minuti seduto a meditare sulla vitale questione.

D’un lampo, agli occhi balenò un’immagine, un ricordo dei tempi andati in cui ancora credeva a Babbo Natale e a Voyager: un servizio sul daltonismo, secondo cui date persone potessero risultare impossibilitate a distinguere specifiche gamme cromatiche. Ma non poteva essere, se ne sarebbe accorto ben prima – rifletté. Come si può passare diciotto anni senza rendersi conto di non percepire un colore? Non sarebbe stato il primo caso, credendo ai reporter della trasmissione. Eppure è incredibile.

Gli venne da sorridere, collegando l’argomento a una delle solite frasi da Perugina che talvolta la memoria gli somministrava furtivamente: Shakespeare non diceva forse che una rosa odora di rosa anche chiamata diversamente? E che cambia nel mondo se non si capisce cos’è il viola o cos’è il blu?

La riflessione si immerse nei meandri dei ricordi, rievocando situazioni, eventi od opportunità: quante volte aveva visto le cose in modo errato? Il daltonismo è sempre stato presente, ma lui non era mai riuscito ad avvedersene. Un male che offusca la visione delle cose, ridotta come in una corsa ad alta velocità. Il mondo non è fatto di grigi, come afferma invece l’opinione pubblica, quasi a celebrare una massima filosofica. Il mondo è costituito da colori che il suo difetto non gli aveva permesso di vedere, di scoprire e poi analizzare.

Come sarebbe stata la sua vita se avesse percepito correttamente quella tonalità? Avrebbe attestato nelle persone alcune differenze prima inedite? Forse si sarebbe reso conto prima degli errori, potendoli vedere. Gli sbagli hanno un colore? No, dice la ragione. Ma che può saperne qualcuno incapace di distinguere quello di un calzino? Gli uomini illuminati, forse, sono quelli i cui occhi registrano spettri d’onda più ampi: dalla maggiore predisposizione fisica, la maggiore apertura mentale.

E’ dunque ammissibile che si definisse un illuminato? Avendo scoperto il proprio limite, una persona istintivamente coglie l’esistenza di qualcosa d’oltre. E non è questa consapevolezza che genera gli uomini migliori? Si può davvero valutare la superiorità mentale di un individuo solo grazie ad una visita dall’oculista?

Giovanni ritornò alla realtà. Di test ottici ne aveva già fatti, e li aveva già superati tutti brillantemente. Non era daltonico di certo, nemmeno nelle forme meno accentuate: la bruciante paranoia che i servizi di Voyager innestano sotto la cute lo aveva quanto meno spinto a verificare la cosa da tempo.

Eppure il calzino era lì, e sembrava aspettare, tronfio della propria supremazia psicologica, che lo si identificasse. Il calzino di Schröedinger, indefinito fino al momento della verifica. Un’appendice tessile che la tecnica umana aveva sviluppato per sopperire alla puzza dei piedi scalzi, a cui eoni di evoluzione non erano riusciti a porre rimedio. Come può qualcosa di così innocuo scardinare le certezze?

Fu allora che se ne rese conto: il calzino è una menzogna.

[rubrica] [[tag]CoolStoryBro[/tag]] è la rubrica di Lega Nerd dedicata alla letteratura amatoriale [/rubrica]