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E’ il 30 luglio di ormai più di 40 anni fa (41 per l’esattezza), il mondo guarda alla televisione l’allunaggio da parte degli astronauti dell’Apollo 15, la 9 missione Apollo e la 4 che prevede un allunaggio completo.
E’ la prima missione a essere definita J, ossia la prima a prevedere una permanenza di 3 giorni sul suolo lunare e a permettere agli astronauti di concentrarsi sulla raccolta di campioni e sull’analisi scientifica.
La missione è un successo, gli astronauti riportano a terra grandi quantitativi di rocce lunari (circa 77 kg).
Dopo una permanenza di due giorni e diciotto ore sul nostro satellite l’equipaggio riparte verso casa rientrando nell’atmosfera il 7 agosto, ammarando nell’Oceano Pacifico e venendo rapidamente recuperati dalla USS Okinawa concludendo una missione di 12 giorni e 7 ore.
Ma oggi volevo ricordare un’altra impresa, un gesto tanto semplice quanto importante.
Un piccolo tributo che il comandante David R. Scott ha voluto fare ai suoi colleghi, ai suoi amici e anche a quelli che il suo Paese gli imponeva di considerare i suoi nemici.
Oggi volevo ricordare il Fallen Astronaut.
Il 1° Agosto del 1971, insieme al suo equipaggio, il comandate R. David Scott lasciò sulla superfice lunare una piccola scultura, rappresentante un astronauta stilizzato e una targa di alluminio con 14 nomi.
La scultura fu commissionata a un certo Paul Van Hoeydonck che Scott aveva conosciuto a una cena.
L’oggetto venne poi nascosto e portato a bordo del modulo spaziale e quindi depositato senza troppo scalpore sulla superficie lunare.
[dida]Il tutto dovette venir fatto nella massima segretezza[/dida]Il tutto dovette venir fatto nella massima segretezza, con questo oggetto infatti Scott e i suoi uomini volevano ricordare gli astronauti che avevano dato la vita per la conquista dello spazio, ma non solo quelli americani, anche i cosmonauti russi.
E nel 1971 i Russi erano i nemici.
[title]I 14 Nomi[/title]
La targa di alluminio che accompagna la scultura riporta i nomi di 8 astronauti americani e di 6 cosmonauti russi.
Theodore Freeman
Charles Bassett
Elliott See
Gus Grissom
Roger Chaffee
Edward White
Vladimir Komarov
Edward Givens
Clifton Williams
Yuri Gagarin
Pavel Belyayev
Georgi Dobrovolski
Viktor Patsayev
Vladislav Volkov
In approfondimento ci sono i loro nomi e le loro storie prese dal libro di Paolo Attivissimo – “Luna? Si, ci siamo andati” e da Wikipedia.
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[b]Theodore Cordy Freeman[/b]
Capitano dell’USAF, ingegnere aeronautico e pilota collaudatore di velivoli sperimentali, Freeman fece parte del terzo gruppo di astronauti scelto dalla NASA nell’ottobre del 1963. Morì il 31 ottobre 1964 in un incidente aereo: il T-38 che pilotava fu colpito da un’oca sul parabrezza, frammenti del quale furono ingeriti dai motori.
Freeman si eiettò, ma la quota di volo era insufficiente e il paracadute non ebbe il tempo di aprirsi. Aveva 34 anni.
Fu il primo astronauta designato statunitense a morire nel corso del programma spaziale.
[b]Charles Arthur Bassett II ed Elliot McKay See, Jr.[/b]
Charles Bassett II era capitano dell’USAF, pilota collaudatore e membro del terzo gruppo di astronauti scelti dalla NASA nell’ottobre del 1963; Elliot See era ingegnere e pilota della US Navy e pilota collaudatore e faceva parte del secondo gruppo di astronauti, selezionati nel settembre del 1962, oltre a essere responsabile della supervisione della progettazione e dello sviluppo dei sistemi di guida e navigazione dei veicoli spaziali statunitensi.
Bassett e See furono scelti per la missione Gemini 9, ma morirono il 28 febbraio 1966 nello schianto del loro jet da addestramento T-38, durante l’avvicinamento per un atterraggio strumentale in condizioni di scarsa visibilità. Bassett aveva 34 anni; See ne aveva 38.
[b]Roger B. Chaffee, Virgil I. “Gus” Grissom, Ed H. White[/b]
Il 27 gennaio 1967, Grissom, White e Chaffee, astronauti statunitensi, erano sulla rampa di lancio, all’interno della capsula Apollo 1, per un’esercitazione statica di routine in preparazione per il proprio volo spaziale quando nella capsula scoppiò un incendio.
Nell’atmosfera di ossigeno puro a pressione atmosferica usata per l’esercitazione le fiamme trasformarono istantaneamente la capsula in un inferno, uccidendo i tre astronauti in non più di trenta secondi. L’improvvisa sovrapressione interna bloccò il portello, che si apriva verso l’interno, impedendo qualunque tentativo di fuga e di soccorso.
La tragedia ebbe enorme risonanza negli Stati Uniti e spinse la NASA a ripensare drasticamente le proprie procedure e a potenziare la riprogettazione del veicolo Apollo che era già in atto, adottando per esempio un portello che si apriva facilmente e verso l’esterno, rimuovendo gran parte dei materiali infiammabili e adoperando un’atmosfera di azoto e ossigeno per la fase di lancio.
Le modifiche apportate resero i veicoli Apollo molto più sicuri e affidabili di quanto fossero inizialmente. In un certo senso, il successo delle missioni lunari è una diretta conseguenza del sacrificio di Grissom, White e Chaffee.
[b]Vladimir Komarov[/b]
La Soyuz 1 di Komarov partì dal cosmodromo di Baikonur il 23 aprile 1967 e manifestò problemi subito dopo il decollo.
Uno dei suoi pannelli solari non si aprì, producendo una carenza d’energia elettrica a bordo e rendendo difficili le manovre di correzione d’assetto.
Dopo tredici orbite il sistema di stabilizzazione automatico era completamente fuori uso e quello manuale funzionava solo parzialmente.
Fu deciso di interrompere la missione, e cinque orbite più tardi fu avviato il rientro nell’atmosfera. Il paracadute-guida si aprì regolarmente, ma quello primario non fece altrettanto a causa di un sensore di pressione difettoso.
Komarov aprì il paracadute di riserva, che però s’impigliò in quello di guida che non si era sganciato.
Di conseguenza la discesa della capsula fu frenata solo parzialmente e la Soyuz colpì il
suolo a circa 140 chilometri l’ora, uccidendo Komarov all’istante.
[b]Edward Galen Givens, Jr.[/b]
Maggiore dell’USAF e pilota collaudatore, Givens fu selezionato dalla NASA nell’aprile del 1966 come componente del quinto gruppo di astronauti, composto da 19 uomini.
Completò l’addestramento da astronauta ed ebbe il ruolo di membro dell’equipaggio di supporto
dell’Apollo 7.
Il suo gruppo doveva fornire piloti astronauti per l’Apollo Applications Program, all’epoca concepito come un insieme di dieci allunaggi e trenta voli verso stazioni spaziali orbitanti intorno alla Terra.
Praticamente tutti gli altri membri del gruppo volarono nelle missioni Apollo, Skylab o Shuttle, ma Ed Givens morì in un incidente d’auto il 6 giugno 1967. Aveva 37 anni.
[b]Clifton Curtis Williams, Jr.[/b]
Maggiore dei Marines degli Stati Uniti e pilota collaudatore, Williams fu selezionato per il terzo gruppo di astronauti NASA nell’ottobre del 1963 e fu assegnato all’equipaggio di riserva della Gemini 10 e a quello dell’Apollo 9.
Morì il 5 ottobre 1967, all’età di 35 anni, quando un guasto meccanico all’addestratore supersonico T-38 che stava pilotando rese inservibili i comandi e l’aereo iniziò un rollio incontrollato.
Williams si eiettò, ma era troppo veloce e troppo basso.
La missione Apollo 12 lo commemorò adottando un’insegna a quattro stelle (una per ciascuno degli astronauti che volò, più una per Williams) e deponendo sulla Luna la sua spilla alata, quella che viene consegnata a ogni astronauta: vi provvide Alan Bean, che era stato suo comandante nell’equipaggio di riserva della missione Gemini 10.
[b]Yuri Gagarin[/b]
Maggiore dell’aeronautica dell’Armata Rossa fu selezionato per essere il primo uomo ad andare nello spazio.
Con la Vostok 1 il 12 aprile 1961 effettuò la prima orbita ellittica intorno alla terra, rimanendo nello spazio per 88 minuti.
Venne decorato con l’Ordine di Lenin, la massima onoreficenza russa e divenne un eroe nazionale.
Collaborò quindi alla preparazione di diverse altre missioni spaziali.
Gagarin morì il 27 marzo 1968 a bordo di un piccolo caccia MiG-15UTI, schiantatosi al suolo nelle vicinanze della città di Kiržač.
Le sue ceneri riposano al Cremlino.
[b]Pavel Belyayev[/b]
Maggiore dell’aeronautica dell’Armata Rossa e pilota di aerei da combattimento, Belyayev venne selezionato nel 1960 per il primo gruppo cosmonauti scelti da parte dell’Unione Sovietica.
Prese parte con il ruolo di comandante alla missione Voskhod 2 durante la quale venne effettuata la prima attività extraveicolare della storia.
Morì il 10 Gennaio 1970 a causa di una polmonite sopraggiunta a seguito di un’operazione allo stomaco.
[b]Georgi Dobrovolski, Viktor Patsayev, Vladislav Volkov[/b]
Questi tre cosmonauti sovietici avevano completato con successo la prima visita alla prima stazione spaziale della storia dell’astronautica, la Salyut 1, e stavano iniziando le manovre di rientro a Terra, il 30 giugno 1971, quando la cabina della loro Soyuz 11 si depressurizzò in pochi secondi, a causa di una valvola danneggiata, mentre il veicolo era nello spazio a 168 chilometri di quota.
La valvola era inaccessibile e i cosmonauti non indossavano una tuta pressurizzata a causa delle dimensioni anguste della capsula, per cui morirono per carenza d’aria. Dobrovolski aveva 43 anni; Patsayev ne aveva 38; Volkov 35.
Le loro ceneri si trovano al Cremlino
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Scott inoltre affermò in un’intervista che avrebbe voluto far apporre anche i nomi di Valentin Bondarenko e di Grigori Nelyubov, ma ai tempi la censura russa aveva fatto scomparire i loro nomi e (nel caso di Bondarenko) gli incidenti occorsi al loro programma spaziale.
[title]Un Simbolo di Pace[/title]
Quello che fecero Scott e i suoi uomini ormai 40 anni fa può sembrarci una cosa semplice e dovuta, dopotutto sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti onoravano giustamente i loro astronauti morti come eroi.
Però i due Paesi erano in guerra, una guerra non dichiarata ma che potenzialmente avrebbe potuto condurre a un olocausto nucleare.
[dida]Per noi oggi è difficile capire quel clima di tensione e di odio reciproco[/dida]Per noi oggi è difficile capire quel clima di tensione e di odio reciproco, ma era un sentimento diffuso, quasi naturale, quello che fece Scott sfidava uno dei cardini della logica di contrapposizione che andava avanti da più di vent’anni, sfidava le regole e gli ordini, tutto per rendere omaggio anche ai morti del “nemico”.
Per questo il gesto di Scott assume un valore così alto.
Nel 1971 la corsa allo spazio era fondamentalmente conclusa, dopo una spettacolare partenza dei russi la tecnologia americana aveva recuperato e la sfida più importante, portare un uomo su un mondo al di fuori del nostro, era stata condotta a termine dagli Stati Uniti, incoronandoli come “vincitori” di tale gara.
Eppure quella gara non sarebbe nemmeno stata iniziata se i Russi non avessero stupito il mondo con i loro incredibili successi.
E, soprattutto, in quella gara morirono delle persone, il cui sacrificio rese possibile a Scott (e prima di lui ad Armstrong e gli altri) di posare i piedi sulla Luna, la più grande impresa dell’umanità.
L’umanità è andata nello spazio, non i russi, non gli americani, ma gli uomini, e nel farlo molti di loro sono morti, sono morti per permetterci di portare a compimento uno dei sogni più belli che tutti noi condividiamo.
Non importa da dove venissero, l’importante è dove volevano arrivare.
Ed è questo che l’equipaggio dell’Apollo 15 voleva fosse ricordato per sempre.
Fonti
– [url=http://en.wikipedia.org/wiki/Fallen_Astronaut]Fallen Astronaut[/url] (Wikipedia.org)
– [url=http://en.wikipedia.org/wiki/Apollo_15]Apollo 15[/url]) (Wikipedia.org)
– Paolo Attivissimo – Luna? Si ci siamo andati.
[spoiler]BTW è anche l’anniversario della mio ingresso sulla Lega, buon legacompleanno a me! e buon lunacompleanno al Fallen Astronaut.
E’ una coincidenza? Noi di Voyager non sappiamo di che stiamo parlando…
PS lo so che la luna non è un pianeta o un mondo ma mi andava di scrivere così, non cacate il caxxo.
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