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L’ incidente del passo di Djatlov

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L’alpinismo porta con sé dei rischi, ma anche tutta la bellezza
che si nasconde nell’avventura dell’affrontare l’impossibile.

Reinhold Messner

History Channel è una miniera di fatti curiosi e spiegazioni astruse buttate lì con la consueta tecnica del “alcuni sostengono”, ma se non altro ha il merito di far scoccare la scintilla della curiosità. Era un torrido pomeriggio quando mi sono imbattuto in questo “documentario” (passatemi il termine, siate buoni) su quello che diverrà poi noto come “l’incidente del passo di Djatlov” e sono andato a ravanare nei meandri della rete per esporvi i fatti conosciuti e le congetture ad essi ispirate…

 

Premesse

Nel gennaio del 1959 dieci tra nullafacenti studenti universitari e disoccupati neolaureati dell'Istituto Politecnico degli Urali (Уральский Политехнический Институт, УПИ), otto baldi giovini e due prodi donzelle (a proposito di Gangbang) capitanati da Igor Alekseevič Djatlov (Игорь Алексеевич Дятлов) (da cui deriverà poi la toponomastica del passo) decisero di avventurarsi in un’escursione sugli sci di fondo attraverso gli Urali settentrionali, nell'oblast’ di Sverdlovsk (Свердло́вская о́бласть) con lo scopo ultimo di allenarsi per delle future spedizioni artiche. Erano tutti escursionisti esperti e competenti (di certo non gente come me che durante la scampagnata di Pasquetta finisce regolarmente a calpestarsi la lingua) ma qualcosa andò terribilmente storto.

D’altronde, quando ti avventuri su un monte che si chiama Cholat Sjachl (Холат Сяхл), che in mansi significa “montagna dei morti” certo un po’ te la vai a cercare. Tra l’altro la loro meta ultima era l’Otorten (Отортен), una cima montuosa 10 km a nord del passo su cui avvenne l’incidente, che sempre in mansi significa, più o meno, “non ci andate!”. Insomma, uomo avvisato…
Ma, ironia a parte, cosa successe esattamente?

Morirono tutti, mi sembra ovvio. Ok, non tutti tutti, nove su dieci. Ma solo perché il decimo si beccò tipo una diarrea micidiale un brutto malanno e dovette rientrare prima della fatidica notte del 2 febbraio.

Il percorso

“Fortunatamente” ricostruire gli spostamenti e le attività degli esploratori nei giorni precedenti l’incidente è piuttosto semplice, dal momento che erano equipaggiati con macchine fotografiche e diari, ritrovati in seguito sul luogo dell’incidente

I nostri erano arrivati il 25 gennaio a Idvel’ in treno, per poi proseguire in camion verso Vižaj (Вижай), ultimo avamposto della civiltà, prima di avventurarsi nel lungo cammino che li avrebbe dovuti portare al monte “NonCiAndate!” Otorten. Percorso tutt’altro che facile, soprattutto in quella stagione, tanto da venir considerato di categoria III (manco a dirlo, la più difficile). Il 28 un membro della spedizione, Jurij Efimovič Judin (Юрий Ефимович Юдин) tornerà indietro per i problemi di salute di cui sopra, lasciando gli altri in 9.

Uhm… nove membri di una spedizione verso una lontana montagna che si trovano ad attraversare un passo innevato… dove l’ho già sentita…?!

Il 31 gennaio la compagnia dell’anello arriverà sull’altopiano alla base del Cholat Sjachl, dove depositeranno parte di viveri e attrezzature da recuperare poi sulla via del ritorno in modo da affrontare l’attraversamento del passo con un carico più leggero. Il giorno successivo, 1° febbraio, si avviarono verso il valico montano. Purtroppo le avverse condizioni meteo fecero perdere l’orientamento al gruppo, che si ritrovò ad andare nella direzione sbagliata. Accortisi di stare praticamente scalando il monte invece di aver imbroccato il passo e dato che il tempo non migliorava decisero di accamparsi lì, sul fianco della “montagna dei morti”, e di attendere il giorno dopo sperando in un miglioramento del tempo.

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Non fecero mai ritorno.

18 giorni dopo

Djatlov aveva preso accordi per contattare la loro associazione sportiva intorno al 12 febbraio, una volta tornati a Vižaj. Per questo tipo di spedizioni, soprattutto all’epoca, era piuttosto normale accumulare qualche giorno, se non addirittura settimane, di ritardo. Ma quando il 20 febbraio ancora non si erano avute notizie, i familiari allertarono le autorità che diedero così inizio alle ricerche. Solo il 26 febbraio un elicottero avvistò la tenda durante una perlustrazione aerea, sul pendio del Cholat Sjachl, gravemente danneggiata, ma all’arrivo dei soccorsi sul posto dei suoi occupanti non c’era nessuna traccia.

I primi 5 corpi

La tenda era stata lacerata dall’interno. C’erano delle orme che si allontanavano dal campo per 500 metri e seguendole le squadre di ricerca trovarono le prime due vittime – Jurii Krivoniščenko e Jurij Dorošenko – a circa 1500 metri, sotto un cedro (o un pino, le fonti sono discordi, ma alla fine era verde/marroncino e aveva i rami). Erano mezzi nudi, indossavano solo le scarpe e la biancheria intima. Vicino ai loro corpi i resti di un falò. I rami dell’albero erano spezzati fino ad un’altezza di circa 4,5 metri e i brandelli di pelle e carne rimasti nella corteccia a seguito delle escoriazioni facevano pensare che avessero cercato di arrampicarsi. Tra l’albero e il campo venirono in seguito ritrovati altri 3 corpi – Djatlov, Zina Kolmogorova e Rustem Slobodin – lontani gli uni dagli altri. Probabilmente avevano cercato di tornare verso l’accampamento a valle, dove avevano lasciato parte dell’equipaggiamento, senza riuscirci. Gli esami autoptici furono concordi nello stabilire che questi primi 5 corpi non presentavano lesioni esterne gravi o riconducibili a traumi (a parte una piccola lesione sul cranio di uno dei 3 che avevano cercato di tornare al campo, giudicata non letale) e che quindi fossero morti di ipotermia.

I 4 corpi mancanti

Per trovare i 4 corpi mancanti ci vollero la bellezza di due mesi. Fu solo il 4 maggio infatti che finalmente, in una gola scavata da un torrente all’interno del bosco vicino, sotto 4 metri di neve, vennero rinvenuti i membri mancanti della spedizione: Nikolaj Tibo-Brin’ol’, Ljudmila Dubinina, Aleksandr Zolotarëv, Aleksandr Kolevatov.

Ed è qui che le cose si complicano un po’.

A differenza dei primi 5 infatti questi non erano morti per ghiacciolite acuta ipotermia. Avevano lesioni piuttosto importanti, tanto da far affermare ai medici legali che nessun uomo avrebbe avuto la forza necessaria a causarle, ma anche nessun segno esterno. Come se fossero stati schiacciati da un’elevata pressione. Ah, e non dimentichiamoci della lingua strappata alla radice (indovinate a chi? Ma alla donna mancante del gruppo, mi sembra ovvio! *trollface*), tanto per gradire. Ma ci sarebbe anche la questione che erano un po’, come dire, arancioni. Esatto, ARANCIONI. Come riportato da alcuni testimoni oculari la loro pelle aveva uno strano colorito arancione/brunastro. E i loro vestiti presentavano una leggera contaminazione radioattiva.

Agevoliamo una diapositiva per riassumere (clicca qui per vederla ingrandita):

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Ipotesi e congetture

Fino al ritrovamento degli ultimi 4 escursionisti in realtà l’unico mistero era perché i membri della spedizione fossero fuggiti, chiaramente in preda al panico (se stracci la tenda ed esci senza calzoni due sono le cose: o è diarrea fulminante o sei nel panico, ma non divaghiamo…). Infatti, battute a parte, anche il fatto che due cadaveri fossero praticamente nudi è spiegato da un comportamento noto come undressing paradossale. Praticamente, per farla molto breve e facilona, nel 25% dei casi di ipotermia si è riscontrato che uno sbrocca di brutto e si strappa i vestiti di dosso, andando talmente in confusione da sentire caldo quando sta morendo di freddo. Non guardate da questa parte, il link a wiki sta lì apposta.

Bisogna però contestualizzare le condizioni dei 4 corpi ritrovati in maggio, ma senza fantasticare troppo. Le lesioni sarebbero comunque compatibili con una caduta nella profonda gola in cui i corpi erano stati ritrovati e l’avanzato stato di decomposizione potrebbe aver fatto il resto (magari anche causare la strana colorazione arancio/bruna?). Però non fu mai chiarita la fonte della contaminazione radioattiva.

Rimane tuttavia ancora senza spiegazione la precipitosa fuga dalla tenda.

In un primo momento gli investigatori valutarono persino l’ipotesi di un attacco dei mansi, offesi per la profanazione di un luogo sacro e temuto, ma non furono rinvenute prove che la avallassero. E comunque i referti medici erano stati molto chiari riguardo l’assenza di ferite dovute a colluttazione. Un’altra ipotesi è che il gruppo fosse stato colpito da “paranoia da valanga” (ma esiste?) e allertati da un semplice rumore abbiano pensato di stare per essere travolti, fuggendo a rotta di collo dalla tenda.

HIC SUNT DRACONES

A parte la pessima fama del luogo in cui i nostri poveri escursionisti sono morti, altri eventi insoliti contribuirono a rendere la vicenda terreno fertile per le teorie più fantasiose. La superstizione locale ci mette del suo tirando in ballo una specie di Yeti locale, noto come Almas.

Un altro gruppo di sciatori accampato una cinquantina di chilometri a sud della posizione di Djatlov e dei suoi ragazzi, in quegli stessi giorni, dichiarò di aver visto strane sfere arancioni fluttuare nel cielo a nord (ALIENS! Ve l’avevo detto!) e simili avvistamenti si verificarono tra febbraio e marzo del 1959 in tutta la zona, fino addirittura ad Idvel’. Inoltre anche i nostri poveri protagonisti qualcosa devono aver visto, come testimonia l’ultima foto scattata prima che fuggissero nella notte innevata.

Ma non è detto che si trattasse di extraterresti, c’è una minaccia ben più concreta e terrestre. L’esercito russo. Eh sì, perché ci sarebbero tutta una serie strani “relitti” metallici presenti sempre in zona, dalla strana forma a cupola che ovviamente (almeno stando a certe teorie) sono prova delle attività di ricerca belliche condotte nell’area dall’esercito dell’ormai ex-Unione Sovietica.

Alla fine della fiera

Concludendo (e citando pigramente wikipedia, ché mi sto dilungando oltre ogni decenza):

Il verdetto finale fu che i membri del gruppo erano tutti morti a causa di una irresistibile forza sconosciuta. L’inchiesta fu ufficialmente chiusa nel maggio 1959 per assenza di colpevoli. Secondo alcune fonti i fascicoli furono mandati in un archivio segreto e le fotocopie del caso, con alcune parti comunque mancanti, furono rese disponibili solo negli anni novanta, ma altre smentiscono totalmente questi fatti, affermando che il caso non venne mai classificato e che le parti mancancanti consistevano in una busta all’interno della quale c’era solo della comune corrispondenza.

E così abbiamo anche il KGB che insabbia tutto, cosa può desiderare di più un povero e onesto cospirazionista/teorico degli alieni?

 

Abbiamo scritto un nuovo articolo con diverse novità uscite nel 2021:

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Via:

 

Per Approfondire:

La Montagna dei Morti
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